My soldier

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Justin non si oppose alla mia presenza, e nel giro di pochi secondi ci ritrovammo a parlare di tutto, ma anche di niente. Era ancora silenzioso, a volte, eppure poi ci trovavamo a parlottare di cosa futili ma importanti come i nomi di alcune vie o di alcuni locali che ci facevano ridere, senza sapere come ci eravamo arrivati.

Sembrava essere tutto così spontaneo con lui.

Girammo intorno alla stessa piazza per un paio di volte senza mai accorgercene, finché non notammo lo stesso nome buffo di un locale che ci aveva fatti ridere la prima volta. Justin entrò senza neppure pensarci e dovemmo smettere immediatamente di ridere quando ci accorgemmo che la clientela era davvero scarsa, composta per la maggior parte da anziani signori.

«Considerando che non ho soldi con me, credo che dovremmo uscire.» rise nel mio orecchio dopo aver fatto l'indifferente per qualche minuto, vagando per il locale.

Cercai di soffocare una risata contro la sua spalla, ma ricevetti comunque qualche occhiata sinistra da alcuni signori che sorseggiavano i loro caffè facendo rumoreggiare la bocca al contatto.

Diedi un colpo di tosse per smettere di ridere e guardai Justin.

«D'accordo, per oggi offro io.» affermai, sedendomi ad un tavolo e guardando fuori la vetrata alla nostra destra. Justin si sedette di fronte a me, e quando sentì il mio stomaco brontolare, rise, illuminando la mia visuale.

Mi era mancata così tanto quella risata che non pensai neppure a quello che stava succedendo fra noi due da una mezz'ora a quella parte. Era cambiato tutto così in fretta che sentivo la testa girarmi e il cuore mettersi sotto sopra solo al pensiero.

Accantonai qualsiasi pensiero che avrebbe potuto rovinare quella giornata e alzai lo sguardo quando la cameriera ci raggiunse.

La ragazza dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri sfoggiò un sorriso a trentadue denti quando si accorse di Justin.

Si rivolse prima a lui, alzando il suo taccuino e chiedendogli cosa volesse. Quando lui abbassò lo sguardo concentrato sul menù, lei non spostò un attimo lo sguardo da dove era fermo prima.

Diedi un colpo di tosse, alzando anche io il menù e parlando per prima: «Colazione completa con uova e bacon.»

La sua attenzione si mosse confusa dal ragazzo di fronte a me al mio viso, ricominciando a masticare la gomma nella sua bocca e appuntando l'ordinazione sul foglio. Il suo sorriso scomparve, e al contrario ne comparve uno molto falso sul mio viso.

Lei annuì rialzando lo sguardo e girandosi ancora una volta verso Justin.

Sentii qualcosa scatenarsi dentro, ribollirmi il sangue.

Justin guardò prima me, molto confuso, come se non si fosse accorto di nulla, e poi la cameriera, rivolgendogli un sorriso e dettandole l'ordinazione.

Questa se ne andò solo dopo aver rivolto un sorriso grande al biondo ed averlo ringraziato.

Continuai a guardare la ragazza svanire dietro la porta della cucina, mentre sentivo l'occhiata incessante di Justin torturarmi.

«Cos'era quello?» rise, indicando dietro di sé i passi che la biondina aveva appena compiuto.

Alzai le spalle, rivolgendogli un piccolo sorriso: «Niente.»

Io e Justin finimmo di mangiare in quel posto, ridendo per la clientela che continuava ad arrivare e contando il tempo che ogni anziano ci compiva a consumare la propria ordinazione prima di andare via.

E mi era bastato quello, perché ridere insieme a lui aveva migliorato la mia giornata.

Non sentivo il bisogno di dimostrare niente a nessuno, e avevo desiderato di trovarmi in pace con lui da tempo.

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