Capitolo Ventotto

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10 Aprile 2018

Il giorno della tragedia

Leo uscì dal lavoro alle 17.30, come ogni giorno. Si accese una sigaretta e provò a chiamare Giacinto. Probabilmente avrebbe tardato: doveva passare a prendere le sigarette che erano quasi finite e voleva passare a prendere qualcosa da bere per Stefi, che sarebbe arrivata la sera per godersi una serata con loro. Stefi era l’unica rimasta della vecchia compagnia: si era detta che conosceva Giacinto e non avrebbe mai potuto fare quelle cose. La teoria del complotto che avevano messo su era assurda. Gli altri si erano dissolti nel nulla. Giacinto era peggiorata drasticamente dopo quella rottura senza spiegazioni: era finita in ospedale molte volte. Le avevano diagnosticato un disturbo paranoide di personalità: non si fidava più di nessuno, era scettica su ogni cosa e non voleva avere troppi contatti col mondo esterno. Si faceva vedere fuori a malapena per comprare le sigarette. Dopo aver saputo delle sue gite in ospedale, Zoe e le altre si erano seriamente preoccupate.

“E se non stesse fingendo?”

“Non possiamo saperlo. Possiamo mandare un messaggio a Leo al limite. Però dobbiamo ben specificare che la nostra posizione non cambia” disse Alice, convinta.

“Sei sicura? Sembra una cosa grave” insistette Zoe.

“Non vogliamo un altro agosto 2016 giusto?”

Inutile dire che Leo era andato su tutte le furie quando aveva letto quel messaggio, che sapeva più di lavata di coscienza che di altro. Provava vergogna per loro. Carlotta per poco non intervenne in quanto madre di Giacinto, ma Leo glielo impedì. Non ne valeva la pena.

 Stefi e Leo non sapevano bene cosa fare con Giacinto. L’attimo prima era calma, l’attimo dopo voleva disperatamente sparire. Nessuno riusciva a ricostruire veramente tutto il percorso che l’aveva portata lì, ma sapevano che Giacinto era affacciata ad un precipizio, e che se non fosse migliorata, presto o tardi avrebbe fatto il grande salto, per non riemergere più.

Scattò la segreteria telefonica. Leo osservò il cellulare ed un pensiero oscuro gli trapassò il cervello. Afferrò il motorino e si diresse a casa di Giacinto. Doveva cenare da lei quella sera, quindi in ogni caso sarebbe andato lì. Si sarebbe semplicemente accertato che stesse bene per poi andare a comprare le sigarette. Fece lo slalom tra le macchine ferme per il traffico e arrivò ad Albate 10 minuti dopo. Purtroppo per lui, era in ritardo di 4 ore. Giacinto era sdraiata sul pavimento con la bocca sporca di sangue e le scatole di ogni medicinale presente in casa vuote. Le sentì il polso, ma non c’era.

Non arrivò mai a comprare le sigarette quel giorno. E neanche i giorni successivi.

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