Capitolo 16

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Ci baciamo per qualche minuto, forse senza renderci conto fino in fondo di ciò che stiamo facendo. Ed è bellissimo.

Quando ci stacchiamo la mia temperatura corporea si è alzata di circa duecento gradi.

"Ti va di uscire?" mi chiede.

"Dove vuoi andare?"

"Non ne ho idea, prendiamo la macchina e vediamo. Cosa ne dici?"

Cosa ne dico? Ogni proposta mi andrebbe bene, voglio solo passare del tempo con lei.

E così Zulema inizia a guidare senza una meta precisa e io guardo lei, invece che la strada.

Ci fermiamo in un luogo che sembra vuoto, non ci sono case o macchine nei dintorni.

"Dove siamo?" le chiedo.

"Nel mio posto preferito."

Il suo posto preferito è un laghetto immerso nella natura. Non ci sono persone qui, solo dei cigni, delle papere e delle tartarughe.

È un'oasi felice, lo percepisco subito perché anche a me trasmette un profondo senso di benessere. Respiro a pieni polmoni e sorrido.

"Perché ridi, bionda?"

Bionda. Mi chiama sempre così e forse è per questo che adoro il mio soprannome, perché è lei ad usarlo.

"Mi piace qui."

Ci sediamo su un asciugamano che ha portato Zulema e guardiamo gli animali.

Mi piacciono tantissimo, in particolare il cigno. Quando ero piccola la mia storia preferita era quella del brutto anatroccolo che diventava un cigno stupendo. Forse perché, nella mia testa, il brutto anatroccolo ero io e speravo che la vita mi riservasse un futuro fantastico.

E invece è stato tutto un immenso dramma.

Anche se, stando accanto a Zulema, ho ricominciato a sorridere almeno un pochino.

Si avvicina la sera, ma noi abbiamo portato dei panini e decidiamo di rimanere ancora un po' qui, a rilassarci. Dio solo da quanto ne ho bisogno, quanto ne abbiamo bisogno.

Anche Zulema sembra sempre stanca e nervosa, credo le faccia bene stare in un posto che, per qualche motivo, la rende felice.

Guardiamo il tramonto, mangiamo i panini e ci sdraiamo sul nostro asciugamano aspettando di vedere le stelle.

Per quasi tutta la sera rimaniamo in silenzio, un silenzio che fa un rumore devastante.

Perché in quel silenzio c'è il legame che si sta creando tra di noi, o almeno questo è ciò che percepisco. Sento una strana energia tra noi.

"Sto bene qui." ribadisco, dopo un po'.

Voglio che lei lo sappia, voglio che capisca che se riesco a rilassarmi dopo aver ucciso una donna, una mamma, è solo grazie a lei.

"Anche io... E sono felice che tu stia zitta."

"Ah, grazie. Sei proprio gentile." le rispondo, ridendo e sentendomi un po' offesa.

"Non hai capito. Di solito le persone sentono il bisogno di parlare di cazzate per non essere a disagio con gli altri, per riempire i vuoti. Però capita di stare bene, senza bisogno di dire per forza qualcosa... È in quel momento che sai di aver trovato qualcuno di davvero speciale... Quando puoi chiudere la bocca e condividere il silenzio in santa pace."

Sorrido, credo proprio che Zulema abbia detto una cosa carina sul nostro rapporto.

E lei, di solito, non dice cose carine. Quindi le sue parole hanno un grande valore per me.

"Perché ridi?" mi chiede, notando che sono divertita da quella situazione.

"Hai detto una cosa bellissima."

"Parlavo in generale, non mi riferivo di certo a te." afferma, glaciale.

Però io vedo che è in imbarazzo e so che non vuole ammettere che un po', solo un po', tiene a me e al nostro legame.

A mezzanotte torniamo a casa, durante il breve viaggio in macchina mi appoggio al finestrino. Mi sto addormentando, questa giornata è stata piena di emozioni di tutti i tipi e sono davvero esausta.

"Svegliati, siamo a casa."

La voce di Zulema mi riporta al mondo reale.
Mi trascino dentro casa e mi butto sul letto, la guardo e il sonno mi passa all'improvviso.

"Buonanotte." mi dice lei.

"No."

"No cosa?"

"Non andare via, non andare nell'altra casa."

Mi lancia uno sguardo interrogativo.

Io non voglio che lei vada nella casa di fronte. Voglio che stia qui, con me.

"Resta." aggiungo.

"Perché dovrei?"

"Tu fallo e basta."

"Solo cinque minuti."

Si sdraia accanto a me e la sua maglietta si alza leggermente, scoprendo un tatuaggio che ha sulla pancia, in basso. È una scritta.

"Fatima". Mi domando chi sia, ma decido di non chiederlo a Zulema. Non voglio rischiare di tirare fuori un argomento spinoso.

Mi limito ad osservare la bellissima donna che ho accanto e domandarmi cosa ci sia tra noi.

Perché so che non siamo solamente maestra e allieva. E non siamo amiche.

C'è qualcosa di diverso, qualcosa di più.

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