7. Mi prenderò cura io di te.

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Tw: malattia? Ma in realtà no

Simone aveva lasciato la casa di Manuel con un macigno sul petto e un nodo alla gola, la rabbia che provava dalla sera precedente era scemata davanti alle lacrime dell'altro e dopo essersi reso conto di averlo, nuovamente, ferito. In un primo momento il più piccolo era stato tentato dall'idea di accamparsi fuori dalla sua porta fino ad ottenere il perdono ma, per una volta, la vocina nella sua testa lo convinse a rispettare il volere di Manuel e lasciarlo in pace, non per sempre ma almeno per qualche giorno. L'intenzione di Simone, quando aveva deciso di andare da Manuel, non era di certo quella di dirgli cose orribili e allontanarlo ancor di più, in realtà non sapeva nemmeno lui perché fosse andato dal maggiore, razionalmente sapeva di non aver alcun diritto di fargli scenate o pretendere chissà che cosa – sempre la stessa vocina gli ricordava continuamente quanto stronzo fosse stato con Manuel – eppure aveva sentito il bisogno di farlo. Simone, egoisticamente, aveva pensato che Manuel sarebbe stato innamorato di lui per sempre – o comunque per un periodo di tempo molto lungo – e vederlo, invece, con qualcun altro dopo poche settimane l'aveva colto alla sprovvista, per di più Cesare gli sembrava così diverso da lui e non riusciva a capire come potesse volere una persona simile dopo di lui.
Mi sembra anche ovvio che Manuel voglia qualcuno che sia il tuo opposto, dopo come l'hai trattato, Simone. La voce della sua coscienza aveva ragione e Simone si dava dello stupido infinite volte per non aver dato ascolto né a lei né a Luca, con cui aveva litigato pur di andare da Manuel e peggiorare ancor di più la situazione. Il minore aveva sempre creduto di essere una brava persona, insomma non aveva mai fatto del male a nessuno, ma tale convinzione era caduta non appena una lacrima aveva bagnato le guance di Manuel e la causa era soltanto lui, lui e il suo egoismo. Simone avrebbe voluto abbracciarlo mentre singhiozzava, avrebbe voluto chiedergli scusa per tutto e fargli dimenticare quanto era successo, avrebbe voluto ridargli quel pezzo di felicità che si era portato via ma non era possibile o almeno non lo era con le modalità che avrebbe voluto lui, poteva farlo solo a modo di Manuel: doveva lasciarlo in pace.

Erano passati circa venti giorni dall'ultima conversazione dei due ragazzi, c'era stato anche il diciottesimo compleanno di Simone a cui Manuel, sebbene fosse invitato, aveva evitato di andare e aveva anche ignorato il ringraziamento dell'altro per i regali che gli erano arrivati, fosse dipeso da lui avrebbe annullato tutto ma gli era stato impossibile. In quei giorni Simone non era riuscito a tenere fede alla sua promessa di lasciare del tempo al maggiore, dopo appena tre giorni era tornato alla carica e aveva tentato di chiarire con lui ma con scarsi risultati. In quei giorni, inoltre, il comportamento di Manuel nei suoi confronti era mutato, aveva smesso di reagire male ad ogni approccio dell'altro, aveva smesso di mandarlo a quel paese, aveva smesso di essere arrabbiato ma era profondamente deluso, deluso da Simone e tutto ciò che si era rivelato essere e, ad ogni tentativo dell'altro di parlare, non faceva altro che dimostrargli quanto male stesse. Manuel aveva smesso di lanciargli occhiatacce, i suoi occhi erano ormai colmi di tristezza e chiunque in classe sembrava averlo notato, gli unici però con cui trovava un po' di sollievo erano Chicca, Aureliano e – a suo malincuore – Cesare, mentre ogni parola di Simone serviva soltanto a farlo stare peggio ma il minore sembrava pensare soltanto al suo senso di colpa e ignorare il resto. Ignorare lui.
Aprile era ormai arrivato, ed era già anche quasi giunto alla sua metà, portando con sé fiori profumati, belle giornate e quantità industriali di polline che appestavano tutta Roma e, in particolare, di Simone che viveva in campagna e con sua nonna allergica che non faceva altro che tossire e starnutire come nemmeno con la febbre aveva mai fatto. Allergie a parte, anche quella mattina – come del resto faceva da settimane a quella parte – Simone comprò al bar due cornetti, uno al cioccolato bianco per Manuel e l'altro al pistacchio per lui, consapevole però che sarebbe tornato a casa con un cornetto che, alla fine, avrebbe mangiato Luca nel pomeriggio eppure lui continuava a sperare che, un giorno, il maggiore avrebbe accettato quella sua, un po' misera, offerta di pace. Quel giorno però il rugbista si rese conto che qualcosa fosse diverso non appena parcheggiò la sua vespa e notò l'assenza della moto di Manuel.
L'avrà presa sua madre, si disse e si diresse verso il chiosco in cui, ormai, era un habitué e trovava il suo ordine già pronto ad aspettarlo. La conferma che il maggiore non ci fosse la ebbe non appena entrò in classe e notò il nuovo e distante da lui solito posto di Manuel vuoto, non ebbe neppure il tempo di pensare che fosse, semplicemente, in ritardo quando venne affiancato da Chicca e Aureliano.
- "Senti, tu nun me stai più tanto simpatico ma te devo chiede' 'na cosa." Esordì Chicca spingendolo, non troppo delicatamente, in corridoio.
- "Buongiorno Simone, scusala per i suoi modi." Disse Aureliano e gli riservò un sorriso di scuse per il comportamento dell'amica.
- "Che succede?" Chiese, confuso, il minore e aggrottò la fronte.
- "Se avete finito de perde' tempo io sarei preoccupata." Sbuffò la ragazza e incrociò le braccia al petto.
- "Preoccupata? È successo qualcosa?" Domandò Simone. "Riguarda Manuel?" Il cambio d'espressione di Simone fu evidente, dalla confusione passò alla pura agitazione, spaventato all'idea che potesse essere successo qualcosa al maggiore.
Chicca annuì ma fu Aureliano a parlare.
- "Hai notato che negli ultimi giorni era un po' più stanco del solito e sembrava sofferente?" Chiese.
Il più alto ci pensò su un momento e poi annuì.
- "Sì, mi è sembrato un po' più spento del solito."
- "Stanotte c'ha mannato 'n messaggio ma stavamo entrambi dormendo e l'abbiamo letto solo stamattina." Spiegò la ragazza. "C'ha scritto che stava male e che sua madre lo stava pe' porta' in ospedale, ho provato a chiamarlo mille volte ma nun me risponde e io so' preoccupata." Aggiunse. "Te sai qualcosa?"
La mano sinistra di Simone iniziò a tremolare e lo stomaco ad attorcigliarsi mentre nella mente gli si presentavano i peggiori scenari.
- "I- io non lo s- so..." Balbettò Simone, ormai in preda all'agitazione. "Io e lui non p- parliamo più molto e-"
- "Però lui c'ha detto anche che tuo padre stava andando da loro per accompagnarlo." Gli disse Aureliano. "Per questo lo stiamo chiedendo a te." Spiegò.
Effettivamente Simone quella mattina si era reso conto dell'assenza del padre ma pensava fosse semplicemente uscito presto per qualcuno dei suoi assurdi motivi, aveva anche notato che sua nonna fosse più agitata del solito ma lui era in ritardo e non aveva avuto modo di chiedergli il motivo, se lo avesse fatto avrebbe saputo prima che cosa stava succedendo.
- "Datemi un minuto." Borbottò Simone e, veloce, tirò fuori il suo cellulare e compose il numero del padre per poi chiamarlo.
Ogni squillo a vuoto corrispose ad un acceleramento del battito cardiaco di Simone, questo continuava a spostare il peso del corpo da una gamba all'altra, a sospirare rumorosamente e pregare non fosse successo niente di grave ma, soprattutto, sperava suo padre gli rispondesse prima di avere un infarto.
- "Pronto? Simone?" Quando Dante, finalmente, gli rispose il ragazzo tirò un sospiro di sollievo che però durò fin troppo poco.
- "Papà sei all'ospedale? Manuel come sta?!" Non aveva tempo per convenevoli, aveva bisogno di sapere cosa fosse successo a Manuel.
- "Chi te l'ha detto?"
Il rugbista digrignò i denti, infastidito da quella perdita di tempo.
- "Ha inviato un messaggio a Chicca e Aureliano e loro m'hanno chiesto se sapessi qualcosa." Spiegò lui il più sinteticamente possibile. "Come sta? Che è successo?"
L'uomo dall'altro lato del telefono temporeggiò per qualche istante, evidentemente incerto dal comunicargli cosa fosse successo a causa del loro litigio, ma subito dopo sentì la voce di Anita che gli dava il permesso di dirgli tutti.
- "Negli ultimi giorni Manuel non è stato benissimo." Disse Dante. "Da ieri pomeriggio però ha un forte dolore all'addome, stanotte è diventato insopportabile e Anita mi ha chiamato per accompagnarlo in ospedale."
Simone sentì il nodo alla gola, presente da quando Chicca gli si era avvicinata, stringersi e dovette appoggiarsi al muro perché sentiva le gambe tremendamente deboli.
- "E-" Si schiarì la voce. "E c- cos'ha?"
I secondi che passarono prima che Dante gli rispondesse gli sembrarono infiniti, immaginò di sentire le peggiori risposte ma quando l'uomo, finalmente, parlò una parte di quel peso volò via.
- "Nulla di grave, Simo, tranquillo." Gli disse prima di tutto. "Dall'ecografia è risultato che ha l'appendicite infiammata, l'hanno ricoverato e tra poco lo porteranno in sala operatoria."
Nonostante suo padre l'avesse rassicurato dicendogli che non era nulla di grave – ed effettivamente era così – l'idea che Manuel stesse per entrare in sala operatoria gli faceva tremare le gambe e soltanto di una cosa era convinto: lui doveva essere lì.
- "A quale ospedale siete?" Chiese.
- "San Giovanni A-"
- "Sto arrivando." Simone staccò la telefonata e si voltò verso Chicca e Aureliano che, per tutto il tempo, l'avevano guardato con sguardi preoccupati. "Appendicite, lo stanno per operare." Comunicò loro. "Io vado lì, vi faccio sapere appena so qualcosa, okay?"
Chicca e Aureliano non ebbero nemmeno il tempo di rispondere perché Simone corse via e si diresse il più in fretta possibile verso l'ospedale per raggiungere Manuel.

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