Capitolo 2

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"Sei una merda, non ti sopporto più." urlo.

Sono fuori di me, Simón riesce a farmi incazzare in un modo che non riesco nemmeno a spiegare. Mi fa proprio uscire di testa e io non riesco mai a gestire le mie emozioni quando si tratta di lui.

"Sei veramente patetica, potresti evitare queste sceneggiate."

"Io ti odio, vorrei non averti mai incontrato."

"Credimi, la cosa è reciproca."

Quando va via scoppio a piangere, nascondendomi in uno sgabuzzino per non farmi vedere.

Akame entra all'improvviso, ha l'incredibile capacità di trovarmi sempre nei momenti meno opportuni. Sfortuna o sesto senso da migliore amica?

"Maca, stai piangendo?"

Annuisco, è inutile negarlo.

"Ma cosa succede?" mi chiede, preoccupata.

"Ho litigato con Simón, non voglio annoiarti con le motivazioni, ma mi sono resa conto di aver sbagliato e ora mi sento uno schifo."

"Senti, capita a tutti di sbagliare."

"L'ho insultato, gli ho detto che non voglio vederlo mai più e tutto questo per una cazzata. Sai com'è Simón, non mi perdonerà."

"Hai ragione, quell'uomo non conosce il significato della parola "perdono", però tu sei tu. Ammazzerebbe per te e di sicuro riuscirete a sistemare le cose. Ora non pensarci più, preparati che ti porto a bere qualcosa."

"Non ne ho voglia..."

"È un ordine."

Prima di iniziare a prepararmi prendo il cellulare. Ho bisogno di parlare con Simón, altrimenti potrei impazzire.

Provo a chiamarlo sei volte e gli lascio quattro messaggi, che lui visualizza senza rispondere.

Abbiamo un cellulare particolare che non può essere rintracciato, ma che può mostrarmi che il mio fidanzato, o ex, mi sta ignorando.

"Smettila di fare la sottona e preparati." mi grida Akame dall'altra stanza.

"Come fai... Come fai a saperlo?"

"Ti conosco bene, smettila di cercare Simón e muoviti."

Dopo un po' ci ritroviamo in un bar. Lei indossa una parrucca bionda e io ne ho messa una castana.

"Dio santo, Maca. Smetti di pensarci, basta."

"È colpa tua." le dico, singhiozzando, tra un cocktail e l'altro.

"E perché sarebbe colpa mia?"

"Me lo hai presentato tu."

"Ok, comunque hai rotto il cazzo. Sbollirà, ti richiamerà e tornerete a fare i piccioncini disgustosi come sempre."

"Dici che mi richiamerà?"

"Sì, ti prego, basta."

In quel momento alzo la testa e vedo una donna bellissima, con i capelli lunghi neri e un piccolo tatuaggio sotto l'occhio. I suoi lineamenti sono orientali, è elegante e raffinata, sembra che ogni cosa brilli quando lei ci passa accanto.

Oh cazzo, ora la riconosco.

È Zulema, Zulema Zahir.

"L'ho vista, non dire niente. Non le piace quando gli sconosciuti le parlano, potrebbe spezzarti un braccio." mi dice Akame.

"Stai scherzando?"

"Lo ha fatto per molto meno."

"Ma che..."

"Limitati a fare quello che faccio io."

Quando quella donna ci passa accanto Akame fa un inchino, con le mani giunte e gli occhi che guardano in basso.

Io faccio lo stesso e anche se i miei occhi non incontrano mai quelli di Zulema sento il suo sguardo su di me, che per qualche strano motivo mi fa arrossire. Questa donna mi mette in soggezione, mi tremano le gambe mentre mi sforzo di non farglielo notare.

Quando va via, Akame alza la testa e io la imito. Mi sento confusa, come se avessi bevuto tre drink di fila.

Aspetta, io ho bevuto tre drink di fila.

Ma non sono quelli a farmi sentire così, è Zulema. Zulema Zahir, praticamente una dea.

Passo dall'euforia al panico, vedendo che Simón non mi ha ancora risposto.

E se mi avesse lasciata? E se non volesse più stare con me? E se avessi buttato via quasi dieci anni della mia vita?

Potrei morire, ne sono sicura.

"Maca, sei troppo emotiva stasera, non è che hai il ciclo?" mi chiede Akame.

Oh merda, il ciclo.

Sono in ritardo di tre giorni. Tre fottuti giorni.

Ma, in fondo, cosa sono tre giorni? Niente.

Devo solo respirare e smetterla di farmi paranoie.

"Hai ragione, deve venirmi il ciclo." affermo.

"Ok, adesso andiamo a ballare un po'?"

Mentre ballo insieme alla mia amica mi rendo conto che ho un dolore assurdo ai piedi e mi maledico per aver indossato i tacchi, che sono dei veri e propri strumenti di tortura.

"Io vado a fumare una sigaretta." le dico.

"Vengo anche io."

Usciamo dal locale e controllo il cellulare per vedere se mi ha scritto Simón. Ovviamente non lo ha fatto, ha ignorato tutte le mie chiamate e i miei messaggi.

Forse mi ha cancellato definitivamente dalla sua vita, forse cercava solo un pretesto per mandare tutto a puttane perché si è stancato di me. O forse, questo è più probabile, è tutta colpa mia e del mio carattere di merda.

Decido di non pensarci, almeno per un po', perché mi fa male il cuore solo all'idea di essere stata abbandonata dall'amore della mia vita.

Cerco di concentrarmi su altro e la mia mente sceglie Zulema. Non le ho nemmeno parlato, ma quella donna è come una calamita per me.

Non vedo l'ora di chiederle di studiare con lei, dovrei farlo tramite Simón che è anche il mio capo o in qualche altro modo che mi farò spiegare dagli altri membri della banda. Non importa come, so solo che voglio imparare l'arte dei samurai da quella meravigliosa donna. Non voglio un altro maestro, voglio lei.

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