Capitolo 23

85 14 43
                                    

Il primo che vedo è Ramala, con il suo solito cappello e il suo solito sigaro.

L'odore del fumo, mischiato alla sensazione di paura che mi porto addosso, mi fa venire la nausea. Mi viene da vomitare, anche se non è proprio il momento giusto per sentirsi male.

Decido di farmi avanti subito, prima che la mia ansia prenda il sopravvento e mi impedisca di essere lucida.

Lui mi vede subito e mi lancia uno sguardo interrogativo, probabilmente non si aspettava di trovarmi in casa sua.

"Sapevo che eri viva, ma non pensavo avessi la faccia tosta di venire fin qui." mi dice.

"Questa è bella! Io avrei la faccia tosta?"

"Cosa pensi di fare? Vorresti ucciderci tutti?"

"Sono già a buon punto."

"Maria era solo una ragazzina e Akame aveva molti scrupoli di coscienza nei tuoi confronti, si sentiva in colpa e si è lasciata ammazzare. Adesso però stai sfidando degli avversari che sono troppo forti per te, piccolina, ti conviene lasciar perdere."

In tutta risposta tiro fuori la mia spada e la punto contro di lui, per fargli capire che non lascerò mai perdere.

"Va bene, Macarena. Lo hai deciso tu."

Mentre stiamo combattendo, entrambi con le nostre spade, sudo freddo.

Ramala è un criminale più o meno da quando è nato, ha ucciso tantissime persone tra cui i suoi figli adottivi e non si fa scrupoli. Inoltre, è molto forte e ho paura di non farcela.

Quando riesce a disarmarmi vedo la mia vita scorrermi davanti agli occhi. In una frazione di secondo vedo i miei genitori, mio fratello, Simón, il mio pancione, il mio matrimonio finito male e Zulema.

Poi però torno in me, raccolgo la mia spada dall'asfalto e senza esitare trafiggo Ramala.

Sono stata velocissima, non credevo che fosse possibile. Pensavo di essere spacciata, invece sono riuscita a sopravvivere di nuovo.

Tiro un sospiro di sollievo, però appena mi ritrovo davanti il suo cadavere mi prendono i sensi di colpa. Non tanto per Ramala, che io odiavo già all'epoca, ma perché mi sento una persona schifosa. Quasi come quelle che mi hanno rovinato la vita.

No, io non sono come loro. La mia vendetta ha un senso, giusto?

Forse non ha senso, in fondo tutto questo non riporterà il tempo indietro e non mi restituirà Isi. Anzi, forse mia figlia si vergognerebbe di quello che sto facendo.

Non ho il tempo di pensare, qualcosa mi avvolge intorno al collo. Poi passa al naso e sento un odore fortissimo simile a quello di un disinfettante, mi sembra di soffocare.

Quando mi risveglio sento qualcosa che mi punge sotto la schiena e mi rendo conto che sono sassolini. Sono distesa a terra con i polsi legati e non so cosa sia successo.

Fino a quando vedo Sandoval che parla al telefono con qualcuno in viva voce. Rabbrividisco quando sento Anabel, forse avrei preferito che parlasse con Simón.

"Non spararle, voglio che quella stronza soffra." dice lei, mentre io mi chiedo per quale motivo mi odi così tanto.

Ma poi realizzo che conosco il motivo del suo rancore nei miei confronti: le piaceva Simón e io l'ho sempre saputo, però ho sempre finto di non capirlo.

Se adesso stessero insieme? Solo il pensiero mi fa stare male, ma non come avrei creduto.

Una piccola parte malata di me tiene ancora a Simón, ma adesso c'è qualcosa di più forte. Vorrei dire che è il rispetto per me stessa, però so che non è così. Sono l'amore per mia figlia e quello per Zulema che sovrastano quel mio aspetto dannatamente tossico.

Anche se la mia bambina è morta e Zulema non vuole stare con me.

"Potresti seppellirla viva." suggerisce Anabel che è ancora al telefono con Sandoval.

Le sue parole sono come una doccia fredda.

Perché dovrebbero mai seppellirmi viva?

Per farmi morire lentamente e farmi soffrire fino all'ultimo respiro.

È questo che Anabel vuole e giuro che se per miracolo dovessi sopravvivere le riserverò lo stesso trattamento.

Ma poi realizzo che non sopravviverò.

Provo a combattere, provo a divincolarmi mentre Sandoval mi mette in una bara come se io fossi già morta. Provo ad urlargli che è un vigliacco figlio di puttana, però non gliene frega nulla. Ovviamente.

Quando mi ritrovo sotto terra il mio primo pensiero è questo: è solo un fottuto incubo.

Non può essere vero, non è possibile che la mia storia si concluda così.

Non sarebbe giusto, ma in questo mondo non c'è giustizia.

È tutto vero, passerò le ore peggiori della mia vita e poi morirò qui, da sola.

Dopo un po' di tempo, probabilmente un'ora o due, mi sembra di non respirare più.

Mi viene da piangere e sbatto forte le mani contro la bara, per chiedere un aiuto che non riceverò mai. Non riesco più a trattenere le lacrime, sono disperata e mi rassegno al fatto che sto per morire.

Poi la vedo: la famosa luce di cui parlano. Allora è vero che prima di morire succede.

Fino a quando mi rendo conto che non è la luce di Dio che mi accoglie in paradiso, ma quella artificiale di un lampione.

Vedo Zulema, che ha un'espressione davvero preoccupata. È stata lei a salvarmi.

"Riesci a respirare?" mi chiede.

"Credo di sì..."

"Lo so, ci ho messo tanto, ma non è stato facile uccidere quei due stronzi."

"Due?"

Alzo lo sguardo e vedo i cadaveri di Sandoval e Anabel che probabilmente era venuta qui per godersi in qualche modo lo spettacolo.

"Scusami se ti ho lasciata andare..." sussurra Zulema, con un tono che non è da lei.

Non so cosa voglia dire con queste parole, non so se mi stia chiedendo scusa per avermi abbandonata o se voglia stare con me, avere una relazione. Ma al momento non ho bisogno di farmi domande, voglio solo abbracciarla.

Revenge Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora