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marzo 2020

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Il limpido suono della campana che segnava il termine delle lezioni riempì aule e corridoi e gli allievi iniziarono a riporre libri e materiale scolastico vario, pronti a tornare ciascuno a casa propria. Uscirono dalle classi in file ordinate, un chiacchiericcio diffuso che sciabordava tranquillo tra uno studente e l'altro, accompagnandone il cammino sino all'ampio ingresso.
Qualche auto attendeva già fuori dai cancelli, alla guida un genitore o un autista, e presto i primi motori si accesero, frusciando piano, e ad uno ad uno i veicoli si allontanarono ognuno per la propria strada.

Yeosang abbassò nuovamente lo sguardo cioccolato sull'orologio digitale da polso, le sopracciglia arcuate in un'espressione un poco confusa, poi tornò a guardarsi intorno, muovendo qualche passo e cercando di individuare in lontananza la macchina che solitamente lo accompagnava al mattino e lo attendeva a lezioni concluse.

Non c'erano mai i suoi genitori al volante, o anche solo nei sedili posteriori, troppo impegnati con il lavoro per poter badare a faccende di così poco conto come potevano esserlo i suoi spostamenti da e per la scuola, e il ragazzo aveva imparato a mettere a tacere la piccola speranza che presto o tardi nell'abitacolo avrebbe trovato suo padre o - perchè no? - sua madre.
Qualche volta riusciva a strappar loro la promessa che sarebbero venuti, ma poi c'era sempre una qualche motivazione che impediva ai coniugi Kang di mantere la parola data.
Impegni di lavoro, un'intervista, un appuntamento che non poteva essere rimandato...

Emise un leggero sospiro: ormai erano rimasti gran pochi studenti, per la maggiore dell'ultimo anno, forse attardatisi dopo aver scambiato qualche parola con i professori, e anch'essi stavano abbandonando l'edificio e i suoi dintorni.
Dopo altri cinque minuti di inutile attesa, il ragazzo capitolò e - scritto un messaggio che non sarebbe sicuramente stato letto a breve ad entrambi i genitori - infilò il cellulare nella tasca della divisa e s'incamminò lungo il marciapiede, una mano a trattenere la cinghia della borsa e l'altra che tormentava un ciuffo di capelli sfuggito alla piega datagli quella mattina.

Voleva bene al padre e alla madre, nonostante tutto.
Sin da piccolo gli era stato permesso di frequentare le scuole migliori e le attività migliori con gli insegnanti di più alto livello e aveva avuto tutte le possibilità che molti altri di certo non erano così fortunati a possedere, benchè residenti nel Settore 1.
Il potere e l'importanza della sua famiglia erano stati la base fondante della sua istruzione d'eccellenza, superiore agli altri abitanti del Settore, che pur accoglieva solamente le persone più abbienti, con cariche di una certa rilevanza, il meglio del meglio della società della capitale.
Tuttavia, Yeosang aveva anche presto imparato che, per ottenere qualcosa di particolarmente desiderato, dovesse eccellere in ciò che gli veniva detto di fare: dunque le sue pagelle erano sempre state impeccabili, i punteggi degli esami mai meno del massimo, a violino era sempre stato il migliore del corso.

Un figlio prodigio, un figlio trofeo.

Eppure, avrebbe difeso i genitori a spada tratta da qualsiasi accusa, se fosse stato necessario, poichè renderli orgogliosi e fieri era la sola cosa che Yeosang volesse da se stesso, non avevano importanza le opinioni altrui. Esisteva per compiacerli, per essere ciò che loro desideravano fosse e sapeva che eseguire alla perfezione qualsiasi cosa li avrebbe resi felici.
Era quello ciò che contava: la loro felicità.
Se loro erano felici, anche lui lo era.

Svoltò in una via più stretta che si allontanava dalla principale, solo due corsie stradali ad occuparla, orientandosi tra gli edifici e seguendo lo stesso percorso che compiva l'auto che ogni mattina lo portava sino ai cancelli del liceo.
Non gli era permesso, in verità, spostarsi non accompagnato per questioni di sicurezza, ma non voleva tardare alle lezioni pomeridiane di musica, non con un concerto di lì a qualche settimana.
Neppure gli era passato per la testa di tornare all'interno dell'istituto e chiamare casa propria: guardare la città senza più un finestrino oscurato a dividerlo dal mondo esterno era stata una prospettiva molto più allettante che abbassare la testa ancora una volta.
Aumentò di poco l'andatura, superando altri passanti, gli occhi scuri che si guardavano attorno per assicurarsi di star seguendo la strada corretta.
Percepì la vibrazione del cellulare in tasca, così si fermò, spostandosi a lato del marciapiede nei pressi di un incrocio secondario ed estraendo il dispositivo: l'icona di una chiamata in entrata lampeggiava sullo schermo, proprio sotto il numero registrato nella rubrica sotto il nome di sua madre.

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