17. I am ready to wait for you

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Buon Natale, amici❤️🎄

Alexandra

Non avevo dormito per niente quella notte. Quando mi ero risvegliata, a seguito della conversazione con Suor Anna, eravamo già fuori dall'hotel in cui alloggiavamo Dylan ed io. Luke era stato premuroso nei miei confronti: mi aveva accarezzato i capelli, mi aveva sussurrato che ci saremmo rivisti il giorno seguente, che avrei dovuto chiamarlo, se ne avessi avuto bisogno e, nonostante lo volessi al mio fianco, era andato via, poiché sapevo che Dylan si sarebbe insospettito, se, una volta sveglio, non mi avesse trovata al suo fianco.

Mi ero fatta forza, nonostante le tempie pulsanti, i pensieri che scorrevano veloci e una rabbia cieca, che, ben presto, aveva iniziato a scavalcare l'angoscia e la sofferenza, prendendo il controllo di tutto. La mia furia era giustificata, odiavo le persone che mi avevano separata da mio figlio. Le disprezzavo e le condannavo. Mi sarei vendicata, l'avrei fatto con piacere, gustando il sapore delle loro grida di dolore, avrei osservato gli spasmi che avrebbero scosso i loro corpi, prossimi alla morte, li avrei sentiti implorare, chiedere scusa, avrei goduto di ogni momento, poi, avrei premuto il grilletto e tutto sarebbe cessato. Ci avevo pensato tutta la notte, con gli occhi sgranati, puntati verso il soffitto; avevo voluto soffermarmi su quello, piuttosto che sul mio Theo. Non avevo voluto pensare al suo viso, alla vita che aveva avuto privato della mia presenza, al luogo in cui avrei potuto trovarlo, a quello che gli avevano raccontato su di me, alle persone con cui era cresciuto, a tutti i momenti della sua esistenza che mi ero persa. No, non ne avevo avuto il coraggio, sarei scoppiata in lacrime prima ancora di poter formulare una prima ipotesi; il dolore era tanto, scorreva dentro di me come lava ed io sapevo che, se solo gli avessi lasciato più libertà, mi avrebbe bruciata e sarei tornata a barcollare nel buio. Non avevo bisogno di quello ora, dovevo essere forte e dovevo portare mio figlio indietro... dovevo portarlo da me.

Alle prime luci dell'alba, avevo abbandonato le lenzuola calde e profumate e mi ero chiusa in bagno. Avevo fatto una doccia svelta, avevo strofinato con forza la mia pelle, come se desiderassi scacciar via ogni traccia di quello che avevo vissuto la sera precedente. Sapevo, però, che una doccia non sarebbe stata sufficiente.

Fu mentre ero davanti allo specchio che Dylan entrò in bagno, nudo.

«Buongiorno.» La mia voce fu lieve.

«Buongiorno.» Replicò lui. Non posò un bacio sulle mie labbra, com'era solito fare ogni mattina, si diresse verso la vasca idromassaggio, accanto alla doccia, e avviò lo scrosciare dell'acqua. «Non ti ho sentito rientrare ieri.» Mi disse.

«Sì, sono tornata tardi da lavoro.» Bugiarda.

«Capisco, devi aver lavorato molto e dormito poco, hai delle occhiaie spaventose.» Sogghignò. Scrollai le spalle.

«Grazie per il complimento.» Fu la mia risposta ironica. Mi pettinai i capelli e lo osservai immergersi nella vasca.

«Sono stato in pensiero ieri, avrei voluto passarti a prendere io stesso.» Rivelò.

«Non preoccuparti, la tassista è stata gentile con me e inoltre sono stata io stessa a dirti di evitare, avrei finito tardi.» Lui rise, ma non fu una risata ironica, piuttosto fu una di quelle amare.

«Che cosa c'è da ridere?» Aggrottai le sopracciglia e sentii il mio cuore aumentare i battiti.

«Sono sorpreso.» La sua voce si fece tagliente.

Che mi abbia seguito? Ha forse scoperto la verità? Mi domandai, in preda al panico.

«Di che cosa?» Continuai a pettinarmi capelli, fingendomi tranquilla.

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