Capitolo 1

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Isabel

Potevo leggere nei suoi occhi, potevo vedere la stanchezza e la rassegnazione di tutta una vita, della nostra vita. Gli stringevo la mano per consolarlo, per farmi sentire da lui, per fargli capire che non lo avrei mai lasciato; del resto non l'avevo mai fatto, nemmeno nei momenti in cui davvero sarei dovuta andarmene, e non so se associare un purtroppo o un fortunatamente al mio carattere, al fatto di essere così buona e di essere rimasta nonostante tutto, perché lui ne valeva la pena. È valsa la pena rimanere quando ho scoperto la verità su di lui, è valsa la pena restare quando i miei occhi hanno incrociato i suoi insieme ad un'altra, è valsa la pena restare quando mi ha urlato contro ubriaco, ed è valsa la pena restare quel giorno di tanti anni fa, chiusa in quell'auto con lui a parlare di cavolate adolescenziali quando noi avevamo da tempo passato quella fase.

Ricordo ogni minimo dettaglio della sua pelle quando aveva diciotto anni, ricordo il suo sorriso, che anche se ora è invecchiato e intorpidito è lo stesso; ricordo la sua maglia nera con le scritte bianche e i suoi jeans aderenti, ricordo i suoi occhiali da sole e il vento che gli scostava i capelli, ricordo le sue mani che odoravano di sigaretta e ricordo tutto di lui come se fossero passati pochi minuti, invece era passata una vita, una vita meravigliosa piena di alti e bassi ma completa di tutto.

Quando ero ragazzina immaginavo la mia vita insieme a lui, i nostri viaggi, la nostra casa e senza accorgermene tutte le mie fantasie si erano avverate, quasi tutto era come lo immaginavo. Non importa se avevo sognato un viaggio a Parigi quando in realtà eravamo andati in Messico, non importa se avevo progettato di vivere in una casa al mare quando alla fine abbiamo vissuto i nostri anni insieme in una villetta in città, non importa dove eravamo stati, con chi e in che modo, l'importante per me, era stato stare insieme a lui, e quarant'anni fa immaginavo proprio questa vita, non ne sognavo una perfetta con nessun litigio e nessuna difficoltà, anzi, quando la sera prima di andare a dormire pensavo alla mia storia con lui, immaginavo proprio i nostri litigi e le nostre discussioni con problemi immaginari da me creati e da me risolti, e la cosa più bella di tutta questa fantasia é che alcuni episodi si erano davvero avverati, e alla fine eravamo sempre tornati insieme; e non avrei mai e dico mai aver desiderato e vissuto una vita migliore di questa.

Ora sento come se qualcosa si stia sgretolando in me, in noi. Ho sempre avuto un sesto senso, anche se non ho mai capito di che genere fosse realmente, solo che riuscivo a percepire quando qualcosa stava per succedere e la maggior parte delle volte non mi sbagliavo. Adesso sento che parte della mia vita se ne stia andando piano piano, è come se mi stessero per togliere parte dei miei ricordi insieme a lui, è come se fossi diventata un quarto del mio corpo; perché lui non è solo la mia metà, lui ha avuto per tutti questi anni la maggior parte di me, la migliore e la peggiore, e quella piccola parte di me stessa che mi era rimasta per essere una donna "libera", l'ho messa da parte in quarant'anni di vita, da quando ho incontrato lui. In verità non sapevo cosa farci, forse è stato un errore concedere tutta me stessa ad una sola e unica persona, forse ho sbagliato ma non credo sarei stata meglio se lui avesse preso solo la metà di me, lasciando l'altra parte a me stessa. È come se ci fossimo scambiati le anime, e quella parte rimasta è il corpo stesso, le anime sono unite e non penso ci sia cosa più magnifica di questa.

Sapere che potrei vivere per altri anni a venire da sola, nella nostra casa, nei nostri ricordi, nel suo odore mischiato con il mio, non mi da forza, mi scaraventa a terra e mi fa crollare un masso sopra lacerando le mie ultime speranze; e sapere che sono una persona inutile in questo mondo, quando in quarant'anni sono stata la sua roccia, la sua colonna portante e la forza di entrambi, mi uccide letteralmente.
La sensazione di vuoto che inizio a sentire e il ricordo di queste emozioni negative mi riporta ai miei diciannove anni, quando mi ero ritrovata sola nella casa abbandonata dove passavo i pomeriggi da quando avevo sedici anni. Ero ferita nel cuore e sanguinante ad una gamba, con la mia maglia preferita stappata e graffi sulle braccia, evidenti ancora adesso.
Quella casa era stata riempita dalle mie parole e lacrime, dalle nostre frasi, dalle nostre risate, dai nostri baci e litigi, è stata partecipe della mia prima volta, è stata presente alla maggior parte dei miei compleanni; usavamo quel posto per vederci, non avevamo alternative. In parte ero felice li, ma quel giorno, quel maledetto pomeriggio la odiai. Odiai quelle mura, l'erba alta e secca che ricopriva le finestre, odiai la polvere che la circondava, la staccionata di legno rotta e odiai ancor di più il grigio tetro dei mattoni antichi che la costituivano. Odiai tutto in quel momento, la odiai perché aveva rovinato tutto, perché tutti i miei ricordi erano lì dentro, la odiai perché lei mi aveva portato a lui. Quella maledetta casa mi aveva incasinato la vita, lei e quella lettera che trovai nella sua cassetta della posta, odiai il giorno in cui passeggiai tra quella stradina e odiai me stessa perché stavo disprezzando tutto ciò che il corso della vita mi aveva donato ed era sbagliato, ingiusto e stupido. In quel momento, quando osservai il sangue che mi colava tra i graffi e la gamba, non sentivo dolore, avevo solo un forte buco al cuore e continuai ad osservare intorno a me e non c'era nulla, osservai la casa e pensai che fosse finito tutto, davvero pensai che quella fosse la mia fine; e non so dove presi la forza di combattere ancora, contro tutti, contro me stessa.

Isabel Trust /Niall HoranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora