10. I could be a better boyfriend than him

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RYAN'SPOV

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RYAN'S
POV

Responsabilità.
L'importanza di accettare e prendersi le conseguenze delle proprie azioni.
Sono sempre stato una persona responsabile nonostante nella mia vita ho sempre compiuto azioni al limite del moralmente corretto.
Al seguito della responsabilità di una determinata azione, soprattutto se negativa, ne consegue un eventuale senso di colpa.
Ed è quello che provo io ora.

Nicole è seduta contro il muro, con le gambe tirate al petto e le lacrime agli occhi, si è appena ripresa da un'attacco di panico che ho causato io.
Non so per quale ragione abbia reagito così so solo che è stata colpa mia.
Non avrei dovuto colpirla così forte, non avrei dovuto colpirla affatto.

È colpa mia, è sempre colpa mia.

<<Scusami Matt, sono ridicola. Non posso farlo, non riesco>>

Continua a lamentarsi nascondendo il volto fra le gambe. È in imbarazzo ed è palese a chiunque la guardi, non deve essere facile crollare contro la propria volontà davanti a persone che conosci a malapena.
Vorrei farla ridere, vorrei poter dire qualcosa per sdrammatizzare e ascoltare di nuovo il suo della sua risata così contagiosa. Invece sono qui bloccato alle spalle di Matthew mentre lo osservo inginocchiato di fronte a lei.

<<Non scusarti, non sei ridicola. Non azzardarti più a dirlo. Ci lavoreremo su, abbiamo tempo ce la farai>>

Vorrei capire anch'io su cosa poter lavorare, vorrei poterla aiutare.
Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa con cui rendermi utile.
Ricordo che nell'armadietto dove teniamo i guantoni e le fasce ci sono dei fazzoletti per quando io e i ragazzi boxiamo senza guantoni e ci spacchiamo le nocche. Corro a prenderli e nel frattempo i miei occhi cadono sul distributore d'acqua posto nell'angolo della stanza, ne prendo un bicchiere e poi mi avvicino cautamente ai due.

Mi inginocchio accanto a loro e le porgo il bicchiere che ho riempito.

<<Prendi un po' d'acqua Sherlock, asciuga le lacrime e rialzati. Su forza non farti tirar su di forza ho le braccia a pezzi per i tuoi pugni>> riesco nel mio piccolo a farla almeno sorridere, tanto che rilassa le gambe e le stende.
Beve un sorso d'acqua e si asciuga le lacrime col fazzoletto che le ho passato successivamente.

<<Non fatelo vi prego, non trattatemi da bambina che ha bisogno di essere compatita>> si alza di scatto come se avesse solo ora realizzato la situazione in cui si trova. Ci supera e getta il bicchiere nella pattumiera assieme ai fazzoletti con gesti bruschi. È arrabbiata, scommetto che si sente una stupida e in imbarazzo. Vorrei dirle che non deve sentirsi così, non con noi, non con me.
Che non ha bisogno di arrabbiarsi con sé stessa perché qui ognuno di noi ha qualche male radicato in profondità che cerca di nascondere, ma che ogni tanto riesce ad uscire e ci fa crollare.
E io sono uno di quelli, quando mi capita tendo ad isolarmi da chiunque, scappo via in qualche continente lontano illudendomi di fuggire dai miei problemi. Faccio tutto ciò che mi è possibile per smettere di pensare, per sopprimere il senso di colpa che mi attanaglia le viscere da sedici anni e che spesso non mi da dormire la notte.

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