My sickness, my cure

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Le gambe mi dolevano per la posizione scomoda, e quando socchiusi gli occhi per sistemarmi, mi accorsi di un paio di mani poggiate sulle mie. Lentamente aprii le palpebre, spostando lo sguardo attorno a me e poi sotto di me.

Erano un paio di mani che conoscevo anche fin troppo bene.

Sospirai, ricordando ciò che era successo.

Ho avuto un attacco di panico e Justin è riuscito a farlo passare senza medicine. Chiusi gli occhi, lasciando scatenare dentro di me le solite emozioni contrastanti.

La mia testa era accucciata sulla sua spalla, e quando alzai lo sguardo verso destra, notai il suo viso poggiato debolmente contro il mobile in legno all'entrata del mio appartamento.

Ricordai la volta in cui eravamo rimasti sotto la pioggia, appena davanti casa sua, a dormire stretti l'uno all'altro contro il muro.

Perché era venuto a casa mia? Mi scostai dal suo corpo, senza distogliere lo sguardo dai suoi lineamenti.

Lo odiavo perché mi aveva presa in giro, ancora una volta; perché io gli avevo donato me stessa, avevo creduto ancora una volta in qualcosa che non c'era. Lo odiavo a morte... e ne ero ossessionata. Lui era la mia ossessione, e non sapevo cosa questo volesse dire.

E questa sensazione di avere mille emozioni dentro che non sapevo decifrare, mi faceva paura.

«Come posso perdonarti?» sussurrai sulla pelle chiara del suo viso. Era come se non avesse visto il sole da quando era iniziata l'estate. I suoi occhi erano sempre contornati da una leggera linea scura, le guance infossate.

Cosa ti sta succedendo?

I suoi occhi si aprirono, eppure non mi spostai dalla mia posizione. Le mie sottili dita erano ancora sulla sua guancia, e sapevo che lui aveva sentito ciò che avevo detto.

«Da quant'è che siete svegli?» domandò Ben, rompendo quel silenzio che si era creato, quello in cui mi ero immersa. Mi voltai verso di lui: aveva un'espressione tranquilla e assonnata, come se non ci avesse notati abbracciati, o non gli importasse.

Mi alzai, sentendo Justin fare lo stesso dietro di me.

«Da poco» Sospirai, raggiungendo il mio amico e premendo le labbra in una fessura.

Non sapevo cosa dire, cosa fare, come spiegare ciò che era successo a Ben.

O forse lui lo sapeva? O forse sapeva anche più di quanto sapessi io?

Quei pensieri cominciarono a farmi tornare il mal di testa.

«Le tue medicine-»

«Lo so, non c'erano in camera» Abbassai la testa, sentendomi improvvisamente una stupida per aver pensato di essere guarita con così poco. Non avrei mai potuto cambiare chi ero, e avrei dovuto sopportare ancora molti altri attacchi di panico nella mia vita.

«Pensavo solo... che non ne avrei avuto bisogno.» mormorai amaramente.

Ben mi sorrise premurosamente e mi accarezzò la spalla, facendo poi per incamminarsi verso la cucina e venendo fermato dalle parole di Justin.

«Allora io vado» mormorò a fior di labbra, voltandosi senza nemmeno la preoccupazione di dire nulla, di assicurarsi che avessimo sentito, che avessimo da dire qualcosa.

Non volevo se ne andasse, e non volevo desiderare una cosa del genere.

Lui doveva rimanere, perché la sera prima era venuto a casa mia per un motivo, e qualunque fosse mi avrebbe spezzato il cuore se avesse varcato quella soia.

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