... or just wishing it was so?

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«Nuova Zelanda.» affermai. Mi morsi il labbro al pensiero di trovarmi in un posto bello come quello.
Girai la testa ed alzai lo sguardo verso il suo viso: un sorriso era spuntato sulle sue labbra e i suoi occhi erano ancora concentrati sul movimento rilassante che i rami compivano a contatto col vento.
Stavamo tirando fuori tutti i nomi dei luoghi in cui saremmo voluti andare insieme, un giorno.
«Nuova Zelanda.» ripeté, gustando le parole in bocca.
Riportai lo sguardo davanti a me, verso l'unica fessura visibile fra quei rami dalla quale penetrava del sole. Socchiusi gli occhi per il fastidio e continuai a tenere le mani sulla mia pancia, pensierosa.
«A che ora te ne andrai domani?» domandai girandomi a pancia in sotto, poggiando i palmi delle mani sullo stomaco di Cam. Il mento era retto dalle nocche, e il mio sguardo sembrava implorarlo di rimanere il più possibile. Mi serviva una grande iniezione di felicità per affrontare quella serata con Chaz e la mia famiglia, per non parlare della voglia che avevo di passare più tempo con lui.
«In mattinata, credo.»
«Perché così presto? Abbiamo tutta la giornata, posso prendermi un giorno libero a lavoro.» cercai di convincerlo, mettendomi a sedere e guardando lui fare lo stesso.
«Scusa piccola, ma hai già preso un permesso per venire qui con me oggi, non voglio metterti nei guai. E poi devo iniziare a lavorare da mio zio o non avrò mai i soldi per venirti a trovare.»
Mi sorrise convinto e si alzò, lasciandomi sull'asciugamano con una grossa lacuna di senso di colpa dentro.
«Mi dispiace Cam, sul serio» tentai di rimediare, guardandolo di spalle mentre indossava la sua maglietta.
«Prendo qualcosa da mangiare, uhm?» mi avvertì, schioccando un bacio sulla mia guancia e lasciando la sua scia di profumo a tenermi compagnia.
Ero una fidanzata pessima. Si stava facendo in quattro per me e io non facevo altro che peggiorare le cose.
Non avrei mai creduto che quella fosse stata davvero la volta in cu avremmo portato la nostra relazione ad uno stadio avanzato e più serio, ma sembrava davvero così. E io sembravo quella a cui non importava se fosse finita lì o meno.
Quel pensiero non fece altro che tormentarmi per tutto il viaggio di ritorno, fino a quando la sua macchina non si parcheggiò sotto un hotel a pochi chilometri di distanza dalla spiaggia.
«Ho prenotato una camera, passeremo la notte qui.» mi informò soddisfatto, e potei immaginare il sorriso sulla sua faccia. Aveva prenotato una stanza d'albergo?
«Non dovevi, sul serio. E' bellissimo qui.»
Presi un respiro e voltai per la prima volta in quelle due ore lo sguardo verso di lui. Mi sporsi verso il sedile del guidatore per baciarlo e cominciare qualcosa che sarebbe finito nel modo in cui io desideravo, ma lo vidi fermarmi non appena infilai una mano sotto la sua maglia.
«Prima dovremmo lavarci» consigliò, allontanandomi e scendendo dalla sua auto con le borse per il mare tra le mani.
Aggrottai le sopracciglia e rimasi seduta sul sedile di pelle, perplessa per qualche minuto.
Non aveva mai usato una scusa del genere con me, a qualunque occasione era il primo a provare a finire a letto insieme, per non parlare della piccola promessa-minaccia che mi aveva fatto prima di partire per il nostro piccolo viaggio.
Sapevo di essermi comportata da egoista, ma stavo cercando di rimediare, e non riuscivo a pensare di litigare anche con lui. Si ostinava a far finta che tutto andasse bene, e io odiavo quel comportamento protettivo nei miei confronti.
Uscii dalla macchina sbattendo la portiera e seguii le indicazioni dell'uomo pelato dietro il bancone per la mia camera.
Salii al terzo piano di quell'albergo a fottute quattro stelle e bussai alla porta 121.
Non rispose nessuno, e solo poco dopo sentii in sottofondo il rumore dell'acqua della doccia che scorreva. Provai ad aprire la porta e la trovai aperta. Che cos'aveva in mente? Lui nudo nella doccia e la porta aperta?
Mi fiondai alla porta del bagno, pronta per una scenata che già avevo sperimentato tante volte con Justin, e che finiva con uno dei due che sbatteva la porta di un'altra stanza. Ma non volevo che le cose andassero così anche fra di noi, così girai lentamente la maniglia ed entrai silenziosamente.
Il vetro dello specchio era appannato, così come quello delle finestre; il costume di Cam era buttato sul bordo della vasca e la sua figura era sfocata dietro l'anta della doccia per le goccioline d'acqua che correvano da tutte le parti su di essa.
Mi disfai dei miei indumenti senza far rumore, aprii il separé che divideva i nostri corpi oramai nudi e mi infiltrai sotto il getto d'acqua tiepida insieme a lui.
Lo vidi girarsi con un'aria sorpresa, ma non gli diedi il tempo di dire nulla che lo zittii con un gesto della mano e poi lo baciai.
Questa volta non mi allontanò, ma al contrario lo sentii rilassarsi sotto le mie mani e farsi trascinare dal momento. Portai una mano fra i suoi capelli e l'altra sulle sue spalle, poi sulla schiena, scendendo sempre di più. Lo sentii fare lo stesso, fino ad arrivare al mio fondoschiena per strizzarlo giocosamente. Risi sulla sua bocca e morsi rudemente il suo labbro inferiore, sentendo un gemito gutturale risalirgli dalla gola.
C'era adrenalina, fra i nostri corpi, e passione.
Era una connessione talmente profonda da rendermi pazza. Era quello che l'amore era supposto fare, no? Rendere pazze le persone. E se quello non era amore, solo un'altra persona mi veniva in mente. Un'altra persona con la quale ero diventata più che pazza, con la quale ero uscita fuori di testa. Che aveva mandato a puttane il mio modo di pensare e di fare, con un solo sguardo o gesto.
Justin.
A quel punto un'altra domanda fece capolinea nella mia mente: perché pensavo a lui mentre facevo l'amore con Cam?
E, anche in quel momento, ogni mio desiderio di dire a Cam che forse lo amavo, si distrusse in frantumi come i cocci di un vaso che scivola dalle mani.

Potrei dire che a svegliarmi fu il suono degli uccelli che cantavano, o un bacio delicato del mio ragazzo sulle labbra, ma la verità è che la cameriera che era venuta per pulire la stanza non aveva riguardi verso una ragazza che dormiva nuda in un letto.
Sobbalzai, guardando assonnata la piccola donna straniera che camminava incurante da una parte all'altra della camera con un aspirapolvere tra le mani.
Ero ancora troppo addormentata per lanciare uno sguardo cagnesco alla donna, perciò portai una mano ai capelli che erano finiti davanti al viso e l'altra sulle coperte per coprire il mio seno.
In un attimo fui seduta sul materasso bianco, con il lenzuolo stretto al petto e gli occhi spalancati che si muovevano insieme a quelle due gambette corte e scure.
Aprii appena la bocca per chiamare Cam, quando il suo corpo avvolto per metà da un paio di boxer non uscì dalla porta del bagno con un'aria rimproverante indirizzata alla cameriera.
«Avevo detto di aspettare che noi uscissimo!» gridò Cam, alzando le braccia al cielo.
«C'è prossimo turno tra mezz'ora, capo mi ha ordinato di pulire tutte le stanze. Torno tra poco. Mi scusi, signore.» chiese umilmente la donna, raccogliendo la sua attrezzatura ed uscendo.
Non appena la porta si chiuse Cam si voltò verso di me, lasciando andare uno sbuffo e sorridendomi dispiaciuto.
«Be', se volevo farti ricordare questa notte, adesso ci sono sicuramente riuscito.» scherzò, dirigendosi verso il mio lato del letto e sedendosi accanto a me.
«Oh sì, me la ricorderò di certo» annuii in accordo, lasciando incontrare i miei occhi con i suoi, «Per quanto tu ti sia stato perfetto, in tutto.»
Schioccai un bacio sulla sua bocca, guardando la scintilla nei suoi occhi ravvivarsi.
«Non ti rendi conto di quanto io... non sia...» balbettai, cercando un modo per ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto da quando ci conoscevamo. Di quanto aveva lottato anche solo per la nostra amicizia. E di quanto sapessi di non meritarlo, e non avrei mai potuto.
«Ehi»
Poggiò le sue dita sul mio mento, rialzando lo sguardo che avevo abbassato su di lui, e sorridendomi in modo rassicurante.
«Non dirlo mai, chiaro?» puntualizzò, aspettando che annuissi per avvicinarsi a me e abbracciarmi. Sentii le sue labbra posarsi sui miei capelli, chiusi gli occhi beandomi di quel contatto così puro e innocente, qualcosa di cui avevo bisogno.
Non potevo credere di aver realmente pensato a Justin qualche ora prima. Di aver anche solo proiettato il suo volto nella mia mente ancora una volta.
Non meritava quell'attenzione da parte mia, eppure non riuscivo a togliermi il pensiero di lui, dell'ultima volta che l'avevo visto: così diverso, così uguale. Aveva dei nuovi tatuaggi sulle braccia, quasi a riempirne uno. Portava pantaloni larghi e calanti sotto il cavallo, e le mani costantemente nelle tasche con indifferenza. Come se tutto ciò che lo circondava non fosse importante. Ed era esattamente come mi ero sentita quando avevamo parlato.
Aveva realmente detto di avermi amata, e lo aveva detto come per chiarire qualcosa di cui non importa, qualcosa che ormai non ha più alcun significato.
«Forza, torniamo a casa»
Annuii.

A/N
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