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JULIÁN.

—Oh mio Dio, come mai hanno pensato che lasciarvi fare a voi il lavoro fosse una buona idea?— commentò Elodie, tra le risate, dallo schermo del mio cellulare.

Le lanciai un'occhiataccia, mentre Jordan guardava attentamente le istruzioni, facendo finta di non averla sentita.

Era il giorno dopo del parto di Sawyer, e mentre gli altri erano in giro a prendere cose ed aiutare i neo genitori, io e Jordan eravamo incaricati di montare la culla in camera di Cameron.

Avevo chiamato Elodie perché non la sentivo da ieri e l'avevo informata degli ultimi avvenimenti. Non aveva voluto chiudere la videochiamata quando le avevo detto che avrei dovuto rivestire i panni del tuttofare.

Adesso avevo capito il perché.

—La tua ragazza deve continuare a prendersi gioco di noi, Julián?— domandò Jordan, con un sorrisetto.

Stronzo.

Guardai Elodie dal cellulare e il suo sorriso si era spento di colpo, il suo viso era ricoperto di disagio.

Lei, poi, si schiarì la gola —dico solo che non sembra che sappiate cosa state facendo, esattamente— disse.

—E invece siamo gli unici che hanno abbastanza pazienza da poterci capire qualcosa— ribattei io.

Jordan mi guardò —amico, non sono affatto d'accordo. Aaron ed Emerson hanno sicuramente più pazienza di me... — lo fermai subito —infatti stanno montando l'altra culla a casa di Sawyer, insieme ad Ivy— conclusi per lui.

Sawyer e Cam avevano deciso di non andare a vivere insieme, al momento. Nonostante le loro madri si erano proposte per farsi carico delle spese, i due non si sentivano pronti per un grande passo, erano ancora giovani ed essere diventati genitori era già un grande cambio. Avrebbero passato dei periodi qui a casa ed altri a casa di lei, almeno per i primi anni.

—Spero solo che il piccolino abbia pietà di me e mi lasci dormire— commentò Jordan, visto che la camera di Cam era di fianco alla sua.

Risi —non ti invidio affatto— dissi io.

—Come si chiama il bambino?— chiese Elodie, sistemandosi sul letto —lo hanno chiamato Markus, con k— rispose Jordan.

Dopo un po', lasciò quello che stava facendo e se ne andò —vado in bagno— annunciò, fuori dalla stanza.

Mi assicurai che fosse lontano prima di parlare —mi dispiace per quello che ha detto, gli piace stuzzicare gli altri— dissi io, sentendo l'imbarazzante bisogno di farle passare il disagio.

—Non è un problema per me. Mi ha semplicemente colto alla sprovvista il fatto che siamo così palesi che i tuoi amici si rendono conto che c'è qualcosa tra noi— ribatté lei, con un sorrisetto furbo.

Cazzo, quanto avrei voluto che le cose fossero state così tra noi fin dall'inizio.

—Gli ho parlato di te, e poi i ragazzi mi conoscono da tanto tempo ormai— dissi io, lei sorrise ancora di più —ah, sul serio? E quante volte gli hai parlato di me?— chiese.

Sorrisi —bè, se Jordan ti chiama tranquillamente la mia ragazza, penso che tu ci possa arrivare da sola— ribattei.

—E tu che mi dici, vorresti che fossi la tua ragazza?

Rimasi stupito davanti quella domanda, me lo stava chiedendo sul serio? Eppure, guardandola in viso, non c'era segno di timore o vergogna, non stava titubando, non stava scherzando.

—Vorresti esserlo, Elodie?

Non seppi perché, ma sentì una forte sensazione crescermi nel petto, intanto che aspettavo la sua risposta. Era speranza, per caso? Quanto stupida era questa cosa? Se così era, però, sentivo il forte bisogno di sentirglielo dire, ormai avevo capito di essermi legato a lei.

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