Il mio migliore amico

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Sono passate già due settimane da quella terribile mattina. Il tempo sta cercando di guarire le ferite, ottenendo pochi risultati. Gli incubi mi torturano, selvaggi. I sensi di colpa mi sbranano dentro. Sogno il suo corpo insanguinato che mi grida in faccia quanto sono stato inutile, sogno di fare la sua stessa fine. A volte mi sembra di vederlo sdraiato sul suo letto, con lo sguardo vuoto e gli occhi spenti.

Forse quella era la fine migliore per lui. Era destino. Ma, per quanto sia prevedibile, rimane sempre difficile da accettare, una perdita.

Ció che mi rimane da fare è fingere che vada tutto bene e andare avanti con la mia vita. La ferita causata dalla sua morte non sparirà, ma si trasformerà in una cicatrice.

Mi siedo sulla sedia del giardino. Il debole vento fresco mi accarezza la pelle del volto, riesco a sentire l'odore della terra e un lontano cinguettio. Sono piccole cose che all'improvviso prendono una grande importanza. Insomma, quei particolari che ti ricordano di essere vivo, di essere proprio qui, su questa terra, rinchiuso in un corpo caldo e circondato dalla realtà. Non ci si fa spesso caso, le abitudini appiattiscono i sentimenti. Ma i momenti in cui ti accorgi di queste piccole cose, capisci come la vita possa essere meravigliosa.

Io ho ancora anni per vivere queste esperienze. Mi dispiace per Dylan. Chissà se ora puó ancora sentire la delicata carezza del vento sulla pelle, il suono della pioggia che cade e l'odore fresco della terra bagnata. Mi viene da sorridere per lui.

La suoneria del mio cellulare mi riporta alla realtà. Tiro fuori il telefono dalla tasca dei jeans.

Il nome sul display mi provoca una fitta al petto. Corey.

Ci metto qualche secondo a rispondere, giusto per riprendermi dallo shock.

La voce di Corey esce con potenza dal cellulare. "Cristo, Jonathan, ti chiamo ogni giorno e tu è dalla settimana scorsa che non mi rispondi! Mi hai fatto salire un'ansia pazzesca, sono venuto all'ospedale psichiatrico ma mi hanno detto che dormivi, santo Dio!"

Cazzo.

"Mi dispiace, davvero. Sai, non stavo molto bene e non volevo che ne pagassi tu le conseguenze. Tendo ad essere molto nervoso quando sono triste, e non volevo ferirti sfogando la mia rabbia su di te, capisci? Scusami, davvero". Le mie parole sono quasi sincere. Io voglio davvero bene a Corey. È il mio unico amico. Il mio migliore amico.

"Oh. Scusami tu. Mi sono fatto prendere dall'ansia e ho perso la testa." Scoppia a ridere e la mia temperatura corporea si alza di molti gradi. "Sai come sono fatto, sono una piccola merda ipersensibile. Ci vuole pazienza. Per questo i miei amici si contano sulle dita di una mano." Si fa serio all'improvviso. "Jonathan. Mi dispiace. Mi dispiace per ció che è successo. Io... cazzo. Solo... non è colpa tua, davvero. Lui non vorrebbe vederti soffrire a causa sua. Sicuramente era un bravissimo ragazzo, di quelle persone che ti fanno sentire bene. Ma lui purtroppo non poteva piú sopportare tutto questo. So che suona un po' banale, ma ora è libero. La scelta è stata sua."

Corey ha ragione. La scelta è stata sua. Non ho il diritto di giudicare. Ma non per questo non fa male. I miei occhi si inumidiscono.

"Hai ragione. Solo che è difficile accettare, sai. Ma... ci sto provando. Ora ho capito che non ha tanto senso continuare a soffrire. Dylan non ne sarebbe felice".

"Non ne sono felice anch'io. Nessuno vuole che tu stia male. Io sono felice quanto tu sei felice". Mi mordo le labbra.

"Corey?" Mormoro. "Ti... ti dispiace venire da me stasera? Così possiamo parlare. Parlare sul serio, dico".

"Certo. Posso venire anche subito, oggi non ho lezioni e comunque ho già studiato".

"Se non è un problema per te..."

"Okay. Arrivo tra poco. Ciao, Jon".

"A dopo".

Chiudo la chiamata e prendo un grande respiro.
Cazzo.

Dalle reazioni del mio corpo, posso intuire che Corey non è per me solo un migliore amico.

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