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I due giorni successivi li passai alternando il ricordo della straniera, poiché anche se avevamo parlato a lungo a nessuna delle due era passato per la testa di presentarsi, al tormento causato dalle parole del dottor Kang.

In qualche modo riuscii a non darlo a vedere a mia madre e ai miei amici. Mi mostrai come la solita Kay sorridente e piena di energie che a volte si perdeva nei suoi pensieri.

Non so se fosse suggestione o meno ma quella mattina mi sentivo a pezzi. Provavo una sensazione alla bocca dello stomaco davvero terribile e la testa mi stava iniziando a far male. Feci come il dottor Kang mi aveva consigliato, ovvero, provai a stendermi sul letto e rilassarmi dopo aver preso il medicinale che mi aveva consegnato prima di farmi tornare a casa.

Come concordato mi presentai in ospedale nel pomeriggio. Mi accolse con un sorriso, mi sottopose ad altri test e nuovamente mi fece le analisi del sangue. Aspettai i referti nel suo ufficio mentre mi fece quelle che erano domande di ruotine: come fossi stata i quei due giorni, il tipo di alimentazione abituale, se fumassi, se bevessi, se praticassi qualche tipo di sport, etc.

Era un uomo davvero gentile e sembrava anche piuttosto giovane per essere primario. Sebbene il mio rapporto con i medici dopo la morte di mio padre fosse alquanto complicato, quell'uomo mi infondeva uno strano senso di fiducia. Era facile parlare con lui e sembrava amare il suo lavoro.

Quando però iniziò a leggere i referti qualcosa nel suo sguardo cambiò. Divenne serio e il sorriso che fino a poco prima alleggiava sul suo volto pian piano si dileguò.

Dopo un tempo che mi sembrò infinito, l'uomo si tolse gli occhiali e si massaggiò gli occhi, poggiando sulla scrivania i fogli. Prese un gran respiro e mi guardò.

«Signorina Evans...»

«La prego, mi chiami semplicemente Kay»

Iniziò a spiegarmi quello di cui poteva trattarsi. Ascoltai con attenzione le sue parole, sperando che concludesse il tutto parlandomi di una cura. Purtroppo, quella parte non arrivò mai.

Continuando così, mi rimanevano più o meno quattro mesi a detta del dottor Kang. Chiesi come si sarebbe evoluta la situazione e lui si premurò di avere tatto nel precisare che, seppur la malattia sia stata latente fino ad adesso ormai quanto successo non era altro che l'inizio di una rovinosa discesa.

Non vi erano cure che potessero cambiare il finale che mi aspettava. Poteva prescrivermi dei farmaci che avrebbero alleviato il dolore, quello sì, ma non avrebbero arrestato l'andamento della situazione.

Avrei dovuto evitare di bere spesso e possibilmente di fumare, inoltre, avrei dovuto evitare sforzi eccessivi che potevano affaticarmi troppo; quindi, continuare a praticare basket nella squadra della scuola era fuori discussione.

Stavo vivendo un incubo, volevo svegliarmi e scoprire che tutto quello non era reale. Non mi accorsi di aver iniziato a piangere fin quando non mi porse un pacco di fazzoletti. Alzando lo sguardo su di lui, incontrai il suo sguardo triste.

«Mi dispiace molto, Kay. Se preferisci parlerò io con tua madre.»

Quelle parole furono per me una pugnalata al petto. Non era un incubo, era la realtà. Dalla realtà non ci si poteva svegliare.

Scossi la testa e mi schiarii la voce dicendo che ci avrei pensato io al momento opportuno. Lui acconsentì, come due giorni prima non sembrava accettare la mia insistenza nel voler tenere tutto segreto per il momento.

Mi consegnò un piccolo telecomando, grande poco meno di una moneta. Spiegandomi che in caso mi sentissi male come la prima volta avrei dovuto premerlo e l'ambulanza sarebbe arrivata seguendo il segnale gps che quel piccolo aggeggio metallico aveva incorporato.

Tornai a casa dopo essere passata dalla farmacia, nascosi i farmaci nel cassetto del comodino vicino al letto. Infine, cercai la collana più lunga e vi infilai il piccolo bottoncino metallico, così da portarlo sempre al collo per qualsiasi evenienza.

Spensi in cellulare, non volevo sentire nessuno. Volevo stare per conto mio, almeno per quel giorno. Mi serviva tempo per metabolizzare meglio quanto accaduto. Non cenai nemmeno, dicendo a mia madre di non sentirmi bene per via del ciclo, e passai il resto della notte a chiedermi perché. Perché a me? Cosa avevo fatto di sbagliato? Non trovai risposta ma quelle domande mi tennero sveglia fino a notte fonda.

I giorni seguenti li passai in compagnia dei miei amici e la sera a casa con mia madre. Sembrava un po' stupita dal fatto che avevo smesso di uscire, però non si lamentava. Mi chiese più volte se fosse tutto okay o se avessi litigato con Sus e Leo, risposi soltanto che a breve sarebbe ricominciata la scuola e che quindi volevo riprendere il normale ritmo scolastico.

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