II.

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Fu estremamente facile essere un padre per Manuel, facile e silente, come quel bambino mai era stato.

Era una simbiosi complementare, che ogni vuoto veniva sopperito dal suo caos, ogni libertà dai piedi puntati severamente a terra, dalle risposte serrate e sbiascicate in un romanaccio imperfetto, e talvolta in un italiano altrettanto rotto, cantilenate d'un'infanzia ancora in fasce.

Fu questione di settimane prima di riscoprire quella sua nuova, parassitica, natura.

Compagno d'Anita, padre di Manuel, una finzione imperfetta nel suo essere quantomeno veritiera, e sempre costantemente silenziosa.

Si mossero di fretta, tabballando nella stessa danza disperata, passi scritti e disegnati da ogni fallito adulto che avesse mai camminato la terra.

Uscirono per qualche giorno, dopo quello della fuga, ma fecero presto a trasferire i loro appuntamenti nella sicurezza di quattro mura, quasi sempre quelle di Anita, coinvolgendo anche il più piccolo, se non per quelle sporadiche occasioni in cui l'impulso di fottere pareva l'unico silenziatore all'ampiezza dei loro mali, ed allora, già seminudi nel cunicolo, discendevano al piano interrato di Dante, fino alle doghe scricchiolanti, e sempre più assenti, a sorreggere le spinte frenetiche che rendevano la schiena della donna puntellata come lo erano le pareti.

Non capitava di rado, quando le settimane si decisero a divenire mesi, che Dante si ritrovasse fuori dalla scuola del piccolo, per riportarlo mano nella mano, nella sicurezza del suo appartamento, o che si appostasse fuori dal campetto da calcio per assicurarsi che non si facesse troppo male con la foga dei suoi compagnetti malandati.

Veniva sgridato quasi sempre, che Manuel non accettava d'esser curato con estrema facilità, ma ogni volta i "non t'ho detto de venire" si discioglievano in fretta in qualche battuta, con la stessa caldissima frequenza della risata di sua madre, o, più spesso ancora nell'entusiasmo di mostrargli questa o quella carta di qualche estraneo cartone animato che era riuscito a scambiare con gli amichetti.

Era facile controbattere alle lamentele lagnose di Manuel, facile come accarezzargli la fronte, ripetere cosa ci fosse per cena, e sporadicamente offrirgli qualche pacchetto di carte panini.

Era più facile, perlomeno che masticare l'assuefatto silenzio di Simone.

Erano sette mesi che non ne vedeva il volto, otto che non ne stringeva le piccole manine fra le sue, sei che non ne sentiva la voce impastata, elaborata ed imperfetta, che neppure aveva bisogno di vocalizzarsi.

Parte di lui sperava non l'avrebbe più fatto.

Era facile essere il padre di Manuel, disastroso, imperfetto, irrequieto.

Era facile fare del bene a Manuel, essere a lui utile, per lui necessario.

Ma Simone, che bene avrebbe potuto mai fare a Simone? Che bene aveva fatto, infondo, a Jacopo?


***


"Amo' e rispondi"

Continuava a vagare nella stanza, rimbalzare alle pareti, alla quale goffaggine si restituiva bagnato, infagottandosi a se stesso fino a tramortirsi più pesante di quanto fosse nato, il suono plastificato di quel vecchio telefono che pareva non conoscere pace, e costretto, come macigno della sua stessa morte, a rigirare sempre allo stesso punto, senza che notte o giorno si impietosisse alla sua fatica.

Era per questo forse, che a Dante pareva non arrivare affatto, come le sue orecchie vi si fossero costituite contro, incapace d'udirlo come non s'ascolta il suono del proprio sangue violento alla sua corsa, o del rimbombare eclettico della propria voce.

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