Quando il coach si ritirò, mia madre tornò con il caffè e a mia zia Ally. Quest'ultima corse ad abbracciarmi, stringendomi a sé come se potesse farmi da ancora. Raccontai loro della conversazione avuta con la professoressa ed entrambe concordarono con me sul fatto che quella donna avesse un cuore d'oro e che tenesse ai propri alunni in un modo, purtroppo, fin troppo raro.
Dopo giorni, venni dimessa. Mia madre non ammise scuse, la scuola doveva conoscere le mie condizioni per sapere come intervenire. Così, mi accompagnò lei il giorno del mio rientro per parlare con il preside.
Egli comprese la situazione e si accertò, sotto mia richiesta, che la comunicazione ai prof fosse individuale e che rimanesse in via confidenziale per quanto possibile. Non volevo che tutta la scuola lo venisse a sapere, non avrei sopportato gli sguardi pieni di compassione e pena da parte di una mandria di adolescenti.
«Voglio passare in palestra dopo aver finito di pranzare, la squadra di basket ha l'allenamento.»
Tutti e tre alzarono lo sguardo e lo puntarono su di me. Preoccupazione e confusione era papabile nei loro occhi.
«Tranquilli, voglio solo salutarle, dir loro che sono stata dimessa e... spiegare il vero motivo per la quale ho lasciato la squadra»
«Ti accompagniamo»
Parlò Leo ma sia Sus che Bex annuirono. Li ringraziai con un sorriso e mi dedicai a finire il mio pasto, ricambiando la stretta della mano di Bex.
Quando arrivai davanti alla palestra mi fermai a fissarne la grande porta d'ingresso. Per un attimo mi sentii paralizzata, eppure non era la prima volta che affrontavo la verità. Il tocco leggero della mano di Elizabeth mi risvegliò.
Capii che in qualche modo voleva salvarmi dalla mia paura. Una paura che lei aveva compreso bene e che io invece, stavo nascondendo a me stessa. Come le avrei affrontate?
«Non devi farlo per forza oggi, sei tornata solo questa mattina...»
«No. Lo farò. Meritano di sapere la verità così come la sapete voi»
Lei annuì ed io accennai un sorriso, poi ripresi a camminare entrando in quel luogo dove potevo ancora sentire l'eco delle risate e le urla stupite per qualche bella giocata. Ricordi che non dimenticherò mai.
Non si accorsero subito di me, fu la professoressa Lancaster che accorgendosi della nostra presenza sulla porta fischiò per richiamare la loro attenzione e fermare l'allenamento. In quel momento quasi tutti si girarono e ci notarono.
Fu Samantha ad accorrere per prima, seguita dal resto della squadra che mi accerchiò iniziando a chiedermi se stessi bene. Sorrisi loro forse in un modo un po' troppo forzato e annuii in risposta alla domanda più gettonata.
«Coach, mi dispiace interrompere il vostro allenamento. So che avete molto lavoro da fare per la partita della settimana prossima. Però, ecco... vorrei dire alla squadra la verità sul perché non posso giocare.»
La professoressa annuì e ci fece segno di avviarci verso lo spogliatoio. Samantha mi guardò come se ciò che io dovessi dire lei già lo sapesse, forse non completamente ma dopo quell'incidente durante la partita sembrava conscia che qualcosa non andasse. Kelly, invece, sembrò abbastanza curiosa, così come tutte le altre.
Si sedettero quasi tutte sulle panchine, come quando prima di una partita facevamo il riepilogo delle varie strategie e ci auguravamo buona fortuna in coro. Sorrisi a quella visione nostalgica. Rimasi in piedi e le osservai per qualche secondo, poi Leo e Susan mi poggiarono una mano sulla spalla e Bex prese la mia mano intrecciandola con la sua.
Presi un lungo respiro e con quello cercai di accumulare anche il coraggio, così iniziai a parlare.
Non dissero nulla fin quando non finii di parlare. Sul loro volto era papabile il dispiacere, la tristezza, l'amara sorpresa.
Kelly si alzò e in un primo momento pensai che ancora una volta mi avrebbe superata, lasciandomi lì senza degnarmi di alcun tipo di parola, delusa dal fatto che non avevo detto loro la verità fin da subito. Invece, non lo fece. Si fermò davanti a me e mi tirò a sé, stringendomi tra le braccia.
«Mi dispiace, sono stata una stronza, non ne avevo il diritto. Mi dispiace così tanto Kay...»
Ricambiai l'abbraccio e sorrisi
«Non potevi saperlo, nessuno lo sapeva fino a poco tempo fa...»
Lei lasciò la presa e per la prima volta vidi i suoi occhi lucidi in procinto di piangere non per la rabbia di aver perso una partita ma per il dispiacere di dover perdere un'amica.
Le sorrisi cercando di strapparle un sorriso di rimando, ma le strinse i pugni e abbassò la testa. Odiava piangere davanti ad altra gente, questo lo sapevamo bene.
Spostai il mio sguardo su Sam che non appena lo incrociò lo distolse abbassandolo.
«Mi dispiace, non avrei dovuto chiederti di farlo... sei finita in ospedale per via dello sforzo...»
«No, Sam. Non dispiacerti, non è colpa tua. Inoltre, sono io ad aver accettato conscia delle conseguenze che avrei potuto avere. Non è colpa tua, okay? Non è colpa di nessuno, a volte la vita è imprevedibile, un giorno dai il massimo sul campo insieme alla tua squadra e il giorno dopo invece ti dicono che non puoi più farlo perché rischi di collassarci, su quel campo.»
«Ma...Io... sentivo che qualcosa non andava, non ho indagato per non intromettermi e mi sono fatta trasportare dalla voglia di vincere quella maledetta partita. Kaylee, mi dispiace così tanto aver insistito...»
«Samantha, io non me ne pento. Potrà sembrare strano e decisamente poco responsabile, ma non mi pento di aver giocato ancora una volta con voi. È stato bellissimo Sam, e una parte di me ardeva dalla voglia di farlo per questo ho accettato. Stare con voi, giocare con voi, mi era mancato.»
Quelle parole bastarono per far alzare tutte loro e ricevere un grande abbraccio. Uno di quelli che senti davvero reali, uno di quelli che ti dicono: Siamo qui, per te e con te.
-----Hola-----
Volevo solo avvisare che siamo arrivati praticamente alla fine, il prossimo aggiornamento sarà quello finale. Ringrazio chi legge e chi leggerà! :)
Alla prossima! :)
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Blackout
RomanceTutti abbiamo un momento che non dimenticheremo mai, poiché impresso nella nostra mente come un marchio rovente. I motivi possono essere diversi per ognuno di noi. A segnarci potrebbe essere stato un gesto, una parola, un avvenimento o, come nel mio...