Falling in love...

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Mi svegliai con la voglia di prendere a pugni qualcosa.
Dopo che la sera prima avevo parlato con Justin mi ero ricomposta ed allontanata da lui e dal locale gremito di gente il più in fretta possibile.
Avevo aspettato fuori l’entrata principale che gli altri arrivassero e, al momento dell’incontro, dopo averli visti esultare per i soldi racimolati, mi ero fatta accompagnare a casa da Cam.
Inutile dire che era rimasto a casa mia e che le cose ci erano sfuggite di mano, perché sarebbe un dettaglio scontato.
Quando roteai il mio corpo fra le coperte del mio letto notai il bigliettino bianco che occupava lo spazio vuoto accanto a me, e che citava: “Sono alla palestra, torno per pranzo.
                                                                            Sei bellissima quando dormi x”
Sorrisi a quelle parole e sospirai subito dopo; non era così che avevo immaginato quel risveglio. Ma almeno adesso avevo i soldi che mi servivano.
Quando mi alzai indossai una canotta bianca e dell’intimo pulito e preparai due buste contenenti soldi per l’affitto e per Giorgia.
Successivamente mi concentrai sul problema più importante in quel momento: la mia auto. Dopo la denuncia, la polizia non mi aveva fatto sapere nulla e non avevo idea se l’avrebbero ritrovata o meno, perciò mi preparai mentalmente una nota per ricordarmi di controllare sul giornale qualche auto in vendita.
Sorrisi ringraziando silenziosamente me stessa per l’ottima idea che aveva tirato fuori e cacciai dal mio armadio un paio di pantaloncini della tuta da indossare, prima di uscire di casa.
Quando arrivai alla palestra non dovetti nemmeno presentare un cartellino o qualcosa del genere ma, come al solito, il nuovo segretario mi fece un cenno del capo  indicando la prima stanza a destra che compariva nel corridoio.
Quando veniva a trovarmi, delle volte, l’istruttore di boxe lasciava a lui la sua lezione, presentandolo come uno stimato istruttore venuto da lontano solo per loro.
Attraverso la porta di vetro riuscii a scrutare indisturbata Cam che faceva lezione di boxe ad un gruppo di ragazzi e ragazzi più giovani di lui.
Molti erano concentrati su quello che diceva, altri –o meglio, altre- concentrate semplicemente su di lui, mentre io scrutavo ogni minimo dettaglio che lo caratterizzava in ogni movimento.
Non sapevo se l’amassi, ma sapevo che se dentro di me ci fosse stato un sentimento il più vicino possibile all’amore fra due fidanzati, quello era certamente destinato a lui. E per quanto mi ripetessi ogni volta che eravamo insieme che lui meritasse di più, il mio egoismo mi impediva di lasciarlo andare e cercare qualcuno che lo potesse amare come meritava.
Era sempre rimasto con me in quei mesi, nonostante lo avessi messo da parte più volte senza volerlo.
Era venuto in clinica circa tre o quattro settimane dopo che ero entrata, avendo saputo la notizia da poco. A quanto sembrava mia zia non aveva idea di dove i miei mi avessero mandato, e Cam dovette chiederle il numero dei miei genitori, i quali, stranamente, gli avevano permesso di vedermi.
Un senso di rimorso crebbe dentro di me per l’ennesima volta a quei pensieri.
Distraendomi dalle fantasie a cui stavo permettendo di riemergere, mi accorsi del fiume di ragazzi che stava sfociando dalla porta al mio fianco, lasciando nella stanza solo il mio sexy ragazzo.
Non appena la sala fu smaltita, entrai e chiusi la porta dietro di me, emettendo un rumore che richiamò Cam dai suoi pensieri. Si voltò frettolosamente nella mia direzione, incontrando il mio ghigno divertito e malizioso.
«Vedo che l’hanno lasciata sola, istruttore.» lo stuzzicai mordendomi un labbro giocosamente.
Un ghigno si formò sul suo volto.
«Ha indovinato.» Alzò  le mani in aria, avvicinandosi.
«Chi mai vorrebbe lasciare un istruttore sexy da solo?» lo provocai.
Quando arrivò a me poggiò le sue mani sui miei fianchi e si avvicinò lentamente al mio viso, lasciando un soffio a dividere le nostre labbra. Mi istigò sorridendo e lasciando sfiorare le nostre bocche senza mai un contatto più profondo. Mi mossi io voracemente verso il suo viso, necessitando di quell’unione.
Quando mi staccai lo sentii ridere ancora e poi ritornare ad armeggiare con attrezzature da palestra.
«Allora, pensavo ci saremmo visti a pranzo?» domandò ancora con lo sguardo sugli oggetti fra le sue mani.
«E io pensavo di darti un po’ di fastidio qui, giusto per scaricare un po’ lo stress» affermai, alzando le spalle quando mi rivolse la sua attenzione. «Gli ultimi giorni sono stati un po’ pesanti.»
Sembrò ragionare un momento sulle mie parole e, appena prima che aggiungessi qualcosa, mi precedette: «Certo, nessun problema.»
Annuii lasciando la mia borsa a terra e posizionandomi al centro della stanza con le spalle verso lo specchio come mi aveva insegnato lui.
Lo sentii collocarsi circa mezzo metro dietro di me ed avvicinarsi il più velocemente possibile. Mi girai prontamente e saldai la mia mano sul suo braccio, piegando il suo corpo e preparando il mio piede per sferrarlo sul suo addome, ma prima che riuscissi a terminare la mossa, lui mi afferrò una gamba e mi stese a terra, finendo sopra di me.
«Pensavo sapesse fare di meglio, Bass»
Mi morsi il labbro inferiore lasciando i suoi occhi concentrarsi su di esso, e non esitai a rovesciare la situazione, finendo così sopra di lui.
«L’allievo supera il maestro» soffiai sulle sue labbra, giocando al gioco che lui stesso aveva iniziato. Lasciai le nostre bocche scontrarsi ma mai unirsi, e concessi a lui il privilegio di farlo.
Ad interrompere quel momento fu il rumore stridulo della porta che veniva aperta.
«Cam i ragazzi della prossima—» Entrambi sentimmo la voce di Brian –il segretario- irrompere nella stanza, e rapidamente si staccammo e ricomponemmo in piedi. «Uhm, li faccio attendere un minuto» annunciò quest’ultimo sorridendo divertito ed uscendo dalla stanza.
«Almeno adesso sa che sei impegnata» Mi fece un occhiolino e si incamminò verso la sua bottiglia d’acqua e il suo asciugamano.
«Non credo fosse interessato a me, o al genere femminile.»
Sorrisi accarezzandomi il labbro inferiore con le dita.
Socchiusi la bocca pronta per dire qualcosa ma lasciai il telefono parlare per me, e mi affrettai a rispondere.
«Mamma?» esordii stupita. I miei genitori non mi chiamavano spesso, decisamente non di mercoledì mattina.
«Ehi, tesoro! Come stai?»
«Uhm, bene, credo.» indugiai, pensando ad una motivazione per la quale mi avrebbe chiamato nel mezzo della settimana.
E’ tua madre, magari vuole solo sentire come stai, mi convinsi.
Cam aveva già rivolto la sua attenzione verso di me e aveva le sopracciglia aggrottate.
«Questo sabato i tuoi zii passano a trovarci, potresti rimanere a cena da noi?» propose, lasciandomi un attimo col fiato sospeso.
Rivedere Marilyn mi avrebbe fatto molto piacere, ma rivedere Chaz? Non sapevo se ero pronta.
Non avevo più avuto modo di fare nulla da quando ero stata mandata in clinica e poi mi ero trasferita a Livingston, ma ero andata un paio di volte a trovare mia zia e avevo intimato a suo marito di tenere le mani a bada, altrimenti non mi sarebbe assolutamente importato nulla di denunciarlo e lasciare il figlio senza padre.
Quell’uomo non poteva essere un padre, non era degno di essere chiamato neppure uomo.
Sapevo che il mio comportamento era totalmente irrazionale — avrei dovuto dire tutto nell’esatto momento in cui ero uscita dalla clinica, ma per la prima volta riuscivo ad ammettere che quella era una responsabilità troppo grande per una ragazza di appena diciotto anni.
Avevo appena fatto qualche passo avanti per risolvere i miei problemi che ne dovevo già fare altri cento per risolverne altri.
Sospirai a quella notizia e sentii i passi di Cam farsi più vicini.
Quando riaprii gli occhi lo vidi di fronte a me con i suoi soliti occhi cangianti e i capelli che li nascondevano parzialmente.
«Okay, ci sarò.» risposi con convinzione e senza asprezza nella voce.
«E’ perfetto tesoro! A sabato, ti vogliamo bene.» La voce di mia madre era così piena di affetto che non potei non ricambiare.
«Anche io ve ne voglio.»
Quando attaccai posai il telefono nella mai borsa e sentii improvvisamente la terra mancarmi da sotto ai piedi e una presa stringermi da sotto le gambe e dalla schiena.
Cam mi lasciò dondolare dalle sue spalle a mo’ di sacco di patate ed una sincera risata uscì dalla mia bocca, andandosi ad unire alla sua.
Quella dannata risata bellissima che non sapeva di avere, un suono di cui volevo bearmi ogni volta che lo sentivo. Il pensiero di esserne la causa mi riempì il cuore e non potei non pensare a cosa avessi di speciale da piacergli.
Quando finii sui tappetini colorati che usavano per yoga, ritrovai il suo viso sopra al mio che ancora sorrideva.
Scacciai quei pensieri dalla mia mente concentrandomi solo su uno di essi: credevo proprio di starmi innamorando di quel ragazzo.

Io e Cam passammo il resto della giornata insieme, praticando boxe, mangiando un hamburger e successivamente guardando un film nel mio appartamento in attesa che l’orario del mio turno di lavoro arrivasse.
Più che guardare il film io non riuscivo a distogliere i miei occhi da lui. Da ogni santissima mossa che faceva. Non avevo parole per descriverla. Era quella sensazione insaziabile, di cui potresti nutrirti per sempre.
Avrei potuto guardarlo per ore, forse anni, senza mai stancarmi.
Non appena si era addormentato sul suo divano gli avevo lasciato un post-it in cucina per comunicargli che sarei andata a lavoro ed ero uscita con un sorriso sulle labbra.
Quando arrivai al bar mi fiondai dalla mia collega e gli lasciai la busta bianca nella tasca del grembiule.
«E questa cos’è?» chiese lei con riluttanza.
«Sono i soldi che ti dovevo.» Alzai le spalle, prendendo un panno e cominciando a pulire un tavolo e disfarlo dai resti di ciò che i clienti precedenti avevano ordinato.
«Sam, ti avevo detto che avresti anche potuto darmeli più in là. Questi soldi li hai guadagnati nel tu-sai-che-modo.»
Ridacchiai alla sua affermazione e alla faccia che aveva assunto, come se fosse sconvolta.
«Stai tranquilla, i soldi mi bastano. Non ce n’erano poi così tanti nella borsa.» precisai, trasportando un vassoio con piatti e bicchieri da lavare e sentendo i suoi passi seguirmi.
«Sei sicura? Perché per me—» la interruppi sorridendo per la sua generosità e negai ancora una volta. «D’accordo, allora adesso mi dirai il motivo di questo investimento?»
«E’ una sorpresa.»
«Per chi?» Continuò a venirmi dietro con tono indagatorio.
Finendo di servire un tavolo mi girai verso Giorgia e presi un sospiro: «Per Ben.»
La vidi subito addolcire le pieghe del viso e alzai gli occhi al cielo, odiando gli esulti da ragazze e tutto ciò che ne riguardasse, e sapendo che avrebbe iniziato ad affermare quanto eravamo carini, quanto lui gli piacesse e tutte quel genere di cose che direbbe una tipa come lei.
L’amicizia fra me e Ben era sempre stata come quella fra due maschi, solo più travolgente: era piena di pacche sulle spalle e nomignoli divertenti, piena di parolacce dette attraverso la cornetta del telefono alle due di notte e sbronze che ci hanno quasi fatto investire da un auto. Ma negli ultimi tempi tutto questo si era trasformato in un casino assurdo. Dal mio ricovero alla sua assenza per sei mesi, per non parlare del suo atteggiamento restio nei miei confronti, probabilmente per il senso di colpa che ancora lo attanagliava e di cui non riusciva a disfarsi.
Volevo dimostrargli di aver dimenticato quello che era successo, di averlo lasciato indietro insieme alla mia vecchia vita. Lui era la mia nuova.
Sorpassai la mia collega nell’esatto momento in cui aprì bocca, attendendo che la fine del mio turno di lavoro arrivasse.

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