CAPITOLO 13

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KEIRA

Dodici anni prima...

Sentii un tocco delicato sfiorarmi il viso come il lieto lambire della punta di una piuma, così mi rigirai tra le morbide coperte per lasciarmi trasportare da quella lieve carezza che mi soddisfò le sensazioni, che mi rilassò ancor più di quanto avesse già fatto il sonno o le braccia di quello che doveva essere il mio fidanzato. Lo vedevo ogni giorno a scuola ma veniva comunque ogni tanto a casa per coltivare quella relazione obbligatoria che ci avevano imposto, passavamo del tempo insieme, ci conoscevamo meglio e ogni tanto si fermava persino a dormire con me. Non era ancora accaduto niente tra di noi, neppure un misero bacio che non fosse sulla guancia, lui non era di certo uno di quei ragazzi che prendeva l'iniziativa ed io, per quanto fosse indubbiamente un bel ragazzo, non mi sentivo attratto da quel genere di ragazzo figlio di papà con un futuro già prestabilito. Corn non si era sudato nulla nella vita, frequentava il liceo giusto perchè doveva prendere almeno un diploma ma dopo quegli anni non si sarebbe neppure laureato, allo scoccare dei diciotto mio padre lo avrebbe già atteso a braccia aperte per farlo entrare in famiglia dopo il nostro matrimonio, quindi non avrebbe dovuto neppure sforzarsi. D'altro canto era un ragazzo simpatico e dolce, avevamo instaurato una buona amicizia e mi stava bene così, almeno non ci saremmo sposati senza neppure sapere come fosse l'altro.

Lo cercai tra le lenzuola ma non lo sentii, allungai una mano e percepii che si era voltato dall'altra parte quando sfiorai semplicemente la sua schiena così mi voltai anch'io dalla parte opposta rivolgendogli la schiena tentando di riprendere sonno. Eppure qualcosa me lo impedì. Quel tocco delicato che scendeva dalla tempia fino alla guancia non cessava, era insistente nel suo essere morbido e tenero, tanto che mi portò a schiudere gli occhi per controllare da cosa o chi provenisse. Sbattei le palpebre un paio di volte per riuscire ad aprirli e, nell'oscurità della stanza buia, scorsi la figura del nonno accostato al mio letto che mi sorrideva mentre la sua mano vellutata mi lambiva la pelle. Sorrisi anch'io, o almeno la mia fu una dolce smorfia prima che uno sbadiglio mi schiuse le labbra. Ci eravamo addormentati tardi quella notte, il mio orario prestabilito mi imponeva di andare a dormire alle nove, mia madre arrivava di persona a controllarmi, ma quando c'era Cornelius chiudeva un occhio. Lui sembrava l'unica eccezione che mi concedesse, anche se non gliel'avevo neppure chiesta.

Mi tirai a sedere stirando le articolazioni intorpidite dal sonno, non avevo idea di che ora fosse ma doveva essere proprio tardi e non capivo cosa ci facesse ancora sveglio il nonno, solitamente la sera dopo cena passavamo del tempo insieme ma visto che quella la passai in compagnia, lui aveva detto che si sarebbe ritirato nelle sue camere un po' più presto del solito. Eppure era lì, in piedi, a quell'ora.

<<E' successo qualcosa nonno?>> Bofonchiai con la bocca ancora impastata dal sonno cercando di tenermi seduta, mi stropicciai gli occhi e le palpebre mi sembrarono macigni quando voltai lo sguardo verso nonno Colin che mi guardava con quel suo sorriso docile sulle labbra. 

<<No amore, è solo che non riesco ad accendere la stufetta calda nei miei appartamenti, e sai che non riesco a dormire senza, potresti aiutarmi?>> Il suo tono di voce era ridotto ad un sussurro, non voleva svegliare il ragazzo disteso al mio fianco che intanto sembrava caduto in un sonno profondo, avevo come l'impressione che se pur mio nonno avesse urlato Cornelius non si sarebbe reso conto di niente. Aveva sempre avuto un sonno profondo, certe volte quasi mi spaventava.

L'idea di alzarmi dal letto e abbandonare quelle coperte calde mi portò a tentennare per un secondo, ma non avrei potuto permettere che mio nonno si prendesse un malanno per via della mia pigrizia, avrei preferito sempre preservare la sua salute a costo di dover abbandonare qualche ora di sonno in più. <<Certo.>> Borbottai scostandomi le coperte di dosso, sfilai le gambe da sotto alle lenzuola e allungai i piedi verso il pavimento gelido scoprendo che non vi erano le mie adorate ciabattine, chissà dove le avevo lasciate, ma una cosa era certa, non mi sarei messa a brancolare nel buio giusto per un po' di freddo ai piedi. Mi alzai sopportando il gelo e presi la mia vestaglia di seta dalla poltrona poco più in là, la indossai e mi legai la cintura sottile intorno ai fianchi per chiuderla e nascondere il misero pigiama rosa pastello del medesimo materiale che indossavo. Era un pantaloncino di pizzo che copriva il giusto indispensabile e una canotta dai bordi in pizzo neri. Nonno si allontanò verso la porta con in mano quel suo bastone che non gli serviva mai, camminava anche meglio di me si poteva dire, eppure se lo portava sempre dietro, ed io lo seguii chiudendomela alle spalle con delicatezza per non far troppo rumore. 

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