IX.

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Alieno, Simone.

Estraneo, incerto, parassita.

Indefinito, Simone.

Indefinibile.

Aveva smesso da tempo, Manuel, d'addolorare la sua esistenza con l'innocenza di quei perché.

Era cresciuto, Manuel.
S'era vestito da grade, nei suoi pantaloni troppo grandi, lo zaino in spalla troppo piccolo, e aveva deciso che il mondo non l'avrebbe più guardato con quella curiosità.

Perché le foglie sono verdi? E perché le persone rosa?

Perché marciscono le foglie quando muoiono, mamma? Non possono restare foglie per sempre?

Marciscono anche le persone, quando muoiono?

Da', perché Jacopo tuo è morto?

S'era reso presto conto, che fosse o meno in quella gelida occasione, che agli adulti, a quelle domande, non piace rispondere.

"Non la di' più 'na cosa del genere, a Dante, va bene? Non vuoi mica- non vuoi mica che ce resti male?"

Agli adulti, aveva compreso Manuel, non piace neppure parlar chiaramente, ed allora s'era affaccendato, scomposto il suo essere in ogni corda per riuscire a comprenderli, aveva vaneggiato la semplicità della sua lingua, messo a morte quei perché, per adottare l'amaro suono che le parole non dette degli adulti lasciavano ad impastarne la bocca.

Non vuoi mica che ci lasci.

Che ti lasci.

Fu, in questo, l'edulcorato discorso d'Anita, ai piedi scricchiolanti del suo lettino, di facile traduzione.

No, no, no, no.
Quanto le strinse, Manuel, quelle manine, ancora appiccicose dei giochi ad abbandonarlo, al piumone pesante che ne copriva il corpicino.
E quanto gli strinse, quegli occhietti, che forse fu d'allora che quelle rughette ne sbucarono ad ingrigirne gli angoli.

Si premurò, però, nella paura ingestibile ad assalirlo, che ne faceva tremare la testa, fino alla punta dei piedi, a serrar bene anche la bocca, che quella parola da essa non poteva sfuggire, ed allora si ritrovava a ballare folle nella sua gabbia toracica, a rimbalzare fra una parete viscosa e l'altra della bocca, ad implorarlo di lasciarla andare.

Papà.

La imprigionò a doppie catene, rilegata per una vita intera alla punta della sua lingua.

Mi vieni a prendere da calcetto dopo - Papà?

Ao, e fatti i cazzi tua- Pa'

Papà - Ma che m'insegni a fa la barba- no, ma che due peletti, guarda che foresta che c'ho!

Simone invece- alieno, estraneo, incerto-  di quella parola, forse, finiva a gonfiarsi così tanto da rinunciare ad ogni altra.

Non la parlava, Simone, la lingua degli adulti, ma non s'affaticava neppure a quella dei bambini.

Non faceva domande, Simone, ne accusava risposte.

"Papà?" diceva solo, e Dante allora capiva, che forse quando quel figlio da lui era nato, o capitato nell'abbandono di un cestello in paglia davanti alla porta di casa, alle luci lontane di una sfinita navicella, avevano consegnato lui anche un dettagliato libretto delle istruzioni.

Non si faceva più domande, Manuel, ma la natura di quel bambino, ora forse ragazzo, restava a lui più grande tormento.

Lo studiava senza rancore, ne s'interrogava senza rabbia, neppure allora, quando mentre lo spingeva dalla stoffa troppo leggera di quella camicia, a passi incerti verso il salone, egli rimaneva immobile, rigido a quel sollecitare che non era di Manuel univoco beneficio, e che pure pareva paralizzarlo abbastanza in quell'inesistente paura.

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