15. He is alive

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Alexandra

C'eravamo fermati in un parcheggio, poco distante dal ristorante in cui avevamo deciso di pranzare Luke ed io, nonostante avessi lo stomaco chiuso e una nausea crescente.

Stavo fumando l'ennesima sigaretta di quella giornata, eppure non me ne curai troppo. Sentivo gli occhi del mio migliore amico studiarmi di sottecchi, quelle gemme intrise di preoccupazione, amore e ansia. Feci finta di non accorgermene, perché non avevo bisogno di sentire nulla, al di fuori del silenzio e dei miei pensieri.

Quando la cicca cadde al suolo, presi il cellulare tra le mani, composi il numero di Dylan; era in riunione con gli italiani, tuttavia ero sicura che mi avrebbe risposto.

«Любовь, скажи мне.» Parlò in russo, così che solo io potessi capirlo. Immaginai, dunque, che fosse vicino alle orecchie indiscrete degli italiani.

«Va tutto bene? Come procede?» Preferii non essere diretta, gli feci, infatti, delle domande di consuetudine, le stesse che avrei fatto se ci fossimo trovati in una situazione normale.

«Да. Они думают, что раз мы иностранцы, то мы более глупые. Они, конечно, ошибаются.»

«Fai fruttare i nostri affari, amore.»

«Как всегда.» Un lieve sorriso increspò le mie labbra. «In ufficio come va?» Ritornai seria, il senso di colpa rincominciò a contorcermi le viscere.

«C'è molto più lavoro di quanto pensassi; non finirò prima di questa sera.» Dichiarai. In realtà, dovevo rimanere fuori di casa così a lungo per incontrare Suor Anna.

«Ti passo a prendere io?»

«No.» Fui troppo precipitosa, ma me ne accorsi troppo tardi. «No, perché sarai stanco e avrai voglia di riposare.» Spiegai, riacquisendo la calma.

«Non voglio che rientri in taxi, non sarebbe sicuro.»

«Dylan, stai parlando con una Morrison.» Scherzai e fui capace di farlo ridere, lo capii dal tono della sua voce. Rilassai i muscoli: l'avevo convinto.

«D'accordo, hai ragione.»

«Bene.»

«Ora devo tornare dagli italiani.» Mi avvertii, annuii, anche se non poteva vedermi.

«До встречи, я люблю тебя.» Terminai, poi, chiusi la chiamata.

Riposi il cellulare nella tasca del cappotto, afferrai un'altra sigaretta e la accesi.

«Alexandra.» Mi richiamò Luke, rimasto in silenzio fino a quell'istante.

«Non smetterò di fumare, Luke.» Ribattei, forse con troppa acidità.

«D'accordo, scusami.» Sospirai.

«No, scusami tu, sono nervosa e me la prendo con te. La nicotina mi aiuta a fingere di essere più rilassata, ma la verità è che, finché non avrò parlato con Suor Anna e ricevuto le risposte che merito, non potrò trovare la pace.» Spiegai, passandomi una mano tra i capelli bruni.

«Lo so, non serve che ti scusi.» Si passò una mano tra i ricci neri. «Dire la classica frase "ti capisco" sarebbe un'offesa a te e ai tuoi sentimenti. Non potrò mai comprendere totalmente quello che senti, il dolore, l'angoscia e la rabbia che ti scorrono dentro, la trepidazione nello scoprire se quel ragazzo delle foto è il tuo Mattheo, eppure, Alexandra, soffro anch'io nel vederti così; mi lacrima il cuore, nel non vedere le tue labbra piegarsi in un sorriso, nello scorgere il senso di colpa che macchia il tuo viso, quando parli con Dylan. Dio, mi sento così impotente.» Con gli occhi umidi di lacrime, lo spinsi verso di me, avvolsi le mie braccia attorno al suo bacino e posai la testa sul suo petto.

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