Are you real?

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Non appena la porta della camera di Giorgia si chiuse, Ryan si lasciò andare pesantemente sul divano. Lo seguii con lo sguardo e concentrai i miei occhi sulle pieghe del tessuto intorno al suo corpo che si piegavano al contatto. E mi ritrovai a pensare a quanto l'avrei voluto prendere a pugni. Non Ryan. Qualunque cosa, sinceramente, o qualunque persona.

Abbassai lo sguardo sull'asciugamano fra le mie mani e ricominciai a strofinarlo sui capelli; aggrottai le sopracciglia quando la voce di Ryan interruppe la quiete malata della mia mente.

«Cam, uhm?»

«Cosa?» risposi prontamente, senza lasciar trasparire alcuna emozione.

«Voglio dire: è okay per te che Sam esca con quel tipo?» Potevo sentire la sua nota tagliente da diversi metri distante da lui.

«Non vedo perché no.» Alzai gli occhi al cielo, anche se lui non stava guardando me ma un punto vuoto nello spazio. Pensai quanto Ryan ce la mettesse tutta per farmi perdere la pazienza. «E poi non me ne frega un cazzo di con chi esce.»

Ryan sbuffò e per un momento credetti veramente che se ne sarebbe andato, lasciandomi da solo con la mia commiserazione.

E non avrei voluto, anche se non l'avrei mai ammesso.

Si mosse scomodo sul divano, cercando le parole da dire, probabilmente sorvolando il problema del "che siano più delicate possibile", perché con me aveva smesso di pensarci tempo fa.

«Davvero? Per quanto ancora fingerai che non ti frega un cazzo di niente?» gesticolò, ridendo amaramente. Nonostante il suo tono e le parole, sembrava calmo, come se avesse elaborato quei pensieri nella mente per mesi, aspettando il momento adatto per dirle.

«Perché, andiamo, sappiamo entrambi che non è così.»

Si alzò di scatto, mentre io ero rimasto nel mezzo del salotto, con i capelli umidi che gocciolavano sulle mie spalle nude. Era come se la mia corazza, davanti a Ryan, fosse inesistente.

«Allora mi chiedo: vuoi davvero perderla un'altra volta per il tuo stupido ego? Parlale, cazzo.»

Aveva la testa bassa e gli occhi socchiusi, i suoi capelli ricadevano sulla fronte, creando un'ombra che lo rendeva ancora più categorico. E se non avessi conosciuto quel biondino che avevo davanti da diciannove anni, probabilmente lo avrei preso a pugni.

Poi si mosse verso il corridoio, lasciandomi con un desiderio ancora più grande di arrivare alle mani con quella testa di cazzo riflessa nello specchio.

Quando le ragazze tornarono, io ero nella mia stanza, ma riuscii a sentire comunque il suono delle loro risate che risuonavano nell'appartamento di tanto in tanto.

Eppure il suono di quella di Sam spiccava fra le due, facendo crescere un buco enorme dentro al mio petto e un sorriso triste sul volto.

Quando guardai l'ora l'ultima volta erano le sette e venti, e cinque minuti dopo mi alzai con uno sbuffo, sapendo che quella sera Ryan era leggermente adirato, e che se non avessi pensato alla cena, nessuno l'avrebbe fatto.

Non che mi piacesse cucinare (o che mi andasse), ma si poteva dire che l'avere una mamma che adorava farlo era un punto a mio favore.

Quando squadrai la cucina, notai con stupore Ryan che lavava i piatti del pranzo e della colazione buttati nel lavabo. Mi incamminai verso il panno asciutto alla destra del mio amico e cominciai ad asciugare i cocci che lui lasciava sul ripiano davanti a me.

Nessuno disse nulla, e il mio ego, come aveva detto lui, era fottutamente troppo grande per dirgli che aveva ragione e che avrei voluto varcare la soia della camera di Giorgia e gridare a Sam ciò che pensavo.

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