Alm

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Momento: conclusione Atto IV, quando il gioco decide che, tra tutti i miti greci tra cui scegliere, è venuto il momento di imitare la vicenda di Edipo

Quando Alm immaginava lo scontro finale tra i Liberatori e l'Impero rigeliano, molteplici erano gli scenari che gli venivano in mente.

Se si sentiva realista, si prospettava una battaglia dove ciascun rigeliano avrebbe lottato con le unghie e con i denti per difendere le proprie postazioni, e molti dei suoi uomini sarebbero caduti, lasciando le sue forze ridotte minimo di un terzo.

Se si sentiva ottimista, le perdite da ambo le parti sarebbero state esigue; magari avrebbero potuto risparmiare i nemici che si fossero arresi (non gioiva delle stragi, come qualcuno pensava).

E, nei momenti in cui i dubbi avevano la meglio, immaginava la disfatta totale dei Liberatori, il
campo di battaglia chiazzato di rosso e i sogni di pace della Zofia buttati per sempre alle ortiche,
trafitti come soldati da lance e spade.

Ma questo... questo non è affatto qualcosa che avrebbe mai immaginato.

«Hai fatto... un ottimo lavoro... sono orgoglioso di te... figlio mio.»

Era già strano quando l'imperatore Rudolf si era rifiutato, rifiutato, di rispondere ai suoi attacchi, ma non a quelli degli altri. Ma ora, queste parole...

Uno scherzo di cattivo gusto, ecco che cosa sono. Rudolf deve essere talmente amareggiato che ora ha deciso di mentire per sottrargli la soddisfazione della vittoria.

«Come?» ribatte il giovane dopo un momento di esitazione, osservando la figura davanti a lui, una macchia rossa che gli sporca la pelliccia degli indumenti.

Non appare affatto come quell'uomo imponente e vigoroso che era in battaglia: il prospetto della morte, sempre più vicina ad ogni respiro, paiono averlo invecchiato in un colpo solo di anni e anni.

Eppure, il suo sorriso, così alieno sul viso di solito austero, non vacilla: «Sapevo di aver fatto bene, affidandoti al mio più caro amico.»

Qualcosa si blocca nella gola di Alm, un insulto probabilmente. L'imperatore dev'essere un attore bravissimo, non riesce proprio a scalfire la maschera.

E tutto ciò lo fa infuriare ancora di più: «Amico? Volete dire... Mycen? Cosa sta succedendo qui?! Cosa state dicendo?!»

Anche se sottilmente, le sue sopracciglia si arcuano: «Pensavo ne fossi già al corrente. Il tuo vero nome... - e tossisce gravosamente, come a tirare fuori i respiri che gli vengono a mancare - Il tuo vero nome è Albein Alm Rudolf. Tu sei... il mio unico e vero figlio.»

«Io cosa? No, non è vero... State mentendo! Perché dovrei credere a una singola parola di quello che dite?!»

Le parole gli sono venute spontanee, come una reazione difensiva. La sua voce si alza da sola, come a voler zittire tutti i pensieri malevoli che quelle parole hanno liberato dal vaso di Pandora. Perché che lui sia il figlio dell'imperatore è una bugia, su questo non ci piove. E sarebbe così facile convincersene (non che gli serva, sia chiaro) se non ricordasse che, a detta di Desaix, suo nonno e l'imperatore si conoscessero.

Se non fosse che era stato in grado di sollevare la spada della famiglia reale della Zofia. Se non
fosse per le voci che giravano a Ram su come suo nonno avesse servito la corona zofiana ma non
provenisse da quella terra. Se non fosse per quell'unica descrizione che era riuscito a strappare a Mycen su suo padre, quella di un uomo "dall'aspetto austero e distaccato, ma con un forte senso del dovere e di abnegazione".

Se non fosse per quel maledetto marchio sul dorso della mano sinistra, condiviso con Celica, anzi, no, Anthiese, la principessa perduta del Regno di Zofia.

E vorresti solo affogare | Fire Emblem AnthologyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora