Capitolo 3

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Isabel

Una Cadillac Eldorado Broughm, un modello del 1957, grigia lucido. Doveva essere stata importata dalla California. Era l'auto di Niall, il ragazzo della lettera che era nei miei pensieri da due giorni. Due giorni prima ero andata da lui e sembrava esser passato un mese o poco più. Pochi minuti prima ero nella mia stanza al piano di sopra, mi ero affacciata alla finestra e l"avevo visto nella sua auto grigia pulita con cura, andava verso casa sua; potevo scorgere una maglia bianca grazie ai finestrini abbassati per il troppo caldo. Lui osservava la casa, sembrava guardasse verso la mia finestra, le tende scostate dalla mia mano e il mio viso ad osservare il mondo fuori la mia stanza. Ero rimasta a seguire con lo sguardo l'auto dei miei sogni ed il conducente che ha occupato i miei pensieri da parecchie ore.

Avevo appena finito di studiare scienze della terra, mia madre era ancora al lavoro; lavorava in un negozio di parrucchiera, nel più grande salone di bellezza dello Yorkshire. Amava quel mestiere, amava creare e farmi le trecce, io adoravo quando lo faceva e amavo soprattutto vederla felice e soddisfatta.
Presi un libro nella libreria in salotto e indossai le scarpe, incamminandomi verso la casa abbandonata. In casa non c'era nessuno e potevo anche leggere li, ma amavo l'atmosfera di quella tenuta, era incredibilmente tranquillo ed accogliente; mi piaceva stare li.
Ormai non avevo timore ad attraversare quel sentiero deserto, ed oltrepassare la vecchia staccionata; é come se fosse diventato il mio nascondiglio, il mio spazio per essere libera.

***

Dopo due ore avevo letto buona parte del libro che mia madre mi aveva comprato, sapeva che adoravo leggere e per farmi contenta ogni tanto andava in libreria e ne prendeva uno. Avere tra le mani ciò che ci rende liberi di viaggiare con la mente è assolutamente magnifico.
Indossavo alcuni abiti di mia madre, mi piaceva vestirmi in quel modo, somigliare a lei, era bello. Avevo una gonna corta a vita e una camicia blu all'interno di essa, tra i capelli avevo messo una fascia con dei girasoli come mi aveva insegnato la mamma. Amavo i fiori, specialmente i girasoli, erano belli e mi mettevano allegria.
Avevo chiuso il libro e l'avevo poggiato a terra, incamminandomi verso il rumore che avevo sentito nell'altra stanza vuota. Arrivai allo stipide della porta e lo vidi, di spalle, la maglia aveva delle strisce che non avevo notato dalla mia finestra. Feci rumore, inciampando sui miei stessi piedi. I lunghi lacci delle mie scarpe bianche si erano sciolti e vidi solo il pavimento ricoperto di polvere. Sentii lui che diceva qualcosa che purtroppo non riuscì a capire per colpa del mio piccolo urlo. Mi aiutò ad alzarmi e cercai di togliermi la polvere di dosso al meglio possibile; alzai il volto e lo beccai a sorridere. Credo di non aver mai provato così tanto imbarazzo in vita mia. "Cosa ci fai qui?" Mi chiese con un grande sorriso sul volto. Non avevo tante parole, ero completamente diventata muta e avevo perso il mio più grande difetto, ovvero quello di non smettere mai di parlare.
"Io... Io vengo qui a leggere. Me ne vado, scusami" mi voltai in fretta e mi scontrai con la porta. Rideva dietro di me, cercava di non farsi sentire ma sentivo che non riusciva a bloccarsi dal ridere. Mi stavo rendendo ridicola e imbranata, non volevo che lui pensasse che io fossi così bambina da non riuscire a spiccicare parola davanti un ragazzo che, fortunatamente per lui e purtroppo per me e la mia reputazione era incredibilmente bello. Non ero mai stata così sfigata davanti a qualcuno, di solito ero una ragazza molto sfacciata e manesca. Era lui, era colpa sua se mi comportavo così.

Avevo recuperato il mio libro nella stanza, dove mi trovavo in precedenza alla mia peggior figura mai fatta.
"Questa era la mia camera" entrò lui parlando, bloccando i miei passi. "Dove eri seduta, c'era il mio letto" continuò, " e li, -disse indicando la parete di fronte a me- lì c'era un grandissimo poster dei miei cantanti preferiti."
Lo stavo fissando, immaginando la sua vecchia camera da letto, il suo rifugio da qualcosa andato storto tanti anni fa. Cercavo di creare un'immagine dalle sue descrizioni, cercando di rendere reali quelle parole.
Passò molto tempo a spiegarmi ogni centimetro di quella stanza, di come era fatta prima che se ne fosse andato; era molto attento ai dettagli. Mi raccontò alcuni aneddoti di lui e sua madre, la donna della lettera. In quel momento di silenzio, lui osservava me, il mio libro tra le mani. Eravamo seduti a terra dove poco prima ero io, quasi vicini per far toccare le nostre braccia definitivamente, ma non abbastanza per rendere ciò reale.
"Puoi venire qui quando vuoi, non è un problema per me" mi scrutava dentro, sembrava avessi qualcosa di indescrivibile scritto sul viso. "Grazie" risposi solamente. Dopo di che si instaurò nella stanza un silenzio imbarazzante, cercai di pensare a cosa dire, ma nulla. Avevo tra i pensieri solo lui e le sensazioni che mi faceva provare. Mi metteva a disagio la sua presenza. "Credo di dover andare via" mi alzai velocemente, ero fuori ormai. Respiravo aria diversa, ossigeno puro, non mischiato con l'odore di tramonto di Niall. Che poi il tramonto aveva un odore? Non ne ero sicura ma Niall mi ricordava il tramonto, mi faceva pensare all'aria fresca d'estate, verso le sette di sera, quando si rientra dal lavoro e si inizia a preparare la cena. Mi fa pensare alle giornate passate da bambina a giocare in giardino fino a quando la mamma non mi chiamava per cenare. Niall aveva creato un nuovo profumo, quello del tramonto. Non era Niall che odorava di tramonto, ma il tramonto che odorava di lui.
"Aspetta Isabel." La sua voce alle mie spalle, il mio nome pronunciato da lui era talmente diverso da come lo sentivo dagli altri, la sua voce dolce e sicura, un po' roca ma pulita. "Isabel" si ripeteva nelle mie orecchie, "Isabel" mimai con le mie labbra e con il mio ricordo di quel suono cercai di far rivivere quel momento appena passato. Le lettere uscite dalle sue labbra sottili erano così belle e armoniose, quasi ne rimasi incantata di nuovo.
Mi voltai subito, aspettando cosa volesse dirmi, "posso accompagnarti a casa? Si sta facendo buio" mentre lo diceva si avvicinava e la sua fragranza entrò di nuovo nelle mie narici. Annuii leggermente e ci incamminammo a piedi. Aveva lasciato l'auto a casa sua quando l'avevo visto dalla mia finestra, "avevo voglia di passeggiare" mi disse non appena gli chiesi della sua auto.
"Quanti anni hai, tredici?" Mi chiese ridendo, "perché leggi quei libri da bambina?" Ero offesa, mi piaceva davvero quel libro. "Ti sembro una che ha tredici anni?" Aprii le braccia e feci un giro su me stessa mentre continuavo a camminare, "ne ho sedici e mezzo" - "oh, allora scusami. Sei un'adulta" rise, mi stava prendendo in giro. Lo strattonai e rise ancora di più. Aveva un suono contagioso e adorabile, risi anche io. Ero tornata la sfacciata di sempre.
Avevamo parlato abbastanza da sapere che era un fan degli Eagles e di Stevie Wonder, mi ha anche nominato tantissimi altri nomi ma non ero completamente attenta.

"Come conosci mio padre?" Gli chiesi all'improvviso dopo essermi ricordata di quel particolare. "Mio padre era amico del tuo" disse come se fosse ovvio. Camminavamo fianco a fianco, sempre con quella paura di sfiorarci entrambi. "Ora non lo sono più?" Sembravo una bambina che iniziava a fare domande su domande agli sconosciuti. Mi guardava in un modo strano, credo che fosse confuso. Forse gli avevo appena fatto una domanda alla quale lui pensava io sapessi la risposta? "Mio padre é morto tanti anni fa, i tuoi non ti hanno mai parlato di noi, di mia madre?" Negai con la testa, nessuno mi aveva mai parlato di loro, io non sapevo della loro esistenza fino a qualche giorno fa, fino alla lettera. "Tua madre sa che l'altro giorno sei venuta da me?" Negai ancora, perché tutti quei misteri? Cosa cercava di dirmi? Non avevo detto nulla a mia madre perché non le dicevo mai niente di quello che facevo siccome si preoccupa, ma non per altri motivi, che sicuramente Niall conosceva e io no. "Non ti ricordi nulla? Avevi sei anni quando è successo tutto. Come fai a non ricordare?" Ricordare cosa? Cosa era successo? Niall mi stai facendo impazzire. "Non so di cosa stai parlando, ricordare cosa? Non sapevo della tua esistenza fino alla lettera." Lo vidi scuotere la testa, sospirava. "Isabel, cerca di ricordare. Forse non saresti mai dovuta venire a casa mia."
Non mi accorsi di essere davanti casa mia, lui proseguì verso la sua, con le mani nelle tasche.

****

L'odore chimico di ammoniaca entrava nelle mie narici fino a farmi venire un leggero mal di testa. Ero seduta nelle poltrone comode del salone dove lavorava mia madre. La scuola era finita da tre giorni e di solito l'estate venivo sempre nel negozio a guardare la mamma che lavora e parlotta con le clienti. Era pieno di signore con rolli in testa che spettegolavano di fatti altrui, odiavo queste persone, perché impicciarsi? Entrò una donna bionda, era Betty. La salutai e dopo avermi squadrato alla perfezione mi riconobbe e mi face un finto sorriso. " il tuo amico è andato a prendere un gelato" mi disse accomodandosi insieme alle altre signore sulle poltrone rosse. Non sapevo se ringraziarla o no. Avvertì mia madre e andai alla gelateria che era di fianco il salone. Il bello di stare al lavoro da mia madre era avere gelati vicino a te per tutta l'estate.
Lo vidi, da fuori le vetrate, era seduto ed aveva davanti a se una coppa di vetro con quello che sembrava cioccolato; con dei fogli sparsi davanti a lui. Entrai e feci finta di non vederlo, ero completamente attratta da lui, ero curiosa di sapere cosa avesse la madre, curiosa di cosa volesse dirmi l'altro giorno. Cosa significasse quella lettera e perché avesse lasciato la sua vecchia casa. Ordinai il mio gelato al pistacchio. Mi posizionai al tavolo di fronte al suo, facendo attenzione a non farmi scoprire ad osservarlo. Era impegnato a leggere quello che aveva davanti per accorgersi di me, io invece, mi sarei resa conto della sua presenza solo con il suo odore, emanava tranquillità in tutto il locale. Lo guardavo di sottecchi, lo scrutavo con la coda dell'occhio, gustandomi l'aroma dolce e fresco del pistacchio.
Dopo minuti che parvero ore, sentì i suoi occhi ghiaccio bruciarmi la pelle, sentivo che mi stava guardando, la tranquillità che emanava prima era stata sovrastata dall'ansia e l'imbarazzo. Mi feci coraggio e puntai i miei occhi su di lui. Ci incrociammo con lo sguardo, come se fosse appena esploso tutto il mondo fuori e noi due immobili con i nostri gelati davanti. Una bomba di elettricità tra sguardi incompresi. Poi arrivò da parte sua un sorriso, era rivolto a me, lo interpretai come un "ancora tu? Sei cocciuta ragazza." E sorrisi anche io. Forse pensava che fosse una coincidenza, ma il vero motivo per cui io ricambiai, era perché ero felice di vederlo. Dovevo scoprire molte cose su di lui e ormai ero dentro il suo passato fin troppo da annegarci e l'unico a potermi salvare era lui.
Si alzò, prendendo tutte le sue cose e venendo verso di me, si accomodò. "Mi segui?" Scherzò con la sua aria strafottente. "Vengo sempre qui, tu invece?" Eravamo così distanti, ma contemporaneamente così vicini da poter annusare il suo profumo come se fossi tra le sue braccia a respirarlo. Sentivo l'adrenalina nelle vene, eppure non stavo facendo nulla di entusiasmante, invece era lui, che mi faceva sentire così.
Sembrava uno di quei film western, dove ci sono i due cowboy a poca distanza con la mano ad un millimetro dalla rivoltella, chi riusciva ad estrarla per primo per poter sparare; e noi eravamo così, a poca distanza ma in allerta.
Mi sentivo così in quel momento, diabolica ma terribilmente felice. "Ho accompagnato mia zia nel salone dove lavora tua madre." Perché lui sapeva tutto della mia vita e io niente di lui? Come era possibile questa cosa? Eppure vivevamo a poca distanza e ci portavamo solo due anni, perché non riuscivo a ricordami di questo essere meraviglioso? Annuii senza chiedere spiegazioni, volevo godermi la sua bellezza, la sua semplicità e cercare di capire i suoi pensieri. Perché poi si era avvicinato a me se mi aveva detto quelle cose l'altro giorno? Ero confusa e felice.
I miei occhi andarono sui documenti che aveva con se, era compresa la famosa lettera della madre. "Posso chiederti di accompagnarmi in un posto?" Mi domandò all'improvviso. "Si"

Isabel Trust /Niall HoranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora