Compromessi

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La puzza di disinfettante, tipica di ogni ospedale, gli brucia le narici da quando è entrato. Tutto nella stanza di Scott sta appassendo lentamente, lui compreso.

È una settimana ormai che è lì, e la cosa peggiore è che non si capisce cos'abbia – non è un caso isolato in Città, e lo sanno tutti che è il costante, passivo inquinamento che pervade tutto da decenni la causa maggiore di malattie e disagi di ogni tipo tra gli abitanti, ma si tratta anche di una verità scomoda, qualcosa che tutti condividono ma di cui nessuno parla. Forse è anche per questo che adesso Robin non riesce a parlargli apertamente, non riesce ad avere un confronto col suo amico.

È una settimana che è lì, e una settimana che Robin continua ad andare da lui ignorando l'ambiente che lo circonda. Tutto quello che fa da quando lo va a trovare è sederglisi accanto e parlare del più e del meno, con Scott che accenna qualche timida risposta ogni tanto. è come se entrambi ignorassero il luogo e le circostanze dei loro incontri. Come se Robin andasse a trovare Scott a casa.

Dopo essersi separato da Keira, aveva preso l'auto d'impulso ed era corso da Scott. Ed ora eccolo qui, con un piede già nella stanza dell'amico non appena scatta l'orario delle visite.

«Ehi, Scotty,» lo saluta con tono di voce dolce, quasi a bassa voce. Da quando è lì ha preso a chiamarlo in quel modo, forse è la prima e unica volta nella sua vita che usa un vezzeggiativo nei confronti di qualcuno. Ovunque tranne che lì si sentirebbe strano, ridicolo, fuori posto.

Non appena sente la sua voce, l'amico alza appena la testa nella sua direzione. Robin non riesce a trattenere un sorriso, e decide di farsi avanti.

L'incontro va avanti come al solito, Robin parla delle ultime giornate, le investigazioni e le ipotesi di June, e Scott ascolta in silenzio, commenta ogni tanto, quasi come fosse stato anche lui lì. Poi, alla fine dell'orario di visite, Rob controlla il cellulare, vede tutti i messaggi di Keira e un paio di chiamate perse da sua madre.

Al momento di congedarsi, però, esita. Questa volta è più difficile. Non riesce a salutarlo come nulla fosse. Sente una specie di groppo in gola, un boccone amaro che non può deglutire e quindi è costretto a sputare fuori. Robin prende dalla tasca dei jeans un fazzoletto e si asciuga il sudore sulla fronte e dietro al collo. È agitato come non mai.

«Allora, lo sai per quanto tempo resterai qui?»

«No,» Scott scuote la testa, mortificato. «Forse per sempre.»

«Ma che cazzo dici,» sbotta Robin all'improvviso. «Certo che non resterai qui per sempre.»

Scott alza le spalle, tossicchia. Robin avvicina di nuovo la sedia al letto e gli si siede accanto, sporgendosi poi verso di lui, nella stessa posizione in cui si trovava fino a pochi minuti prima.

«Non lo so Rob, ho questa sensazione.»

«Te l'avevo detto di mollare quel lavoro,» continua Robin, con un filo di voce. È la prima volta che accenna qualcosa al riguardo. Cerca con tutto sé stesso di non piangere, ma non ci riesce. Robin ha sempre avuto questo difetto, a una prima occhiata può non sembrare ma è fin troppo sensibile e ad ogni minimo inconveniente gli viene da piangere. Scott è l'unico che non gli abbia mai fatto pesare questa cosa.

«Ascolta...» inizia Robin tra le lacrime, poi sembra cambiare idea su cosa dire all'ultimo: «Keira ha detto che verrà a trovarti presto, quindi vedi di tenerti in forma».

Scott accenna una risatina.

«Beh, ci proverò.»

L'amico annuisce e gli si avvicina di nuovo, come se volesse rimandare il più possibile il momento dei saluti.

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