9.Verità svelata

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"Che stava succedendo? Era da una settimana che Maria era strana e come se fosse...preoccupata. E poi di quale biglietto parlava l'altro giorno?"
Pensava Jennifer. Decise di andarle a parlare di persona
"Mari, come stai?"
"Bene tu?"
"Bene grazie...riguardo il biglietto mi devi dire qualcosa? Sai che puoi dire tutto a me"
"Ehm è solo uno stupido biglietto" mentí e l'altra rispose con uno sguardo che diceva "non prendermi in giro", come distinto Maria sbuffò "Ok ok è successa una cosa strana dopo la sera al parco ma se lo vieni a sapere vai in pericolo e non so come ma so perché ma tu non centri nulla quindi, per favore, stanne fuori"
"Ei" Jennifer mise una mano sulla spalla di Maria guardandola teneramente "Non importa se io non centro ma voglio aiutarti. Se ti succede qualcosa non riuscirei mai a perdonarlo e mi vendicherei. Piuttosto mi metto a rischio. Dimmi cosa diceva quel biglietto"
"In realtà" abbassò lo sguardo "durante lo scambio dei regali del mio compleanno mio padre mi diede un biglietto ma non era d'auguri palesemente, infatti la sera quando l'ho aperto, diceva che se avrei detto che sapeva certe cose su di me, tu e altri sareste in pericolo"
"Altri chi?"
"Tipo mia madre e a chiunque io tenga"
"Guardami" si abbassò per riuscire a guardarla e mettendo anche l'altra mano sull'altra spalla "ti aiuterò a sconfiggerlo ma devi essere sincera con me: cosa sa che io non so?"
"Volevo suicidarmi e ci sono quasi riuscita se non fosse che mia madre mi avesse fermata ma la parte peggiore sta che ha sentito quando ho detto a mia madre di..."
"Di?"
"Di essere lesbica. Lo so lo so ora mi odierai, dirai che faccio schi-"
"Non lo pensare nemmeno non ti odierei perché ti piacciono le ragazze piuttosto dei ragazzi e non fai schifo. Quindi è omofobo? Posso ucciderlo?"
Le fece uscire una risata alla domanda retorica che contagiò l'altra.
"Grazie"
"Ma di cosa" L'abbracciò fortissima a sè. Rimasero così per tanto finché si incrociarono gli sguardi. Maria aveva le guance che andavano a fuoco e anche se cercava di distogliere lo sguardo non ci riusciva e per sbaglio le guardò le labbra portando subito dopo lo sguardo agli occhi rifacendolo cadere come d'istinto. Jennifer intanto ammirava gli occhi della ragazza e notò che le cadde lo sguardo e quando capí che stava guardando le sue labbra sorrise, finendo per fissare le sue senza togliere più lo sguardo. Maria lo notò e arrossi di più.
"S-scusa" balbettò Maria
Jennifer fece una piccola risata "Non ti devi scusare per nulla"
"Ora penserai che mi piaci perché sono lesbica e quindi che mi devi piacere per forza?" disse seria
"Ma ti pare. Se sei lesbica non vuol dire che ti piacciono tutte le ragazze esistenti al mondo automaticamente. Anche te, come le persone etero, hai gusti e fai scelte." affermò facendo arrossire l'amica ancoracdi più d'istinto.

Jennifer tornata a casa guardò di nuovo lo specchio scoperto che come se un fantasma gli fosse passato vicino, cadde il lenzuolo mostrando la sua immagine riflessa. Il respiro cresceva, il battito aumentava, le lacrime scesero. "Perché mi odio così tanto? Cosa ho di sbagliato in me? Come mai tutto ciò a me?"

2 marzo 1970. Una bambina che frequentava l'ultimo anno di scuole medie, di nome Jennifer Smith stava tornando a casa dopo una lunga giornata di scuola. L'unico suo pensiero era quello di togliere la fastidiosa divisa e poter mangiare un buon piatto di pasta mentre guardava la sua serie preferita sulla vecchia televisione. "Ehi" una voce maschile arrivò dentro le sue orecchie tramite un brivido della schiena da dietro, si girò per vedere chi fosse ma il vuoto più totale si mostrò alla sua vista. "Ehi" ancora dietro di lei, si girò più velocemente e lo vide. D'istinto fece due passi indietro e si accorse di aver inciampato in un sassolino. Presa dall'ansia non riuscí ad alzarsi provando ad indietreggiare strisciando mentre il ragazzo la prese dal colletto della vecchia divisa di un color blu notte.
"Ragazzina, ti conviene stare zitta" la sua voce sembrava robotica, senza emozioni, paurosa, minacciosa. Sembrava che non beveva da settimane da quanto aveva la gola secca e le mani altrettanto.
La ragazzina ubedí non sapendo che sarebbe andata in contro a una sceneggiatura bruttissima.
Si risvegliò la mattina dopo in un letto da sola. Aveva i capelli scompigliati, la faccia assonnata, le lacrime ormai secche sul viso e la cosa peggiore: i graffi sulla schiena, i tagli sulle gambe, i lividi sul viso...il sangue per tutto il corpo che scorreva liberamente. Ma anche il suo corpo nudo e debole disteso come un pezzo di stoffa su quel letto. Le ci vollero due minuti per ricapitolare nella sua testa cio che era successo, tuttavia non si fermò più a lungo. Voleva urlare, piangere, morire per il dolore causato la sera prima, ma si fece coraggio prendendo la sua camicia che era abbastanza lunga per coprirla e corse via uscendo dalla finestra.

"Ecco perché! Ecco perché mi fa tanto schifo il mio corpo" disse fissando la sua immagine. "Ricordo ancora tutto:il dolore morale e fisico, la rabbia, la voglia di morire in quel preciso istante...Ricordo tutto"

3 marzo 1970. Tornò a casa dolente e piangente. Ad ospitarla c'era suo padre che l'abbracciò senza dire una singola parola che vennero colmate dalla madre preoccupata "stai bene? cosa ti è successo? perché piangi?"
Le raccontò tutto con difficoltà ricevendo conforto dalla donna che l'ha messa al mondo.
"Facciamo il test" disse la madre felice in parte perché poteva diventare nonna ma triste perché era con la persona che sua figlia non voleva e anche fin troppo presto.
"P-positivo" balbettò tra un singhiozzo e un'altro.
"Vuoi tenerlo o no?"
"Voglio tenerlo perché voglio dimostrare a me stessa che posso essere forte" sorrise leggermente
"Sono felice della tua scelta. Noi due ti aiuteremo, vero?" disse dando una gomitata al marito
"Spero che non avrai gli scleri di tua madre perché sennò diventi insorpotabile" disse il padre
La sua affermazione fece ridere di nuovo la ragazza e quel suo umorismo l'aiutò fino al giorno del parto.

"Prima o poi dovrò presentare il bambino a Maria ma come?" si toccò la pancia ripensando alla gioia di vedere quella piccola creatura con la persona non voluta, ma era pur sempre suo figlio.
"MAMMA" un bambino dal piano di sotto la chiamò urgentemente facendola risvegliare dai suoi pensieri
"ARRIVO MIKE" scese felice di aver ricevuto un bambino così dolce e gentile.

5 novembre 1970. "Benvenuto piccolo...fammi pensare...Mike. Si, Mike mi piace" aveva una creatura così piccola e debole tra le sue mani appoggiata al suo petto che le mise una gioia mai provata prima.

Ora ha 1 anno il piccolo Mike anche se sembra che sia passato così tanto. Tuttavia la storia di Jennifer e Mike non conclude qua.

HEI VI STA PIACENDO LA MIA STORIELLA NO SENSE? O HA UN SENSO? NON LO SO, DITEMELO VOI.
DALLX VOSTRX PIZZA È TUTTO (per ora)
CIAOOO

Voglia di essere libera con te - pizza__wgfDove le storie prendono vita. Scoprilo ora