Domande.

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"Mi scusi, ora dovrebbe avere la seduta"

Un'infermiere di mezza età entra all'improvviso nella mia stanza.

Sbuffo infastidito.

Appoggio sul comodino il libro che stavo leggendo e mi preparo ad alzarmi.

"Ottimo, arrivo subito" rispondo di fretta.

Apro le ante del piccolo armadio e tiro fuori i primi vestiti che trovo. Mia madre deve aver cercato i vestiti più formali che possiedo, quindi trovo l'orrenda giacca che ho indossato al matrimonio della zia e dei pantaloni da pensionato. Non oso immaginare come devo apparire con addosso quella roba, ma vado comunque in bagno a cambiarmi.

Dó un'occhiata veloce allo specchio. Sto veramente male, ma i miei vestiti di ieri sono spariti, forse sono stati riportati a casa mia. Mi spazzolo velocemente i capelli e sono pronto a uscire.

Indosso le scarpe, che fortunatamente sono le mie e non delle schifezze da uomo d'affari.

I corridoi dell'ospedale sono deserti, a parte per qualche infermiere di passaggio.

 

L'infermiere di prima mi raggiunge e mi ricorda che c'è un taxi che mi aspetta fuori.

La forte luce del sole colpisce i miei occhi appena apro il portone dell'ospedale. Un taxi elegante è parcheggiato vicino all'ingresso, apro la portiera e mi infilo dentro.

"Buongiorno. Non si preoccupi, mi è già stato detto tutto" mi dice l'autista.

"Buongiorno. Lo studio si trova in centro a Edimburgo, sbaglio?" Chiedo gentilmente.

"Esattamente".

"Grazie mille".

Rivolgo lo sguardo verso il finestrino. Mi piacciono i viaggi in macchina, sono rilassanti.

Osservo la campagna scorrere davanti ai miei occhi. Le colline sono di un verde acceso e ogni tanto compare qualche cavallo intento a brucare.

Dopo un quarto d'ora circa, il paesaggio inizia a cambiare: aumentano le abitazioni, che ormai non sono più fattorie solitarie; e le strade asfaltate formano un reticolo sulla terra. È sempre più frequente vedere una persona che passeggia, una coppia che cerca il proprio spazio romantico o un cane che gioca.

Il cemento inizia a sostituire gli alberi. Sono arrivato alla periferia della città.

Quando ero piccolo ho vissuto in un appartamento in una zona suburbana di Edimburgo, ma poi la mia famiglia si è trasferita in una paesino a mezz'ora dalla grande città.

Spesso però faccio visita a Edimburgo per assistere a concerti e festival, comprare abiti o per semplice divertimento.

Dopo del tempo indefinito, il taxi inizia a rallentare davanti a un tipico edificio britannico.

Saluto e pago l'autista, poi scendo dall'auto.

Mi avvicino alla struttura.

Su un'insegna di metallo è inciso il nome della psichiatra e i suoi riconoscimenti.

Suono il citofono, una voce metallica mi risponde.

"Chi è?"

"Davis" rispondo con voce più formale che possa avere.

La porta si apre e io mi infilo dentro.

Davanti a me ci sono delle sobrie scale di marmo, qualche pianta decorativa è sistemata negli angoli.

Salgo al primo piano.

La porta dello studio viene aperta da una donna. Dimostra una trentina d'anni, indossa un bel vestito nero. Mi guarda e sorride.

"Buongiorno, entri pure".

Rispondo al saluto e mi guardo in giro.

Seguo la donna che mi porta in una stanza luminosa. Due poltrone sono disposte l'una in fronte all'altra, riconoscimenti vari e dei dipinti sono appesi alle pareti.

"Si sieda pure" mi dice con gentilezza. I suoi occhi sembrano emanare luce propria.

Faccio ciò che mi ha chiesto e la osservo.

Lei si siede davanti a me.

"Bene. Possiamo darci del tu?" Chiede.

"Certo" rispondo calmo.

"Mi è già stato detto ciò che hai fatto. Ora però giurami di dire solo la verità, è importante che tu lo faccia. Io posso fare la differenza riguardo il tuo futuro. Devi assolutamente essere sincero. Lo giuri?"

"Lo giuro" rispondo, poco convinto.

"Ottimo. Per prima cosa, posso sapere le tue condizioni familiari?" domanda professionalmente.

"Pessime. Mia madre è un'alcolizzata, mio padre non è mai a casa. Dice che lavora molto, ma sono sicuro che vada a farsi un'altra" rispondo aspramente.

"Hai sofferto per questo?"

"Abbastanza. Alla fine però ho accettato la situazione".

"Puoi dirmi di più sui tuoi genitori e sulla tua infanzia?"

Rispondo alla sua domanda, descrivendo con cura ogni cosa.

La donna scrive su un quaderno.

"Okay. Ora puoi parlarmi della tua condizione scolastica e sociale?"

Racconto tutto ciò che mi viene in mente.

"Bene. Orientamento sessuale?" Domanda alla fine del mio discorso.

"Umh... etero" rispondo.

"Ti capita di avere forti pulsioni sessuali o desideri particolari?"

"La mia vita sessuale è normalissima. Non penso ci sia da dire altro." Rispondo, lievemente seccato.

"Perfetto. Fumi, bevi alcool o assumi droghe?"

"Si", rispondo, poi spiego più nel dettaglio.

"Bene" esclama alla fine, "dico di passare al punto principale. Da quanto tempo hai o coltivi un comportamento aggressivo?"

"Io non sono aggressivo. Non ho mai voluto fare male a nessuno, non sul serio. Non mi sarei mai comportato come ho fatto, lo giuro. Io non ero in me. Non so che cazzo sia successo, ho perso il controllo. Non è stata la prima volta. Ho avuto delle visioni i giorni precedenti. Visioni violente. Dico sul serio. Semplicemente ero nel corridoio per i fatti miei, poi si è fatto tutto buio e mi sono risvegliato all'ospedale. Non mi ricordo nulla dell'episodio. Sto impazzendo, forse?"

La donna alza lo sguardo dal quaderno e mi fissa sorpresa. Poi ricomincia a scrivere, più velocemente.

"Io... Parlami delle visioni".

Inizio a raccontare. La psichiatra continua a scrivere appunti, anche se ogni tanto alza lo sguardo, osservandomi preoccupata. A volte mi interrompe per farmi delle domande.

Alla fine del racconto si ferma a rileggere ciò che ha scritto sul quaderno. La sua espressione è  leggermente confusa, i suoi occhi sono rigidi e fissi.

"Mh... Mi dispiace dirti ciò, ma risulti instabile. Ho già prescritto i farmaci da assumere, inoltre penso dovresti seguire una terapia. Sono davvero dispiaciuta ma... l'ambiente in cui vivi è dannoso, essendo tu un minore, trascorrerai del tempo in un ospedale psichiatrico. Il tuo soggiorno sarà piacevole, non c'è da preoccuparsi..." il suo sguardo è sinceramente infelice.

"Non c'è una diversa soluzione? Qualsiasi cosa!" Chiedo disperato.

"Mi dispiace" risponde, con sincera compassione.

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Amo lo spazio autrice. Avevo intenzione di rendere il capitolo più lungo, ma è da un po' che non posto quindi ho deciso di separare le parti per evitare di allungare i tempi.

Devo dire che questo capitolo non mi soddisfa in pieno...

Spero non sia lo stesso per voi, in quel caso sono dispiaciuta.

Insanity.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora