7. Elisey Makarov

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Dylan

Schiusi le palpebre lentamente, abituandomi alla luce dei raggi solari, che filtravano dalle persine, mi guardai attorno, distratto dai ricordi della serata precedenti, i quali serpeggiavano ancora nella mia mente, accrescendo l'erezione mattutina.

«Cazzo.» Imprecai fra i denti, aggiustandomi i boxer. Alexandra non mi fu d'aiuto, poiché, infastidita dal mio movimento, mugolò nel sonno, dandomi la schiena e appoggiando il suo culo sodo sulla mia eccitazione.

Avrei voluto svegliarla a furia di morsi e baci, per poi scoparla con prepotenza nel nostro letto, ma dovevamo entrambi adempiere ai nostri dovere e andare a lavoro.

Avevamo delle cose rilevanti da fare: io dovevo parlare con alcuni dei soci dell'organizzazione, mentre mia moglie, da quello che mi aveva raccontato, aveva una riunione aziendale per organizzare uno dei suoi eventi. Normalmente avrebbe presenziato all'incontro assieme a me, tuttavia, in quella situazione, fu costretta a mettere in primo piano la sua azienda.

Seppur contro volontà, quindi, mi alzai dal letto, giunsi nel bagno privato e mi feci una doccia ghiacciata, capace di districare i miei pensieri impuri.

Quando tornai nella camera matrimoniale, con solo un asciugamano bianco legato in vita e i capelli scuri bagnati, trovai Alexandra ancora rannicchiata tra le coperte, con la bocca carnosa schiusa e le palpebre serrate dolcemente.

Le andai vicino, mi abbassai alla sua altezza e le posai un bacio sulla gota arrossata dal calore che la avvolgeva.

«Alexandra.» Avevo sussurrato nel suo orecchio, sfiorando il lobo con le labbra.

«Uhm?» Non aveva aperto gli occhi, ma sapevo che i suoi sensi fossero già in allerta, mia moglie, infatti, aveva sempre avuto il sonno leggero.

«Dobbiamo andare a lavoro e abbiamo promesso ai bambini che avremmo fatto colazione con loro, dato che ieri abbiamo saltato.» I nostri figli avevano da poco ripreso ad andare a scuola, dopo le ferie di Natale. Tutte le mattine, nei giorni scolastici, cioè in quelli in cui i nostri orari coincidevano, la nostra famiglia si riuniva a tavola per consumare la colazione. Poteva cascare il mondo, eppure noi ci saremmo seduti su quelle sedie e avremmo mangiato uova e bacon.

Alexandra schiuse quei profondi pozzi bruni e li riversò nei miei, rivolgendomi una smorfia, causata da uno sbadiglio trattenuto.

Come fa a essere bella anche così, con gli occhi arrossati dal sonno, i capelli scombinati e la forma del guanciale su una gota?, mi domandai, mentre le posavo un bacio sulle labbra morbide.

Rabbrividì dal freddo, quando scostò le coperte dal suo corpo; si affrettò a indossare le pantofole e la sua vestaglia da notte, da cui raramente si separava. Si districò le ciocche scure con le dita e mi rivolse un'occhiata peccaminosa, studiandomi mentre lasciavo cadere l'asciugamano, per indossare i boxer e i pantaloncini.

«Ho sentito che sta mattina hai avuto qualche problemino con il tuo amichetto.» Ghignò, camminando verso il bagno, per sciacquarsi il viso.

«Gli piace quello che vede.» Mi rivolse un sorriso sfacciato e si chiuse la porta del bagno alle spalle.

Scuotendo il capo, andai a svegliare i miei figli, che ancora giacevano nei loro letti. Mi fermai prima nella camera di Ethan, poi in quella di Charlotte e Sophie.

Ethan Adam Ivanov amava le sue sorelle con tutto il cuore; nonostante fosse solo un bambino, era tremendamente responsabile e maturo. Certo, non mancavano le dispute, soprattutto con sua sorella gemella, Charlotte, tuttavia, quando si risolveva tutto, magari grazie all'aiuto di Alexandra, riprendeva a trattarle come se fossero state le sue principesse.

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