3. The aquarium

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Dylan

«Vestiti, voglio portarti in un posto.» Avevo detto e Alexandra aveva aggrottato le sopracciglia, accarezzandomi distrattamente il petto.

Eravamo ancora stesi sul divano, dopo aver fatto l'amore, stavamo godendo degli attimi di pace, in quella stanza che odorava di sesso e di noi.

«Ma Luke è appena arrivato e ci sono i bambini...» La interruppi.

«Ne ho già parlato con Luke, per lui non è un problema, si occuperà dei suoi nipoti con molto piacere.» L'avevo vista fare una smorfia leggera davanti a quell'affermazione.

«Che cosa c'è?» Domandai, a quel punto, stranito dal suo comportamento.

«I-io sono stanca, domani dovrò lavorare, non possiamo rimandare?» Mi aveva chiesto, sospirando.

«Alexandra, tra gli impegni della tua azienda, il clan e i bambini, passiamo poco tempo insieme. A me piace questa nuova vita, fatta di responsabilità e di amore da distribuire tra quelle tre pesti.» Sorrisi leggermente, pensando ai miei figli, poi, tornai serio. «Ma ho bisogno di mia moglie. Prometto che sarà rilassante, non te ne pentirai.»

«Va bene, allora.» Pronunciò, mostrandomi un sorriso leggero. «Posso sapere dove siamo diretti, almeno?» Avevo scosso il capo, posandole un bacio sulla gota arrossata.

«No, è una sorpresa.» Odiava le sorprese, ne ero consapevole, era un suo lato caratteriale; amava avere le cose sotto controllo, non apprezzava l'ignoto, tuttavia sapevo che si sarebbe fidata di me, come sempre, del resto.

****

Eravamo in auto e stavo correndo, a una velocità moderata, tra le strade di New York. Mi mancava un po' la Russia, in particolare Mosca, la città in cui ero nato, ma, fortunatamente, la visitavamo spesso. Lì, infatti, abitava ancora mio padre, con la sua nuova compagna Adelaide, dunque, quando chiedeva di andarlo a trovare, passavamo dei brevi periodi di vacanza lì. Katherine ed io, inoltre, avevamo creato una sorta di tradizione, secondo la quale avremmo dovuto festeggiare i nostri compleanni nella nostra Mosca, come avevamo sempre fatto fin da bambini.

Era bello vedere i miei figli attraversare le strade che io, alla loro età, avevo vissuto, mi piaceva scorgere sui loro volti la meraviglia e l'amore verso la mia cultura, diversa da quella newyorkese. Charlotte mi aveva detto, una volta, che, divenuta più grande, avrebbe avuto il piacere di trasferirsi in Russia, ero stato colto dalla sorpresa e dalla soddisfazione.

Lottie ed io avevamo un rapporto particolare; lei aveva un carattere molto simile a quello di Alexandra, pertanto, mentre spesso si trovava in contrasto con sua madre, con me riusciva a mantenere sempre toni sereni. Amavo allo stesso modo i miei figli, eppure con Lottie c'era un'intesa particolare che speravo durasse in eterno.

Superato il traffico della Grande Mela, raggiunsi la zona sud di Manhattan e parcheggiai vicino al posto in cui avevo deciso che mia moglie ed io avremmo trascorso la serata.

«L'acquario, Dylan?» Mi aveva chiesto, sorpresa. Avevo abbozzato un sorriso altezzoso, poi, le avevo fatto cenno di scendere dalla Lamborghini.

Il parcheggio era deserto, fatta eccezione di quella che immaginai essere l'auto del direttore. L'orario di chiusura era passato da un pezzo, sapevo, però, che ad accoglierci avremmo trovato il signor Barton, un uomo dalla corporatura massiccia. L'avevo fatto chiamare quella stessa mattina da Elisey, sotto mio nome, chiedendogli la disponibilità completa del posto, in cambio la cifra di denaro pattuita. Barton non aveva fatto molte storie, mia moglie ed io avevamo dei cognomi conosciuti, a volte temuti; il mio braccio destro gli aveva spiegato il modo in cui si sarebbero svolte le cose quella sera e il direttore si era reso disponibile davanti a ogni richiesta. Eravamo già stati all'acquario, con i nostri figli, ma quel giorno le cose sarebbero state diverse. C'eravamo solo Alexandra ed io, come quando eravamo giovani.

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