Capitolo 15.

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Rimanemmo in silenzio, l'uno accanto all'altro, persi nei corrispettivi vuoti interiori.
Lo guardai, per poi afferrargli la mano e stringergliela.

Sentivo il calore della stufetta elettrica cuocermi la schiena, ma non ebbi il coraggio di muovermi, di rompere la calma opaca che si era installata tra me e lui come un vetro divisore. Se ne stava appoggiato con il busto alla struttura del letto, laconico.

"Mi dispiace per quello che è successo." Dissi, con tono flebile.
Abbozzò un sorriso triste. "È stata colpa mia. Abbiamo discusso solo perché non penso prima di parlare."

"Non è vero che per me non è lo stesso." Mormorai. Mi guardò interrogativo.
"Sto male se non ci sei." Ammisi con fatica. "Hai detto che per me non è lo stesso. Ti sbagli." Continuai.
La stanchezza viscerale che quella giornata mi aveva lanciato contro aveva incominciato ad intorpidirmi le membra.

"Xavier, voglio che ti fidi di me. Non può funzionare se continui a non farlo." Ripresi. 
Capii che quello era un momento di svolta, per entrambi. Con tutto ciò che stava succedendo, non potevo permettermi di perdere tempo ed energie dietro una persona che forse non mi avrebbe mai accettata per quella che ero.

Allo stesso tempo, la paura di perderlo, di scoppiare quella piccola bolla di felicità e speranza che ero riuscita ad accaparrare, mi metteva addosso una tristezza profonda.
Non volevo andarmene, ma non potevo neanche sacrificarmi per cercare di costruire una relazione senza fondamenta.

"Lo so." Aspettai che continuasse, ansiosa.
"Io...mi sento in colpa. Hai fin troppe cose a cui pensare. Non faccio altro che peggiorare la tua situazione così." Sospirò.

"Voglio comunque provarci. Per te." E fu la prima volta durante quella serata in cui riuscì a sorridere. Ricambiai, sollevata, anche se non del tutto. Come lui doveva smetterla di mettermi in discussione, io dovevo farlo con lui, nonostante non condividessimo le  stesse preoccupazioni. Dovevo pensare che le sue parole e le sue intenzioni fossero vere.

Crescendo, avevo iniziato a nutrire una sfiducia quasi totale e spesso ingiustificata nei confronti delle persone. Riuscivo a vedere solo lo strato di marcio che si annidava sotto il luccichio splendente della realtà che mi circondava.
Prendevo a priori le parole di chiunque per bugie, le dimostrazioni di affetto per manipolazione emotiva,
la gentilezza per falsità.

Dopo tutto l'accaduto con i miei genitori, questo sentimento di disillusione non aveva fatto altro che crescere e rosicchiarmi lentamente le tempie come tarli della legna, fino a che non era riuscito a creare un buco abbastanza grande da poter penetrare nella mia testa.

Vedevo il mondo attraverso una spessa parete di pessimismo che  Xavier, prima o poi, avrebbe dovuto conoscere e con la quale, ne ero certa, si sarebbe dovuto scontrare.

"A che pensi?" Mi domandò. "Nulla" risposi.
Era meglio non torturarmi con pensieri inutili.
I miei vestiti erano ancora per lo più fradici, ma almeno il calore della stufetta aveva contribuito ad asciugarmi in po' i capelli. La sveglia sul suo comodino segnava le nove di sera e la pioggia continuava a colpire in modo prepotente il vetro delle due grandi finestre della camera, che vibravano come tamburi troppo tesi.

Mi lanciò uno sguardo di traverso, come ad incalzarmi a parlare. "Bianca?" Chiesi, dal nulla.
Inarcò un sopracciglio. "Cosa?" Mi domandò di rimando.

"In che rapporti siete rimasti?"
Lo stavo domandando sia per curiosità sia per un pizzico di gelosia.
"In nessuno. Ha distrutto tutto quello che poteva esserci tra di noi dopo che mi ha manipolato con i suoi poteri." Rispose con semplicità. Non sembrava ferito nel dirlo, solo infastidito.

Non replicai, in attesa che aggiungesse dettagli. Lo esortai con gli occhi.
"Non siamo stati insieme per tanto, in realtà. Qualche mese, all'inizio dello scorso anno.
A posteriori ti posso dire che non è una persona con cui mi trovo bene." Annuii, sollevata.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 01 ⏰

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