Capitolo Ventiquattro

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Aprile 2022

Quattro anni dopo il 10 Aprile

 
Mancava solo un giorno all’anniversario di morte di Giacinto, e il clima, contro ogni aspettativa, si faceva sempre più festoso. Non sarebbe stato un aggettivo adeguato al contesto, ma i ragazzi stavano organizzando una vera e propria festicciola sulla spiaggia. Probabilmente era una scusa per distrarsi, ma mi convinsi che in realtà sotto a quell’atteggiamento festaiolo ci fosse dell’altro. Quelle persone avevano trovato il loro posto qui, sull’Isola, durante la loro infanzia e avevano coltivato i rapporti fino ad avere due case. La prima era quella vera, reale. La seconda era quel mondo protetto da un incantesimo, in cui si poteva fare tutto. Il posto sembrava acquistare la sua magia solo quando i ragazzi vagavano qui e là a cazzeggiare, a combinare guai, a consumare storielle d’amore passeggere. Il clima dell’isola era impregnato della loro voglia di vivere.

“Eppure” dissi tra me e me, guardando il cielo “l’isola non ti ha salvato”.

Ero andata a fare una corsetta sulla spiaggia per schiarirmi le idee prima che arrivasse il grande giorno. Per quanto potessimo sforzarci e mettere insieme i cocci mancava sempre qualche pezzo. Era come se esistessero più Giacinto in una realtà che poteva contenerne solo una. Chi era stata veramente Giacinto? La ragazza felice dell’isola? La ragazza scontrosa del liceo? La ballerina determinata e disposta a tutto per non abbandonare i suoi sogni? Più pezzi si aggiungevano al puzzle, più la figura di Giacinto rimaneva sfocata e poco chiara. Eravamo sull’isola tutti per la stessa ragione, eppure nessuno di noi sembrava aver conosciuto la stessa persona. Mancava a tutti eppure non sapevamo dire che cosa esattamente ci mancasse. La mia confusione aumentava di ora in ora e anche se mi ero inserita bene nella combriccola temevo di non poter comprendere realmente quello che stavano provando gli altri. Sapevano del disturbo di Giacinto? Quanto ne sapevano? Avevano visto manifestarsi una delle crisi? Sapevano davvero il perché si fosse arrivati a tanto? Leo aveva raccontato qualcosa?

Mille domande mi attanagliavano la testa. Tornai alla casa della signora Carla per farmi una doccia e prepararmi a vedermi con gli altri. Scesi le scalette dell’abitazione e vidi una macchina azzurra, abbastanza scassata, fermarsi davanti all’entrata del campeggio. In un primo momento non ci feci caso: pensai ad una coincidenza poco piacevole. Quando l’autista scese dalla vettura per poco non mi prese un colpo. Non riuscivo a muovermi, rimanevo imbambolata a guardarlo: Milo si stava guardando intorno come un animale spaesato. Era cresciuto rispetto al ragazzo che conoscevo io, ma gli occhi erano gli stessi. Tremendamente inquietanti.

Milo cominciò a guardarsi intorno e quando mi vide mi venne incontro. Non mossi un muscolo. La scena mi sembrava surreale. Quando mi raggiunse fece per salutarmi ma io mi tirai indietro.

“Milo, che cazzo ci fai qua?” chiesi solo, incredula.

“Ho preso un permesso. So di questa festicciola che Leo fa tutti gli anni… volevo vederla”

“Vattene” dissi solo, “riprendi il primo traghetto disponibile che trovi e imbarcati per dio”

“Quanto sei melodrammatica Zoe, la gente muore tutti i giorni. Allora, Dov’è Leo?” chiese secco.

Mi salirono le lacrime agli occhi. Dopotutto non era cambiato per niente e il fatto che avesse scelto di arruolarsi dell’esercito dopo il diploma non aveva fatto che alimentare il suo lato narcisistico e senza scrupoli. Gli avevano insegnato che degli altri non bisognava prendersi cura, che non serviva a niente, e Milo stava mettendo in pratica quell’insegnamento meglio di chiunque altro. Era lui la causa di tutto alla fine. Aveva acceso lui la miccia che avrebbe portato al tragico epilogo del 2018.

“Hai la faccia di presentarti qui dopo quello che hai fatto? Sei cresciuto ma non hai imparato a vergognarti vedo” gli urlai contro.

“Dopo quello che ho fatto io? Perché tu e le tue amiche idiote avete fatto qualcosa? Mi avete fermato per caso? E poi lo sai Zoe che le voci girano. Almeno io non l’ho mollata da sola senza un motivo” replicò Milo, fissandomi come un serpente che stava per mordere.

“Tu non sai un cazzo di niente”

“Oh invece lo so. L’avete lasciata morire da sola senza un cazzo di motivo, solo perché era quello che era. Almeno io non mi sono nascosto dietro un dito”

“Oh si, grande idea fare come hai fatto tu. Gli hai vomitato addosso di tutto, gli hai detto che era una puttana manipolatrice che ti stava portando via l’amico. Questo sicuramente l’avrà aiutata. Ah no aspetta, le crisi sono iniziate proprio quando abbiamo litigato con te, guarda un po’”

“Mh, mh, sbagliato Zoe. Lei ha litigato con me. Voi siete state belle che zitte a guardare. Il massimo che avete fatto è mettervi a frignare. Almeno Giacinto non aveva peli sulla lingua a differenza vostra”

“Gli sono costati la sanità mentale quei discorsi, Milo, non è una bella cosa”

“Allora lascia che ti chieda una cosa Zoe, quando avete saputo che cosa avesse le siete state vicino? Perché mi risulta che invece abbiate fatto le spaccone fino alla fine. Le avete detto che non le credevate? Che pensavate fosse solo una scusa per attirare l’attenzione? O lo ha scoperto per i cavoli suoi? Insomma cara Zoe, io le ho messo la testa nella ghigliottina, ma chi ha lasciato cadere la lama?”

Non resistetti e gli mollai uno schiaffo in pieno volto. Le parole che aveva detto bruciavano e mi sentivo come se un buio eterno mi stesse inghiottendo. Ero arrabbiata, ma non con lui. Ero arrabbiata perché Milo aveva detto la verità: a mettere la parola fine non era stato lui. Lo avevamo fatto noi. Era colpa nostra.

“Cosa cazzo sta succedendo qua?!” sbottò una voce all’improvviso.

Leo ci stava guardando. Vedendo Milo e me in lacrime non ci volle molto a capire di cosa stessimo parlando. Il suo sguardo ricadde sul ragazzo come si guarda la pozza di vomito di un ubriaco.

“Cosa sei venuto a fare?” tuonò.

“A portarti via da questo schifo Leo. Ma guardati, sembri un fantasma. E’ quattro anni che vai avanti così, ora basta. Pensa a come abbiamo vissuto bene senza tutte queste rogne”

Per un momento pensai che sarebbe scoppiata una rissa. Leo aveva uno sguardo impenetrabile: non si riusciva a capire se volesse parlarci o ammazzarlo. Si avvicinò a Milo e per un momento io e Dni ci scambiammo un’occhiata di panico.

“Vedi, quelle che per te erano rogne, per me era il futuro. Questo tu proprio non riesci a capirlo vero? Io mi fidavo di te, ti ho messo molte volte davanti a tutto e tu cosa fai? Prendi le cose che ti ho detto quando volevo sfogarmi in privato e le metti in pubblica piazza? Io mi fidavo. Ma questo tu non riesci a capirlo perché in realtà non vuoi bene a nessuno Milo” disse Leo, convinto.

“A me non frega un cazzo di nessuno, hai ragione Leo. A meno che non sia nella mia cerchia ristretta. Tu lo eri”

“Sinceramente me ne infischio della tua cerchia. Se vuoi rimanere puoi rimanere, ma finché non userai il cervello al posto del culo per pensare potrai capirci ben poco. Andiamo Zoe” mi dice, portandomi dentro al campeggio, mentre mi asciugo la faccia.

Milo rimase lì ad osservarlo. Leo non si era minimamente scomodato ad arrabbiarsi o a convincerlo. Aveva avuto una reazione piatta. Non era il Leo che conosceva lui. Forse non lo sarebbe stato mai più. Gli scappò un sorriso.
 

“Mi hai perdonato allora dopo tutto”

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