Iniziò ad essere complicato fingere di star bene, non solo per le volte in cui avevo i miei episodi ma anche mia madre che ormai stava a pezzi, per Susan e Leo che sembrano capire che stessi nascondendo qualcosa, per Bex che anche se non mi poneva domande notava qualche stranezza. Tutto sembrò diventare pesante e insostenibile.
Ciò che mi fece avere un crollo fu vedere l'allenamento di basket una mattina durante l'ora di educazione fisica. Capitava che il coach chiedesse ai professori qualche ora al mattino se in previsione vi era una partita importante. Così, quando entrai in palestra e vidi le mie ex compagne di squadra allenarsi mi si strinse in petto.
Sentivo la voglia matta di spogliarmi e indossare l'uniforme. Di scendere in campo. Sentivo le gambe fremere e chiedermi quasi in una supplica di correre. Non lo feci, ovviamente. Sapevo di avere dei limiti. La professoressa Lancaster mi sorrise e si avvicinò a me.
«Come va, Evans?»
«Tutto come sempre... Lei prof?»
Il mio sguardo continuò a puntare la palla da basket che, quasi come chiamata a raccolta rimbalzò verso di me a causa di una mancata presa da parte di una nuova ragazza. L'afferrai e fu come se mi fosse mancata l'aria fino a quel momento. Istintivamente sorrisi tristemente e mi persi nel fissare quella sfera rossiccia.
Sentii la mano della professoressa poggiarsi sulla mia spalla, girandomi incontrai il suo sguardo. Capii che comprendeva, seppur in minima parte, il mio stato d'animo. Lei si dovette ritirare poco dopo le superiori per via di un grave infortunio alla gamba, da quel momento scelse di entrare in campo solo come allenatrice.
La vidi schiudere le labbra come per dire qualcosa ma una voce fin troppo conosciuta dalle mie orecchie richiamò l'attenzione di entrambe.
Kelly stava letteralmente urlando contro la ragazza che si era fatta sfuggire il passaggio. La povera recluta stava in silenzio e a testa bassa, ormai aveva perso anche la voglia di ribattere, si capiva da come stringeva i pugni ma non osava proferire parola. Sam provò a richiamarla, ma fu tutto inutile.
La Lancaster si avviò a grandi falcate verso di lei, pronta a riprenderla e a spedirla in panchina molto probabilmente. Kelly sembrava accanirsi con la povera ragazza quasi come se avessero perso il campionato a causa sua.
Capii in quel momento il perché di tanta rabbia. La ragazza giocava in quella che prima era la sua posizione, lei invece era stata spostata nella mia. Non so se per scelta della professoressa o per sua richiesta.
Una seconda ragazza, probabilmente del primo anno, si avvicinò a me e mi indicò la palla. Distolsi per un attimo gli occhi da Kelly e Sophia, o così almeno mi era sembrato di capire che si chiamasse.
Scossi la testa e guardai la palla. Ero ben lontana dal canestro ma non troppo da non riuscire a centrarlo. A fine allenamento, proprio con Kelly e Sam, spesso ci fermavamo dieci o quindici minuti in più per vedere chi faceva più canestri dai posti più strani sparsi per la palestra, l'ultimo pagava il gelato al ritorno.
Così, lanciai la palla. Centrai il canestro così perfettamente che si sentì solo il lieve movimento della rete e poi il tonfo per via del rimbalzo al suolo. Le due che erano poco sotto il canestro si girarono e infine Kelly, mi guardò. La mia classe era appena entrata in palestra, si fermarono a guardare la scena.
Mi mossi verso di lei senza nemmeno rifletterci molto, semplicemente non mi piaceva cosa stava facendo. Non era su quella povera ragazza che voleva sfogare la sua rabbia, ma su di me. Perché ero stata io a lasciare la squadra e perché, per lei, le avevo abbandonate senza nessun tipo di rimorso.
«Non dovresti prendertela con le reclute se non riesci a fare un passaggio decente.»
«Come scusa?!»
«Hai sentito. Dovresti imparare a modulare meglio i passaggi, era fin troppo a destra per lei. Non è colpa sua se l'ha mancata. Non dovresti trattare così le tue compagne, non è così che giochiamo.»
Kelly mi guardò come se volesse fucilarmi con lo sguardo. Sam provò a metterle una mano sulla spalla ma lei la scansò.
«Infatti, tu non giochi. Vedi di farti gli affaracci tuoi.»
«Il fatto che io non giochi più con voi non significa che non possa darti comunque qualche lezione, ancora.»
Quella frase sembrò farla arrabbiare più del dovuto. Mi raggiunse in poco, ignorando i vari richiami della Lancaster e di Samantha. Non indietreggiai ritrovandomela davanti, sapevo che non mi avrebbe mai messo le mani addosso. Era impulsiva ma non stupida.
«E sentiamo, mh? Cosa mi può insegnare qualcuno come te? Mi vieni a fare la predica su come trattare le compagne di squadra quando per prima tu ci hai abbandonato senza nemmeno un preavviso. Vuoi insegnarmi questo? Come lasciare indietro la tua squadra? Sai Kay, non me la bevo la storia del trasferimento.»
Sapevo che per Kelly, il basket, non era solo uno sport. Era tutto, perché era stato proprio quello sport a salvarla quando stava affrontando momenti difficili. Io, quando decisi di lasciare la squadra, avevo tradito quella che lei riteneva una famiglia. Eppure, le sue parole in qualche modo mi fecero male.
«Possiamo giocare ad armi pari. Cinque minuti totali, chi riesce a fare più canestri vince. Se vinco io smetterai di sfogare questa tua rabbia insensata su altri, perché sappiamo entrambe che è rivolta a me, chiederai scusa alla ragazza di prima e accetterai la mia decisione. Se vinci tu rientrerò in squadra fino al mio trasferimento e risponderò alle tue domande, se ne hai.»
La professoressa Lancaster non sembrò per nulla felice della piega che la situazione prese. Kelly, però, la conoscevo bene e quel sorriso che si dipinse sul suo volto mi fece capire che aveva accettato.
«D'accordo Evans. Sentiti già pronta a sudare dieci divise per tutto l'allenamento che hai perso in questo mese e che ti farò recuperare. Ti concedo qualche minuto di riscaldamento, non voglio che ti strappi qualche muscolo, ci servi intera.»
Mi lasciò lì, tornando al suo allenamento.
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Blackout
RomanceTutti abbiamo un momento che non dimenticheremo mai, poiché impresso nella nostra mente come un marchio rovente. I motivi possono essere diversi per ognuno di noi. A segnarci potrebbe essere stato un gesto, una parola, un avvenimento o, come nel mio...