Capitolo Due

59 5 0
                                    

Aprile 2022

Quattro anni dopo il 10 Aprile

Scesi dal traghetto con un’aria spaesata: il viaggio in nave mi aveva scombussolato parecchio, e mi sentivo lo stomaco ristretto. Decisi di fermarmi in un bar vicino al porto: era un locale antiquato, puzzava di tabacco e i tavoli erano messi a casaccio, con sedie di diverso tipo qui e là. 

“Un caffè, perfavore” dissi distrattamente al barista, un ragazzotto smilzo, con un grembiule nero e un’espressione vacua. 

Il ragazzotto si mosse dietro al bancone, riempì di caffè il manicotto della macchinetta e fece partire il tutto, servendomi distrattamente l’espresso in una tazzina bianca, con piattino e cucchiaino. Trangugiai il caffè con un solo sorso, pagai la consumazione, poi mi diressi fuori e cercai un taxi. La giornata era particolarmente serena, e il primo caldo cominciava a insinuarsi nel clima invernale di qualche giorno prima. Porto Luna era una città caotica, intricata e priva di qualsiasi tranquillità: a differenza di dove stavo per recarmi, non si poteva trovare luogo in quel posto in cui non ci fosse rumore. 

Riuscii a trovare un taxi libero e mi infilai dentro la vettura. 

“Può portarmi a Campo Rosso, perfavore?”

“Certo signorina, ha un riferimento in particolare?”

“Montelusa, Via dei Giardini” dissi tranquillamente. 

Il tassista fece partire il tachimetro e mise in moto, verso la mia destinazione. Quel paesino di cui avevo sentito parlare come un posto pieno di vita, ora mi sembrava solo un ricordo grigio, come una fotografia strappata a metà. Avevo bisogno di rimetterci piede, dopo quattro lunghi anni. Avevo bisogno di capire e di ricominciare da lì, dove la vita mi aveva spezzato. Mi era servito tempo per guarire: avevo visto tutti i medici e tutti gli psicologi possibili. Ero riuscita a costruirmi una nuova vita nonostante tutto. Ma a quella vita mancava un pezzo. E io ero decisa a riprendermelo. 

Dopo circa mezz’ora arrivai a Montelusa: gli oleandri aprivano ancora la strada per arrivarci, e il loro profumo inondava tutta la zona, il che faceva parte dell’atmosfera di pace che trasmetteva il posto. Ma per me, che in quel posto avevo lasciato un pezzo del mio passato, quel profumo era come un pugnale infilato nella carne. Sentii gli occhi inumidirsi.

“Tutto bene signorina?” mi chiese il tassista, notando il mio cambio di umore. 

“Tutto bene, grazie” mentii. 

Diedi i soldi all’uomo e incontrai la proprietaria di una casetta in fondo alla via. Avevo deciso di andare in affitto per non avere altra gente tra i piedi e per godermi la vacanza. 

“Buongiorno, mi chiamo Carla” disse la donna che mi si presentò davanti, “Benvenuta a Montelusa!” sorridendo.

“Zoe” mi presentai senza troppi preamboli. 

“E’ la tua prima volta sull’Isola?”

A quella domanda mostrai un sorriso tirato, che lasciava trasparire la tristezza che avevo celato al mondo per un sacco di anni. 

“No, non lo è” dissi malinconicamente. 

“Oh quindi conosci già la zona” mi rispose lei educatamente.

Si incamminò verso l’ingresso della casetta e mi aprì la porta con le chiavi, che mi avrebbe lasciato per la successiva settimana. Mi illustrò tutto l’interno della piccola dimora, la cucina, il bagno e la camera da letto. Sapeva tutto di nuovo: doveva essere stata ristrutturata recentemente. 

“Spero ti troverai bene qui” disse Carla alla fine del tour, facendo per uscire e salutandomi. Mi lasciò il suo numero di telefono in caso di bisogno.

Mi lanciai sul letto e riflettei a lungo su quella frase. Sarei davvero stata bene lì? Avrei davvero potuto trovare pace su quell’isola? Era ancora la sua seconda casa? Le mie speranze erano andate in mille pezzi quattro anni prima e difficilmente sarebbero state recuperabili. Non sapevo se sarei stata in grado di ricostruire qualcosa di diverso da quello che avevo prima. Sapevo solo che non sarebbe stata la stessa cosa. Non senza di loro. Non senza di lei.

Il fiore dell'isola Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora