Non appena scendiamo dall'aereo, siamo sopraffatti dall'eccitazione che neppure il cielo annuvolato riesce a spengere.
Non sapevo neppure io se fosse perché ero uscita per la prima volta dall'America o perché stavo facendo un viaggio da sola col mio ragazzo. Da sola. Solo con il ragazzo che amavo e senza nessun'altra preoccupazione. Recuperammo i bagagli e fermammo il primo taxi libero che ci si presentò. Essendo ancora estate (seppur la fine), non avevamo beccato una giornata particolarmente fredda, ma il cielo era nuvoloso. Vedevamo le persone girare a maniche corte come se ci fossero abituati, e mi piacque persino quello. Vedere gente nuova, una vita nuova... la mia futura, magari?
Justin non era un amante dei mezzi di trasporto, così, oltre ad aver riso per la sua reazione quando era sceso dall'aereo, decidemmo di non andare subito in hotel, ma di rimanere un po' in città per mangiare qualcosa.
Erano da poco passate le sette, ci trovavamo in Piccadilly Circus, il cielo minacciava di piovere, ma il sorriso di Justin illuminava la mia giornata.
Avevamo un po' girato Londra dall'aeroporto al centro e io già me n'ero innamorata. Era così tranquilla e allo stesso tempo così caotica. E le persone sembravano essere tutte gentili.
Justin continuava a ripetere quanto fosse felice che io fossi lì con lui e sembrava realmente più sereno. Fui così soddisfatta di essere io la causa di quel suo benessere.
Subito dopo che lui mi aveva proposto di partire, ci eravamo messi a vedere dei biglietti disponibili il prima possibile. Era saltato fuori che c'era ancora posto per un volo proprio il giorno dopo. Io e Justin ci eravamo guardati e avevamo capito che sì, eravamo pronti. E non ci era importato granché se gli altri lo fossero o meno. Era qualcosa che riguardava solo noi due, e la cosa mi piaceva sempre di più.
Era il sei di Settembre. Il secondo giorno che ci trovavamo a Londra.
Il giorno prima avevamo mangiato in un pub e ci eravamo divertiti davvero tanto, nonostante fossimo piuttosto stanchi. Quella mattina avevamo deciso di girare un po' la città e poi il pomeriggio saremmo andati a vedere l'Università di Londra.
Avevamo preso la metro e avevamo visto il Buckingham Palace e il Palazzo di Westminster. Inutile dire che con i mezzi e una cartina, non era stato facile impiegare quel tempo per vedere più cose. Così verso l'una meno un quarto ci ritrovammo nuovamente sulla strada di ritorno.
Decidemmo di fermarci all'Hyde Park per mangiare qualcosa e girare per il parco. Il tempo, al contrario del giorno prima, prometteva bene. C'era uno spicchio di sole che dopo una gran fatica era riuscito a mostrarsi un po' e io Justin ne approfittammo.
Intorno al lago c'era tantissime persone: chi studiava seduto sul prato, chi si divertiva a dare da mangiare alle papere e chi come noi passeggiava.
«Amo questo posto.» rivelai, allungando il viso verso il cielo e lasciandomi accarezzare la pelle dal timido sole.
Mi beai del momento, poi presi un respiro d'aria fresca e tornai a guardare Justin accanto a me. Lui mi stava fissando con un sorriso sereno sul volto.
«Che c'è?»
«Vorrei che fosse così per sempre.»
Avrei tanto voluto dirgli che era lo stesso per me, ma non ci riuscii.
«Adesso non fare lo sdolcinato.» gli diedi una gomitata scherzosa e lo baciai sulle labbra.
Ci sedemmo sul prato e continuammo a mangiare il sandwich che avevamo preso finché Justin non decise di lanciare qualche mollica alle papere, che di conseguenza ci accerchiarono in pochi minuti in cerca di cibo.
Fra le risate, io e Justin fummo costretti a correre via mentre un eco di starnazzi risuonava dietro di noi.
Il biondo prese la mia mano e continuammo a dirigersi fuori dal quel parco finché non intravedemmo un cartello con su scritto "Speakers' Corner".
«Scusi, saprebbe dirci cosa vuol dire quel cartello?» chiese Justin ad un passante. L'uomo ci sorrise.
«E' un angolo dove c'è la liberta di esprimersi. Una volta veniva usato per proteste o discorsi liberi. E' un simbolo molto importante per noi.»
Non potei immaginare idea più bella. Mi chiesi come fosse nata e pensai che avrei tanto voluto avere qualcosa di significativo da dire. Poi Justin mi afferrò la mano e mi portò pochi metri più avanti, sotto ad un piccolo incavo di pietra. Si mise in piedi su una panchina dello stesso materiale e mi portò con sé.
«Io amo questa ragazza!» urlò alzando le nostre mani intrecciate. Il caos intorno a noi, le macchine, il traffico, i pedoni, tutto continuò a scorrere come se nulla fosse successo, ma io credetti che, almeno per un secondo, un attimo solamente, il mio cuore si dovesse essere fermato.
Mancavano solo due giorni al rientro in America.
Avevamo visitato tre college nella stessa Londra e due al di fuori. Era il penultimo giorno e avevamo deciso di lasciarci la mattinata del giorno di partenza per noi.
Era stata la settimana più bella che avessi mai passato.
Non avevamo avuto preoccupazioni in testa neppure per un momento, se non quando avevamo preso la metro sbagliata ed eravamo arrivati a China Town. Ed era stata comunque una giornata fantastica dove avevamo assaggiato anche un po' di Cina.
Era quella la vita che avrei voluto per la mia giovinezza. E pensarlo da una parte mi faceva stare male, perché significava lasciare indietro davvero tanto.
Ci fermammo in un piccolo locale per fare la tipica colazione inglese, ma già dopo metà porzione, lasciai il resto intatto. Non c'ero abituata e non era ciò che preferivo di quel posto.
«Allora, cosa ne pensi?» domandò Justin una volta che ebbe spazzolato la sua intera porzione di fagioli, salsiccia, uovo e pane.
«Amo questa città.» affermai sicura. «Può sembrare banale... ma amo la prospettiva che mi riserva.»
Lui annuì in accordo.
«Inoltre, c'è vasta scelta in fatto di college.» aggiunse. Io annuii di rimando e frugai nella borsa per gli opuscoli che da ogni università ci avevano dato nei giorni precedenti. «Mi è piaciuta molto l'Università di Warwick. Credo sia un ottimo college.»
Storsi un po' la bocca. «Sì, e credo anche un po' troppo. Credi che riusciremmo ad avere una borsa di studio?»
Lui sembrò pensarci un attimo su.
«Devo dire che a me è piaciuta anche la City University London. Credo sia un po' di più alla mia portata ed è meglio collegata.»
Justin rimase a fissarmi con un'aria un po' assorta mentre parlavo. «Allora è deciso: si va alla City University London.» sorrise e mi baciò il palmo della mano.
Io la ritrassi appena un attimo dopo e aggrottai le sopracciglia.
«Che c'è?»
«Che vuol dire che è deciso?» Lui alzò gli occhi al cielo.
«Non intendevo che è deciso che ci trasferiamo e tutto... dico solo che in caso, a me va bene la CU di Londra.» Quando vide il mio sguardo ancora piuttosto perplesso e un po' incazzato, continuò con la calma di una persona che sta spiegando ad un matto perché si fosse risvegliato in una tunica grigia e in un letto che non è il suo. «Ascolta, a me non importa realmente del college in cui andremo se ci trasferiremo.»
«Justin, ho solo espresso la mia opinione, ciò non significa che dobbiamo automaticamente fare quello che ho proposto io. Se tu preferisci andare alla Warwick, ne discuteremo. C'è tempo.»
«Ma a me non importa.» Alzò le spalle con indifferenza.
«Ma a me sì.» ribattei. Rimase in silenzio con le labbra contratte e un espressione chiaramente trattenuta. Sembrò cercare di capire, ma poi alzò le braccia al cielo.
«Non ti capisco.» disse con durezza, scuotendo la testa.
«Non so cosa ti faccia paura, Justin. Pensi che se tu deciderai di andare alla Warwick mi perderai? O sei tanto disperato da volertene andare dal luogo da cui vieni da accontentarti?» Il mio tono era serio ma leggermente teso. Continuai a guardarlo negli occhi mentre lui contraeva la mascella. «Non so quale delle due mi spaventi di più.»
Recuperai la giacca ed uscii dal locale. Mi appoggiai contro il muro e estrassi il pacchetto di Lucky Strike dalla tasca.
Justin mi raggiunse a ormai più di metà sigaretta. Raccolse il pacchetto dal muro sul quale l'avevo lasciato insieme all'accendino e se ne accese una.
«Non lo so.» ammise dopo svariati minuti. La sua voce era talmente amara che un groppo crebbe dentro di me insieme alla voglia di gettare la sigaretta, scostarmi dal muro e riempirlo di baci e abbracci per confortarlo. Odiavo sentirlo così afflitto per qualcosa. Volevo il Justin felice, felice da riempirmi il cuore. Tanto da farmi credere di poter vivere solo della sua felicità.
Invece, mi voltai semplicemente verso di lui. La sua schiena era contro la pietra fredda, ma era leggermente ricurvo su se stesso.
«Non so cosa mi faccia più paura. Ma so che voglio sia stare con te che allontanarmi dal posto da cui veniamo almeno per un po'.» Capii che gli ci volle tanto per rivelare quelle parole. Era un ragazzo sensibile ma estremamente orgoglioso, e ammettere che stesse ancora non completamente bene gli era costato.
Gettai il mozzicone a terra. Esitai a rispondere e mi sorpresi dell'amarezza con la quale pronunciai le successive parole.
«Non posso e non voglio essere la tua distrazione, Justin.»
Lui scattò verso di me con la testa. «Non lo sei. Io ti amo.»
Roteai gli occhi al cielo e mi scostai dalla pietra fredda. «Sì, anch'io e tanto. Ma cosa dovesse succedere se io vengo al college con te, rinuncio a quello che adesso mi sto creando con le stesse mani che prima l'avevano distrutto, per poi lasciarci?» Mi resi conto dell'assurdità delle mie parole solo una volta che le avevo pronunciate. Gettò il mozzicone a terra con enfasi e poi mi seguì a qualche metro di distanza.
«Non posso crederci! Non puoi stare seriamente pensando a questa possibilità remota!» gridò.
«Remota?»
«Samantha, io ti amo. Ed è vero, è tutto quello che posso darti adesso. Non ho idea di che futuro potremmo avere noi. Non ho idea di cosa succederà tra qualche anno. Ma so che se me lo chiedessi adesso, ti darei tutto. Tutto il mio amore, tutta la mia vita, perché tanto è già tua. Siamo sempre stati una scommessa, eppure abbiamo sempre puntato tutto l'uno sull'altra. Perché ora hai dei dubbi?»
Senza accorgermene, delle lacrime cominciarono a rigarmi le guancie. Il suo viso era ormai a pochi centimetri dal mio, tanto che potei vedere i suoi lineamenti addolcirsi quando videro la mia reazione alle sue parole.
Avevo desiderato per tutta la vita qualcuno che mi proteggesse, che fosse più forte di me, che potesse salvarmi. Ma poi avevo trovato Justin e avevo capito di non essere l'unica ad aver bisogno di essere salvata. Di non aver bisogno di qualcuno inevitabilmente più forte. C'erano stati dei momenti in cui ero stata proprio io a dover infondere sicurezza in lui, e questo era esattamente ciò che mi aveva resa più forte e sicura di me.
E c'erano i momenti in cui mi dimenticavo di quanto, a volte, andasse bene non esserlo più e avere una persona accanto che potesse esserlo per noi.A/N
Quanto tempo che non faccio un author's note! Holaaaaa!
Allora, so che sono sempre un po' in ritardo, ma l'ispirazione non arrivava... e quella è una cosa che non puoi forzare. Quando viene viene.
Anyway, cosa ne pensate del capitolo? Forse un po' corto, però mi è piaciuto abbastanza. Sempre un quadro sia generale che ravvicinato del viaggio.
Come possiamo vedere non sempre tutto è rosa e fiori. Ho inserito il litigio proprio per mostrarvi che anche loro sono persone normali, in una coppia normale, che litigano e sono insicuri. Justin ancora ha un po' paura e Samantha è insicura. Nobody's perfect (cit. hannah montana).
Soo, chiudo con un'ultima cosa che ci tenevo a dirvi: lo Speakers' Corner, per chi non lo conoscesse, esiste davvero e quando io sono andata a Londra l'anno scorso l'ho inserito fra le note dell'iphone (lol) proprio per inserirlo nella storia (come potete vedere avevo in programma questo viaggio da un bel po' eheh). L'ho trovata un'idea davvero bellissima e dovete sapere che in passato ci facevano discorsi e proteste in quell'angolo di parco dove, appunto, c'è la liberta di parola. Non possono fare e dire nulla contro chi parla. I love it.
La smetto di parlare in inglese because altrimenti non mi fermo anymore.Love ya. x
STAI LEGGENDO
Insanity.
Fanfiction«Perché di tutte le malattie, tu sei quella che mi ha fatta sentire meno malata.» ➳ Sequel di 'The Monster'. ©drunkonhemvings