10. Forgive me, love

216 15 1
                                    

Alexandra

Luke ed io eravamo chiusi nel mio studio, finalmente soli. Quando ero rientrata a casa, gli occhi dello spagnolo erano saettati sulla mia figura; non c'eravamo scambiati altre parole, mi era bastato un cenno del capo e lui, dopo aver posato un bacio sulle labbra di suo marito, mi aveva seguito, silenzioso.

L'adrenalina, che scorreva nelle mie vene in quegli istanti, mi conferiva la giusta carica per non crollare al suolo, svenuta. Potevo avvertire il battito cardiaco accelerato e l'ansia di affrontare quell'argomento con Luke; non provavo mancanze di fiducia nei suoi confronti, tutt'altro, mi rendeva inquieta l'idea che, parlandone con il mio migliore amico, quella situazione sarebbe diventata reale. Le mie supposizioni non sarebbero più rimaste chiuse nei miei pensieri, no, le mie labbra si sarebbero schiuse e avrei dovuto dire ad alta voce quello che mi tormentava, incurante delle ferite che avrei riaperto, del dolore che avrei provato quando quei punti di sutura si sarebbero rotti e i tagli avrebbero ripreso a pulsare e a sanguinare.

Non ero abbastanza pronta, eppure, al contempo, non potevo più tacere, altrimenti sarei giunta all'esasperazione.

Devo solo prendere coraggio, posso farcela. Mi ero detta. Ho affrontato tante cose, supererò anche questa. E quello che avevo pensato era vero, avevo affrontato la morte di mia madre ed ero riuscita a concedermi un'altra possibilità, avevo sorpassato la paura di perdere nuovamente qualcuno, soltanto per il mondo in cui vivevo, e avevo amato e sposato Dylan.

«Che cosa vuoi da bere?» Luke si era seduto sul divanetto, incrociando le mani sul ventre, mentre io mi ero fermata davanti alla vetrina degli alcolici, convinta che l'alcol ci avrebbe aiutati ad affrontare quella conversazione.

«Whiskey irlandese.» Riempii due bicchieri, uno per ciascuno, poi, gli passai il suo. «Alexandra, mi sto preoccupando, vuoi dirmi cos'hai?» Corrugò le sopracciglia, agitato per via del mio strano comportamento.

Non risposi, buttai fuori un grosso respiro, raggiunsi la scrivania, con le dita tremanti, infilai la chiave nella serratura e presi quella dannata busta gialla.

«Pochi giorni dopo capodanno ho ricevuto questa lettera. Non è certo la prima volta che giunge della posta qui, perciò, non mi sono insospettita. Avevo scartato l'idea di un invito a un evento dell'alta società, o il pensiero che riguardasse l'azienda, la busta era troppo comune e non c'era nessun logo. Sono arrivata alla conclusione che fosse una soffiata, riguardante il clan, immaginavo di trovare il nostro alfabeto, quello che usiamo per parlare in codice, ma, quando ho strappato i bordi della busta gialla, all'interno non ho trovato alcun foglio bianco, macchiato d'inchiostro, bensì quattro fotografie.» Spiegai palpitante, accompagnai le mie ultime parole con il posizionare quelle foto sul tavolino in cristallo di fronte a lui.

Lo vidi sporgersi in avanti, osservare meglio il ragazzo ritratto in ciascuno di esse. Mentre lui scrutava quella figura, io ripresi a parlare.

«Mi sono soffermata su quegli occhi, Luke. Sappiamo entrambi chi li aveva così...»

«Ti stai riferendo a tuo nonno materno?» Sollevò gli occhi verso di me, confuso.

«Non solo.» Rimase un momento interdetto, poi spalancò gli occhi.

«Non vorrai dirmi che stai pensando a-»

«Gira l'ultima fotografia, Luke.» Ordinai, interrompendolo.

«Dodici giugno duemilaquattro, questa data ti ricorda qualcosa?» Lesse quello che c'era scritto ed io sentii il cuore incrinarsi, di nuovo. «Non può essere, Alexandra.» Era agitato, sconvolto, preoccupato.

«E se fosse Luke? E se quel ragazzo fosse... se fosse il mio Theo?» Gli occhi si fecero lucidi, sbattei le palpebre, tentando un inutile battaglia contro le lacrime. Ne uscii perdente, perché una goccia salata mi bagnò il viso, scendendo fino ad appoggiarsi sulle mie labbra.

Veleno e Antidoto Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora