7. Business

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Alexandra

Non avevo affrontato il discorso che mi affliggeva nemmeno quella sera, la mia irrequietezza era sempre più visibile e quella sensazione che mi attorcigliava lo stomaco, accresceva, tanto da impedirmi di mangiare cibo senza riversarlo nel water. Mi sentivo stanca psicologicamente, affaticata da quei pensieri che scorrevano senza sosta nella mia mente. Avrei avuto nuovamente gli attacchi di panico, se avessi continuato a tacere. Non stavo così male da tempo, da quando avevo iniziato il percorso con la mia psicologa. Desiderai chiamarla, parlare con lei, anche senza rivelarle il vero motivo della mia visita, tuttavia m'imposi di non farlo e di comunicare solo al mio migliore amico i motivi del mio malessere.

Lui mi capirà, lo fa sempre, risolveremo insieme tutto. Pensai. Capiremo come agire, sì, lo faremo. Aggiunsi nella mia testa.

Avrei voluto parlare con lo spagnolo quel pomeriggio stesso, dopo essere tornata dal lavoro, ma lui e mio fratello non erano a casa, si erano, infatti, recati da Kate e Caleb per fare un saluto alla loro nipotina. Quella serata non l'avremmo passata a villa Morrison, considerato l'evento che avevamo organizzato nel nostro locale a Hudson Yards; misi al primo posto gli affari, pur temendo un imminente pianto isterico.

Quando scesi le scale, gli occhi di Dylan accarezzarono il mio corpo, fasciato da uno degli abiti della mia collezione. L'avevo disegnato io, ovviamente, ed era un'edizione limitata. Mi ero permessa di farmi coccolare da parrucchieri, truccatrici, estetisti e massaggiatrici, che, nel tardo pomeriggio avevano invaso la villa, permettendomi di tenere la mente impegnata. Elisey disse una frase al suo amico, che non riuscii a percepire, tuttavia, mentre lo sguardo di mio marito puntava nel mio, lo vidi annuire.

«Impeccabile, come sempre.» Mi lusingò Dylan, quando gli fui vicina, posando un bacio sul collo nudo.

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Nel momento in cui raggiungemmo il locale, potei notare una folla di giornalisti, radunata attorno al tappeto rosso, su cui sfilavano gli ospiti per entrare. Sebbene fossero ammassati agli ingressi, quei ficcanaso non avrebbero mai messo piede nel locale. Si trattava di reporter minori, chi possedeva un nome di spicco era ammesso nella struttura. Nonostante il lavoro di questi ultimi fosse fornire scoop alle testate per cui lavoravano, sapevo che nulla sarebbe trapelato all'infuori delle mura del club: tutti lì dentro, senza eccezione, avevano dei peccati e i clienti volevano che questi rimanessero celati.

L'autista fermò l'auto davanti alla passerella. Io, Dylan ed Elisey scendemmo dalla macchina, dopo che ci fu aperto lo sportello, e sfilammo serenamente, rivolgendo cenni disinteressati ai giornalisti. Mio marito ed io ci tenevamo per mano, mentre il nostro cecchino di fiducia camminava davanti, scortandoci, come faceva sempre davanti al pubblico. Fingeva, infatti, di essere la nostra guardia del corpo.

Quando superammo l'ingresso e ci inoltrammo nel locale, notai, con una crescente soddisfazione, che la mia iniziativa era stata geniale, il locale era gremito di personaggi importanti della società. Fummo scortati dai bodyguard nel salottino privato migliore, quello a vetri, che permetteva la vista dell'intero ambiente. Salutai alcune persone che conoscevo e cui io stessa avevo spedito l'invito. C'erano modelle, calciatori, fotografi, giornalisti, cantanti e musicisti. Tutti si erano presentati, come avevo ingegnosamente previsto.

Nel privè c'eravamo io, Dylan, Elisey, Katherine, che mi salutò con due calorosi baci sulle gote, Caleb, Ian e Luke. Mi sembrava di essere tornata al passato; a dire il vero, mi sarebbe piaciuto, ma noi, ormai, avevamo avanzato con l'età, eravamo cambiati fisicamente e maturati mentalmente, io più di tutti, forse.

«Signori.» Il capo dei buttafuori si presentò nel salottino. Lui faceva parte del clan, ovviamente. «Scusate l'interruzione, Alvin Clark è qui, desidera vedervi.» Un ghigno deformò il mio viso.

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