Capitolo 10.

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Adagiai la carta sulla scrivania.
Il foglio bianco mi fissava con fare minaccioso e la mia testa era stata impossessata da un'apatia perfida.
Non avevo nulla da dire.
Erano all'incirca venti minuti che attendevo un'illuminazione divina su cosa avrei potuto scrivere a mia madre.

Mi chiesi se si meritasse veramente un mio segnale, un mio ritorno.
Aveva provato a sbarazzarsi di me, alla fin fine.
Tra l'altro, temevo che una mia lettera avrebbe fatto solo peggiorare la sua salute mentale.

Quello fu il momento in cui lanciai a terra la carta lasciata sul tavolo, mossa da un impeto di rabbia. Appoggiai la fronte sui palmi.

Nonostante tutto ciò che mi aveva fatto, io continuavo solo ed esclusivamente a vedere il suo bene. Le sue gesta nei miei confronti erano state così atroci che avevo desiderato che lei non fosse mai esistita.

Io non avevo più una madre.
Lei era morta nel momento in cui aveva appiccato il fuoco nel cottage e mi aveva lasciata lì dentro. 

Mi aveva costretta a mesi di sofferenza senza precedenti.
Mi aveva strappata della gioia di vivere e mi aveva data in pasto ad ansia, terrore per l'avvenire e solitudine.
Lo stress post traumatico mi aveva allungato un paio di forbici ed io l'avevo usate per recidere il filo che mi univa a lei.

Volevo vederla marcire, tanto quanto era successo a me, se non di più. Era stato un errore chiedere alla Preside Weems il suo indirizzo; così facendo avevo solo aggiunto un elemento alla lista di cose che mi torturavano.

In compenso, avevo trovato la forza di rispondere a mio padre, giusto perché era stato lui a cercarmi.
La lettera era stata breve, quasi monosillabica ed ovviamente forzata.
Un semplice grazie ed una singola frase in cui spiegavo che stavo bene. Nessuna domanda su di lui o sulla riabilitazione.

Non si trovava su uno scalino sopra a mia madre, anzi. Le loro azioni si trovavano sullo stesso identico livello di perversità e cattiveria.

Mi aveva abbandonata per l'alcol, mettendosi il costume di un mostro e, a volte, speravo che il padre che mi aveva cresciuta con amore fosse ancora lì, sotto quel fitto spessore di degenerazione che lo attanagliava.

Avrei mentito se avessi detto che non desideravo avere di nuovo sia loro al mio fianco che la mia vecchia vita indietro.
In un angolo recondito del mio cuore, c'era la volontà di perdonarli, di abbracciarli e dire loro che sarebbe andato tutto bene.

Il discorso è che quando un figlio realizza di dover assumere il ruolo genitoriale davanti al proprio padre e la propria madre, capisce pure che si è oltrepassato un punto di non ritorno.
Noi lo avevamo superato a velocità supersonica.

Abbandonai la scrivania e mi andai a cambiare dalla divisa. Quel pomeriggio sarei andata nella piccola cittadina adiacente all'Accademia, di nome Jericho,
per trascorrere il tempo libero.
Il prom si sarebbe tenuto il giorno dopo, perciò sia io che Iris volevamo approfittarne per trovare un vestito.

Mi diressi verso la sala comune ed una volta entrata, mi sedetti accanto alla mia compagna di stanza,  sul divano posto davanti ai tavolini da caffè.
Non appena arrivai, Yuko si interruppe, mi squadrò e ricominciò.

"... ti stavo dicendo. Da quanto so, se n'è andata  stamattina per problemi famigliari. Mi pare di aver capito che sua madre stia male. Che peccato, spero di riuscire a mantenere il rapporto con lei."
Spiegò con tranquillità. Chiesi di chi stessero parlando, curiosa.

Apparentemente, un'amica vampiro di Yuko, di nome Lillibet, aveva lasciato la scuola senza nessun preavviso.
Yuko aveva ricevuto un semplice messaggio in cui l'amica l'avvisava del fatto che le condizioni di salute della madre erano peggiorate drasticamente nella notte e che se ne era dovuta andare subito.
Iris sembrava accigliata dalla notizia. La guardai interrogativa.

Madness | Xavier Thorpe Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora