CAPITOLO 3

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KEIRA

Dodici anni prima.

Un'emicrania lancinante mi portò a chiudere il libro di chimica per riposare un secondo i pensieri e staccare la mente dal compito che avrei avuto il giorno dopo per la quale mi ero preparata ormai da interi giorni. Avevo una buona memoria fotografica quindi non facevo molta fatica a ricordarmi le cose ma la mia ansia mi portava a ripeterle in continuazione per essere sicura di prendere il voto massimo come ogni volta per non deludere le aspettative dei miei. La mia intera esistenza girava intorno al loro giudizio, dovevo superare le loro aspettative che richiedevano sempre e comunque il mio meglio, e non perchè gli importasse che io andassi bene a scuola per raggiungere i miei piani futuri, bensì perchè una Martin non poteva di certo far sfigurare la famiglia con dei voti mediocri e una condotta tutt'altro che raggiante. Dovevo essere la prima in tutto e per quanto fosse angosciante dove sempre sottostare ai loro voleri, senza mai poter prendere un attimo di respiro, non volevo che mio padre non fosse fiero di me. Anche se a malapena lo vedevo. Era sempre impegnato e a causa del suo lavoro passava a casa molto poco tempo, non passava a casa neppure i Natale portando me a immaginare la notte del ventiquattro dicembre di essere una famiglia normale mentre passavo la nottata nel letto a fissare il soffitto, mentre in casa aveva vita uno dei soliti galà addobbati a festa di mia madre. Immaginavo che fossi tutti riuniti, solo noi quattro, intorno ad una tavolata imbandita di prelibatezze per poi scambiarci i regali allo scoccare della mezzanotte augurandoci un buon Natale. Desideravo che almeno per una serata fossimo una famiglia normale ma non era mai accaduto, tutto rimaneva soltanto nella mia testa e arrivati ad un certo punto me ne ero fatta una ragione, tanto o me lo facevo andare bene o non avevo altre possibilità.

Non mi ero mai interessata ai loro affari, non facevo mai domande, ma questo comportava il rimanere allo scuro di tutto, persino dei motivi per la quale mio padre si assentava continuamente.

Mi massaggiai le tempie cercando di dare tregua alle continue pulsazioni che mi asfissiavano i pensieri, mi bruciavano gli occhi tante erano le ore che avevo passato a fissare il libro con la luce della scrivania sparata in faccia. La schiena mi doleva, le spalle scrocchiavano e le gambe erano ancora intorpidite. Mi si sarebbe appiattito il culo a forza di passare interi pomeriggi così, e questo non sarebbe andato bene a mia madre, dovevo avere le curve prosperose al punto giusto, l'addome piatto, le braccia madre come anche le gambe e in caso una di queste cose si fosse rovinata avrei dovuto fare in modo che tornasse al suo totale splendore. A mio padre interessava che portassi a casa bei voti per vantarsene con i suoi colleghi, a mia madre che avessi un corpo perfetto da statuina di porcellana per potermi esibire come suo trofeo. Era snervante ma ci ero cresciuta in tal maniera, per me era una routine.

Presi un sorso d'acqua dalla borraccia che tenevo a portata di mano per rimanere idratata tra le mille letture a cui mi sottoponevo, se qualcosa non era scritto nel libro che forniva la scuola la cercavo su altri mattoni da milioni di pagine. Non sopportavo di dover cercare sul cellulare, adoravo l'odore saggio della carta, sottolineare le cose importanti e appuntarvi accanto i miei mille ragionamenti. Lo trovavo istruttivo e mi aiutava a ricordare meglio le cose.

Mi stiracchiai le braccia e sfilai una sigaretta dal pacchetto, fumare rendeva la donna meno signorile, mia madre me lo ripeteva ogni qualvolta sentiva sui miei vestiti l'odore del fumo ma le sigarette erano uno tra i pochi sgarri che mi concedevo per respirare in mezzo alle loro regole severe. La accesi e ne aspirai un tiro calmando l'emicrania che mi stava facendo impazzire, se continuavo così sarei finita al manicomio, e per quanto facesse male fumare era la mia unica valvola di sfogo.
Anche se quasi mi cadde dalle dita quando sussultai dallo spavento nell'istante in cui Henry aprì di colpo la porta di camera mia per fiondarsi sul mio letto e iniziare a saltarvi sopra come faceva da piccolo, era cresciuto ormai, aveva vent'anni ma le sue abitudini infantili non le perdeva mai. Sogghignando mi alzai dalla sedia girevole della mia scrivania per chiudere nuovamente la porta e aprire la finestra impedendo che la puzza di fumo impregnasse le pareti. <<Cervellona hai finalmente spento la tua vena studiosa?>> Quel soprannome lo aveva sentito da Stefany svariate volte ogni volta che i miei mi permettevano di invitarla a casa, e dopo un po' anche lui iniziò a chiamarmi così giusto per divertirsi ad infastidirmi, Non ero una cervellona o una secchiona, lui contrariamente a me era riuscito a sfuggire alle maniacali leggi di famiglia per vivere come gli girava, ma così facendo non aveva fatto altro che riversare addosso a me la totale attenzione dei nostri genitori. <<Sì, ho finito di studiare e vorrei riposarmi quindi ti chiederei di passare più tardi.>> Avrei voluto chiudermi lì dentro, infilarmi sotto alle coperte con la sigaretta tra le dita, le cuffiette alle orecchie e smettere di pensare ma purtroppo non sembrava possibile per mio fratello darmi un attimo di tregua. Smise di saltare per raggiungermi e rubarmi la sigaretta dalle labbra per aspirarne un tiro, non era un assiduo fumatore come me ma non si tirava di certo indietro in situazioni simili. Me la ripresi e lo superai per sdraiarmi tra le lenzuola che aveva totalmente scombinato, si divertiva a disfare il mio ordine, o meglio ciò che mettevano in ordine le domestiche. <<E liberarti della stratosferica presenza del tuo fratellone? Non ti farei mai un torto simile sorellina, e poi non puoi vivere sempre in totale solitudine rinchiusa in queste quattro mura.>> Ne ero pienamente cosciente e odiavo dover rimanere chiusa lì dentro di continuo, sognavo di poter vivere come le mie coetanee, bermi un caffè con la mia migliore amica in santa pace senza dover pensare a possibili paparazzi nei dintorni, ma per me una tale possibilità non era mai esistita. <<Tra meno di un ora mamma torna e se non mi trova qui ci ammazza entrambi.>> Avevamo un coprifuoco da rispettare che non poteva superare le sei del pomeriggio, e mentre lui se ne infischiava di continuo, a me non andava di sorbirmi le ramanzine di quella donna. <<Oh vero, quasi mi ero dimenticato che sei una soldatina.>> Afferrai un cuscino per tirarglielo addosso, ma la mia mira orrenda non mi permise neppure di sfiorarlo e ciò lo fece ridere come al solito. <<Smettila, non sono una soldatina.>> Mi imbronciai offesa dalle sue risate che però alla fine come sempre facevano sorridere anche me, aveva una risata contagiosa quel ragazzo, era impossibile non seguirlo a ruota. <<E invece sì, una soldatina cervellona.>> Mi rubò di nuovo la sigaretta dalle dita per fare l'ultimo tiro e lanciarla fuori dalla finestra, non mi lamentai neppure tanto ormai la mia sigaretta era buttata e lui non avrebbe fatto altro che scimmiottare le mie lamentele. Mi si buttò addosso a peso morto schiacciandomi sotto i suoi ottanta chili buoni di muscoli, non si rendeva conto che io sotto di lui ero a malapena un fuscello o forse non gliene importava. <<Dai facciamo qualcosa, mi annoio.>> Mugugnò facendomi sbuffare, era un bambinone che riusciva sempre a farsi dire di sì, soprattutto da me quando iniziava a farmi il solletico ogni volta che provavo a contraddirlo. <<Esci con i tuoi amici.>> Gli proposi tentando di liberarmi della sua presenza per nascondermi sotto alle coperte e dimenticarmi persino della mia, ma era inutile, era anche più testardo di me. <<No, ci vediamo poco, stasera voglio passare la serata con la mia sorellina.>> Mi scompigliò i capelli facendomi contorcere sotto di lui tentando di sfuggire dalla sua presa ma era tutto inutile, era un gigante in confronto a me, non l'avrei mai potuta avere vinta contro di lui, era una battaglia già persa per me. Ma mi scaldarono il petto le sue parole, era vero, spesso anche lui usciva per poi tornare qualche giorno dopo e lo invidiavo per quel suo lato menefreghista, faceva ciò che gli andava senza far caso agli altri. Ma quella sera voleva stare con me. <<Se ti conosco bene ho come l'impressione che hai già qualcosa in testa vero?>> Non serviva che rispondesse perchè il sorrisetto infido che gli si formò sul volto mi diceva più di quel che mi avrebbero potuto dire le sue parole, era pieno di idee in quella sua testa pazza dai capelli sempre scombinati di quel castano scuro identico al mio. E io adoravo quel suo lato sempre attivo. Allungo una mano dietro alla schiena per tirare fuori dalla tasca posteriore dei jeans due biglietti, non mi ci volle poi molto per capire di cosa si trattassero. Era due biglietti esclusivi per il concerto del suo migliore amico, non li pagava nemmeno, essendo così vicino a quel ragazzo non gli serviva sborsare un soldo per accaparrarsi i posti sotto al palco. Era il concerto di Kovacs Mihai, la sua musica era un concentrato formato da una potenza surreale intrecciata ad una nota romantica che scioglieva ogni donna che gli cadeva di fronte. Mi piaceva la sua musica, conoscevo svariate sue canzoni. Il suo aspetto non era altro che la ciliegina sulla torta del suo successo, aveva solo vent'anni eppure aveva completamente spopolato in tutta la California e oltre. Per le donne era la mela proibita, per gli uomini era la potenza di un mostro.

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