6. Che te ne frega a te?

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Manuel lasciò la festa con la testa che gli scoppiava, le domande che lo assillavano erano tante e le risposte troppo poche, ogni volta che credeva di averne trovata una gli compariva davanti agli occhi l'immagine di Simone che lo guardava arrabbiato come non mai, cosa avesse però per essere così tanto arrabbiato lui non l'aveva mica capito. Era stato Simone a lasciarlo ed era sempre lui quello che aveva una felice relazione, cosa pretendeva ancora? Che Manuel lo aspettasse a vita?
Una volta saliti in macchina di Cesare – sì, Simone c'aveva visto bene quando aveva pensato fossero arrivati insieme – avrebbe voluto fare all'amico tutte le domande che gli passavano per la testa, chiedergli anche il perché di quel bacio ma, complice la stanchezza accumulata nelle settimane passate e il mal di testa improvviso che gli era venuto, si era addormentato prima di poter anche solo aprire bocca.
Come ci fosse arrivato Manuel nel suo letto – per fortuna vestito come alla festa o non avrebbe avuto mai più il coraggio di uscire da casa – restava un mistero ma si appuntò di chiedere anche quello a Cesare, prima però di fare qualsiasi cosa, avere un qualsiasi contatto umano, aveva bisogno di un caffè per rendere più sopportabile quell'uggiosa domenica mattina di fine marzo.
I piani di Manuel – non che ci avesse molto ad organizzarli – andarono all'aria non appena il suono del campanello si diffuse nel piccolo appartamento e, improvvisamente, il ragazzo sentì la mancanza di sua madre, a lavoro nonostante fosse domenica, perché se ci fosse stata avrebbe potuto aprire lei.
Sarà 'n vicino der cazzo che ha finito 'o zucchero o chissà che cosa. Manuel digrignò i denti e, contrariato e assonato, si diresse verso la porta d'ingresso sforzandosi, come gli diceva sempre sua madre, di sorridere e non spaventare chiunque si avvicinasse a quella casa.
- "Chi è?" Domanda abbastanza inutile in quanto, prima ancora di ricevere risposta, stava già aprendo la porta. Quell'accenno di sorriso, in realtà era più una smorfia, svanì non appena oltre la soglia di casa si ritrovò l'ultima e la prima persona che avrebbe voluto vedere. Simone era fermo davanti a lui, avvolto nella solita giacca di jeans – quella che per un periodo era stata sua – e un cipiglio stampato in volto.
- "Che vuoi?" La voce gli uscì meno dura di quanto sperato e anche la sua espressione, ne era certo, non doveva essere poi così minacciosa.
Simone tirò fuori dalla tasca una sciarpa con delle stampe colorate che Manuel riconosceva come quella di sua madre.
- "Tua madre l'ha dimenticata a casa, ho pensato potesse servirle." Borbottò, non troppo convinto, Simone.
Il maggiore inarcò un sopracciglio.
- "Non l'ha dimenticata, te ricordo che se sta' pe' trasferi' a casa tua." Replicò lui. "E comunque nun ce sta, se le dovesse servire le dirò dove trovarla." Aggiunse e fece per chiudere la porta ma l'altro la bloccò con una mano.
- "Non mi fai nemmeno entrare?"
- "No."
- "Sei in compagnia?" Chiese Simone, mantenendo la sua espressione arrabbiata della sera precedente.
Il riccio, in un primo momento, aggrottò la fronte.
- "E se pure fosse?" Controbatté alla fine. "Che te ne frega a te?"
Simone però, ormai per metà in casa, ignorò del tutto le parole del ragazzo.
- "C'è Cesare con te?"
Manuel sospirò rumorosamente, il cerchio alla testa della sera precedente tornò prepotente costringendolo a mugolare di dolore.
- "Senti." Iniziò lui. "È domenica, è mattina, tu dovresti sta' a farti i cazzi tuoi co' er ragazzo tuo e invece vieni qua a rompere 'e palle a me? So' stanco e l'ultima cosa che voglia è parlare con te."
Simone recepì soltanto una parte di quanto l'altro gli aveva detto, la meno rilevante ma divenne per lui la più importante.
- "E certo che sei stanco." Sbottò il più alto. "Immagino che hai fatto tardi co' Cesare, no?" Digrignò i denti e serrò i pugni mentre lo diceva, con tono di voce carico di risentimento.
Manuel sgranò gli occhi ed indietreggiò come se fosse stato schiaffeggiato in pieno viso. Stava ancora dormendo o realmente Simone, lo stesso che per mesi l'aveva soltanto usato, era andato a casa sua per rinfacciargli quello che faceva?
- "Ma te sei rincoglionito de recente o sei sempre stato così e nun me ne so' mai reso conto?!" Replicò il maggiore. "Te lo ripeto, Simo', che te ne frega a te?" Continuò. "Nun c'hai niente de mejo da fa'?"
- "Per mesi m'hai ripetuto che mi amavi, che per te ero l'unico e poi t'è bastato nemmeno un mese per trovartene un altro?" Le parole di Simone erano dure, dette con il preciso intento di ferire l'altro. "Forse nemmeno sai che cosa significhi amare, considerate le tue precedenti relazioni, o mi sbaglio, Manuel?"
Manuel fino a quella mattina era certo di non poter soffrire più di quanto stesse già facendo, quella ferita al cuore che si portava dietro da settimane ormai divenne più profonda e riprese a sanguinare come mai prima e il ragazzo, ne era certo, non aveva abbastanza garze per chiuderla ancora una volta. Non poteva però permettere a Simone di credere di avere ragione, non poteva consentirgli di dire certe cose dopo quanto gli aveva fatto.
- "Te sei forse dimenticato che mentre io te dicevo d'amarti tu invece c'avevi 'n altro ed era lui quello che volevi?" Replicò Manuel. "Te sei dimenticato che tu m'hai preso per il culo per mesi e che se nun fosse stato pe' Matteo e gli altri io non avrei mai scoperto niente?!" Continuò, alzando il tono della voce. "Vieni qua, manco t'avessi ammazzato er cane, e te permetti pure de puntarmi er dito contro? Ma chi cazzo te credi d'esse? Ma con chi cazzo so' stato io?!"
- "Magari co' Cesare staresti meglio, no, Manuel?" Simone era furioso, guardava Manuel come se fosse una persona orribile e la voce di Luca mentre gli diceva che, invece, Manuel aveva tutto il diritto di fare quello che voleva era soltanto un eco lontana. "Me sembrate così tanto affiatati dopo appena tre settimane!"
- "Forse hai ragione." Annuì il più basso, che stava lottando contro se stesso pur di non mostrare all'altro quanto stesse soffrendo. "Con Cesare starei meglio perché lui me rispetta, nun me farebbe mai quello che m'hai fatto tu!" Disse. "Chiunque mi tratterebbe meglio di quanto hai fatto tu, nemmeno co' Alice ho sofferto come co' te."
Il minore, per qualche secondo, si zittì e Manuel lo vide vacillare ma, subito dopo, riprese a serrare la mascella e rivolgere all'altro occhiate di fuoco.
- "E Chicca invece? Com'è stata Chicca con te?" Controbatté lui. "Perché non mi sembra che tu sia stato un santo."
- "Lascia Chicca fuori da questa storia." Ringhiò il più grande. "Lei non c'entra nulla co' me e co' te." Aggiunse.
- "Nemmeno con me sei stato un santo, Manuel."
- "E non c'è giorno in cui io non mi penta di quello che t'ho detto." Ammise il riccio. "T'ho chiesto scusa in ogni modo, se nun m'avessi più voluto vede' l'avrei capito ma io ho agito per paura, t'ho detto quelle cose solo perché avevo paura d'ammette' la realtà. Tu invece che motivo avevi de mentirmi e trattarmi in quel modo?" Continuò. "Nun sarebbe stato più facile dirmi che te facevo schifo e mettere fino a tutto? C'era bisogno di mentirmi pe' tre mesi e trattarmi come fossi 'na bambola?" Aggiunse. "E poi te presenti qui e pretendi pure di dirmi cosa devo fare della mia vita? M'hai lasciato, stai co' 'n altro e io sono libero."
Simone però era fin troppo accecato dalla rabbia che provava per vedere quanto stesse sbagliando nei confronti del maggiore.
- "Libero de scopa' co' Cesare."
Manuel, sopraffatto, sospirò e scosse la testa.
- "Vattene via, Simo', e lasciami in pace." Gli disse. "Fatti la tua vita e io me faccio la mia."
- "Tranquillo, ti lascio alla tua vita, non ti darò più fastidio." Acconsentì Simone. "Una cosa però te lo voglio dire." Disse. "Con Cesare non sarai mai felice perché lui non ti darà mai ciò che vuoi."
- "E cos'è che voglio io? Dimmelo tu visto che sai tutto."
- "Vuoi amore."
- "Quello che tu nun m'hai saputo e non mi hai voluto da'."
- "E non te lo darà nemmeno Cesare." Sentenziò il minore. "Magari starete bene insieme per un po', vi divertirete ma alla fine lui ti butterà come 'na scarpa vecchia perché lui non fa per te." Disse. "Non ti darà mai ciò che vuoi. Cesare non ti amerà mai."
Il cuore già malandato di Manuel si ruppe in mille pezzi, il ragazzo dovette appoggiarsi al muro dietro di lui e prendere lunghi respiri per tranquillizzarsi ed evitare di scoppiare a piangere in quello stesso momento. Fino a quel momento aveva provato rabbia nei confronti di Simone, lo odiava per quanto gli aveva fatto ma tutta quella rabbia era sparita, il dolore l'aveva totalmente divorata e lui non sapeva come reagire a quella nuova emozione. Nonostante tutto lui aveva continuato a volere il meglio per Simone, sperava fosse felice e, dopo i tanti tentativi dell'altro di chiarire, credeva fosse lo stesso dall'altro ma si era sbagliato alla grande: Simone voleva soltanto vederlo soffrire, voleva solo il peggio per lui.
- "È questo quello che vuoi per me?" La voce di Manuel era bassa, Simone riusciva a sentirlo appena. "Vuoi che la gente mi usi e poi mi butti via? Vuoi vedermi soffrire continuamente?" Chiese, la voce iniziava a tremolare e gli fu difficile alzare lo sguardo, ormai lucido, per guardare il minore. "Perché io, nonostante tutto, per te voglio solo er mejo, spero di vederti felice e speravo per te fosse lo stesso perché avrebbe significato che, in fondo, tu a me un po' ce tenevi ma evidentemente me so' sbagliato pure su questo." Disse. "Tu nun sei stato capace, o forse non hai voluto, amarmi e vuoi che anche gli altri facciano lo stesso? Per te non posso esse' pe' nessuno niente più che qualcuno con cui divertirsi e poi buttare via? È questo quello che hai sempre pensato di me?" Una lacrima scese a rigargli il volto e un singhiozzo lo interruppe.
- "Manuel no, io n- non intendevo q- questo..." Solo in quel momento, davanti al dolore dell'altro, Simone si rese conto di quanto aveva detto fino a quel momento, del suo egoismo nel presentarsi lì per fargli la morale quando lui aveva qualcuno che lo aspettava. "Per me non sei questo, lo sai, io t-"
- "Vattene via." Lo zittì Manuel. "Vattene via e non tornare." Disse. "Lasciami in pace, fatti la tua vita, perché vuoi continuare a farmi soffrire?" Ormai il più grande stava singhiozzando senza freni e Simone avrebbe voluto abbracciarlo ma sapeva che non gliel'avrebbe permesso. "Vattene, ti prego."
Simone, con un peso sul cuore, annuì e indietreggiò di qualche passo verso la porta ancora aperta.
- "Mi dispiace, Manuel." Gli disse. "Non era quello che volevo, te lo giuro."

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