Il suo sguardo era sicuro, la stretta delle sue mani nella mia era salda. La sua era una decisione che non ammetteva repliche. Mentirei se dicessi di non aver sentito il cuore battere all'impazzata per le sue parole. Quando mi baciò sentii un leggero gusto salato sulle labbra.
Appoggiai la fronte alla sua e passai il pollice sotto i suoi occhi, cercando di cacciare via le lacrime dal suo volto.
«Non mi importa quanto tempo resta, lo passeremo insieme. Okay? Me lo prometti?»
Il suo tono esprimeva paura. Aveva paura che la rifiutassi. Avrei dovuto farlo, magari davvero sarebbe riuscita a riprendersi e a odiarmi per averla allontanata da me. Poi però capii che allontanandola l'avrei fatta soffrire inutilmente perché in ogni caso, come lei stessa aveva affermato, non si sarebbe arresa e sarebbe comunque rimasta al mio fianco. Sospirai e annuii chiudendo gli occhi.
«Okay, sì... te lo prometto.»
Fu un mormorio il mio ma lei lo sentì chiaramente e subito mi baciò per poi abbracciarmi. Quella notte, dopo molte mie suppliche Bex acconsentì e dormì al mio fianco, tra le mie braccia, fino a quando mia madre non arrivò per darle il cambio. Non avrei permesso che passasse la nottata sulla sedia.
Credetti di aver finito con le spiegazioni, ma il giorno seguente smentii i miei pensieri. Mia madre era uscita dalla camera per prendere un caffè, dopo che quasi dovetti costringerla. Passarono circa cinque minuti e il suono della porta non mi parve strano, sapendo che presto sarebbe rientrata.
La voce che sentii però non apparteneva a mia madre.
«Incosciente.»
Mi voltai e a scrutarmi vidi degli occhi arrossati, gonfi. Occhi di chi ormai erano giorni che non dormiva bene e che per lo più piangeva.
«Coach...»
«Sei stata un'irresponsabile a giocare quella partita pur conoscendo le tue condizioni!»
Mi sentii in colpa, nuovamente. Quella donna aveva perso la madre da poco più di qualche giorno e adesso, si trovava davanti a me, in un ospedale per l'ennesima volta in così poco tempo.
«Oggi sono rientrata a scuola. Non sono stata avvertita subito della situazione ma ho compreso bene fin da subito che qualcosa non andava. Ho chiesto spiegazioni sul perché, pur avendo vinto, non saltassero di gioia e mi è stato riferito l'accaduto. »
«Lo so e mi dispiace. Quando venni a conoscenza della mia situazione faticai non poco ad accettarla. Decisi di smettere col basket per non aggravare il mio stato, lo sa benissimo coach. »
«Comprendo il tuo stato d'animo ma non condivido la tua scelta. Non avrei mai permesso a te di giocare, Kaylee. Non è egoismo, non mi piace vederti in un angolo a osservare, ma non puoi prendere le cose alla leggera data la tua situazione. Il dottor Kang ha detto che poteva andarti peggio di così. Sei stata un'incosciente e Samantha non avrebbe dovuto chiederti questo.»
«Non è colpa sua. Non sapevano nulla di tutto ciò. Ho scelto io di accettare, come le ho già detto. Credevo che avrei potuto farcela, ma mi sbagliavo. Però... avevano bisogno del mio aiuto ed io non sono riuscita a dire di no...»
Sentii i miei occhi inumidirsi e di corsa cercai di asciugarmi le lacrime. Non volevo piangere davanti a lei.
«Ma sto bene... la situazione non è poi cambiata molto rispetto a ciò che mi aspetta. Non volevo far preoccupare nessuno. Io... sto bene, davvero.»
Iniziai a bofonchiare parole sconnesse, ripentendo più volte di star bene. Col senno di poi, credo che più che ripeterlo a lei quel 'sto bene' volessi ripeterlo a me stessa.
Volevo continuare a cullarmi nella folle idea che anche se stavo per morire comunque la mia vita poteva continuare tranquillamente fino all'ultimo sospiro che avrei tirato. Avevo però iniziato a capire dal giorno prima che questo non sarebbe successo.
In quelle ore stava nascendo dentro di me un senso di puro terrore sul divenire. Sul come si sarebbe evoluta questa cosa. Sul come io mi sarei ridotta nell'arco di quei due mesi restanti. Mi sentii indifesa, piccola... inutile.
Non riuscii a fermarle. Le lacrime avevano deciso di continuare il loro cammino e i singhiozzi fecero compagnia al sale liquido che mi bagnava le guance. Sentii poi il calore di due braccia circondarmi.
È sempre stata una persona che non tratta i propri alunni come dei numeri segnati in rosso su dei fogli. Il suo abbraccio, quindi, non mi stupii.
«Perché...? Perché questo deve succedere a me...? Mi dica il perché di tutto questo, la prego...»
Ascoltò le mie parole spezzate dai singhiozzi. Non disse nulla, si limitò a cullarmi e ad asciugare le mie lacrime. Io continuai a chiedere delle risposte che, purtroppo, nemmeno lei aveva.
Non so perché lo feci. Mi sfogai con l'unica persona con cui sapevo di poter cedere senza sentirmi in difetto nel mostrarmi indifesa. Forse perché in realtà la differenza di età tra noi alunni e lei non era poi molta, forse perché avevamo condiviso gioia, rabbia, pianti dopo ogni partita.
Come già ho spiegato, per molti di noi la professoressa Lancaster, è sempre stata molto più che una coach attenta e una professoressa brava nel suo mestiere. È stata un punto di riferimento e un'ottima ascoltatrice oltre che consigliera.
«Kay... io non so dirti perché. Mi distrugge non poterti dare una spiegazione, la verità è che nessuno mai lo saprà. Il futuro è incerto per ognuno di noi... So che non è d'aiuto dirti ciò. So che stai male e non lo vuoi far notare. Che fai di tutto per continuare a essere la solita, per non far preoccupare nessuno. Ma... credimi quando ti dico che ero terrorizzata dalla possibile situazione che avrei trovato arrivando qui. Sai quanto io tenga a voi. Quando mi hanno detto che eri svenuta in campo non riuscivo a non pensare ad altro che correre qui per avere notizie. Comprendo ciò che provi ma... ti prego non rischiare più. Una partita ti avrebbe potuto portare via tutto ciò che ti resta.»
Mi sorrise alzandomi il volto con l'indice e mi asciugò le lacrime come solo una sorella maggiore avrebbe potuto fare.
«Tu vali molto più di una partita Kaylee. Il tuo tempo è prezioso, non rischiarlo più per una cosa simile. D'accordo?»
Annuii abbassando la testa.
«Quindi... hanno vinto alla fine?»
Lei scosse la testa e quasi rassegnata alzò gli occhi al cielo, mi scompigliò i capelli e sorrise.
«Sì Kay, avete vinto. La squadra ti avrebbe dato la notizia non appena saresti tornata a scuola.»
Sorrisi a mia volta, felice che almeno in qualche modo avevo fatto qualcosa di buono per loro.
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Blackout
RomanceTutti abbiamo un momento che non dimenticheremo mai, poiché impresso nella nostra mente come un marchio rovente. I motivi possono essere diversi per ognuno di noi. A segnarci potrebbe essere stato un gesto, una parola, un avvenimento o, come nel mio...