XII.

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Riposava inedito nella sua bocca, stagnante di lenzuola e merino, e d'una notte intera a cui il petto ancora non sera fatto gabbia, il sapore di quei baci.

Scivolava via, segretezza ed ammoniaca, il retrogusto a cui tanto aveva fatto abitudine, fino a renderlo, per nulla più che riflesso, desiderio.

Di riflesso, d'altronde, scivolavano i muscoli alleggeriti dalla notte, le braccia morbide e aggrinzite a cercare dell'altro il corpo, il profumo.

Sorride allora, Manuel, quando trovando Simone, ne sentì il candore arreso avvolgerlo, l'olezzo di sesso e docile natura affondargli nel petto, la pelle chiarissima ritrovare le sue mani, ad essere solo interrotte a quel cammino dalla coperta.

Il tessuto ruvido e spinoso ne scaldava con insistenza i corpi avviluppati all'inverosimile, uno e due tanto distinti, ricuciti distrattamente dai brandelli stracciati.

Non era lì quella ruvidezza al calar del sonno, non vi era, nei sogni di Manuel, e questo lo ricorda bene, altro che la dolcezza della pelle di Simone.

Inediti baci d'inedita realtà, cruenta nel cadere, macerie a picco sul giaciglio polveroso di quel nido rubato.

"Simo" richiamava in un bisbiglio soffocato, l'altro, a lamento del suo essere, invece, non fece che risistemarsi contro il suo petto, insistere a quel riposo tanto lieve.

"Simò, cazzo, svegliate"

"Oh- che c'è adesso-"

Sorrideva, Simone, intorpidito da quel sonno a sapore di pelle, intinto nel profumo dell'altro. Sorrideva, Simone, forse per l'ultima volta.

"C'hanno visti, dio sento, Simò- che cazzo abbiano combinato"

Volarono via, quelle lenzuola, lasciando il piccolo esposto come verme sulla terra stantia, ancora aggrappato al dolce ricordo di ciò che era stato. Si strozzava invece Manuel in quell'affanno, e pareva quelle lenzuola le stesse mangiando via, avviluppandole nello sterno, bagnate e impregnabili nella gola incapace d'assorbire un solo altro respiro.

"Manu- oh, Manu, stai calmo" lo fermò, allora, le ginocchia piegate su quella coperta che di suo padre s'era fatta cura, e le mani, forti come mai lo erano state, ad incorniciarne il volto "Non è successo nulla, non succede niente, Manuel, guardami"

"Io non posso- non la dovevo fare sta cosa, tu sei-"
"Io non sono tuo fratello, non lo sono, e tu non hai fatto niente di male, non abbiamo fatto niente di male- fa così bene, Manu, così bene, quello che facciamo noi"

Ne bagnarono i palmi leggeri, quelle lacrime, che Manuel quasi non riusciva a tenere gli occhi su di lui, senza affaticarsi ad incrociare quella vetrata puntellata a separarlo dal corridoio, dove la fioca luce del mattino del loro amore stracciava via ogni segno.

"C'hanno visti, Simo, c'hanno visti. Papà- papà c'ha visti- è nostro padre e noi- noi non possiamo" non si concesse, allora, nella fretta delle sue lacrime, di censurare quel suo piccolo cuore ferito, di metterlo a tacere, rattoppando e di nastro ogni volere.

C'avrebbe pensato, avesse avuto più coscienza, a quanto dolce quella parola risuonava fra le sue labbra, quanto tenera ne riposava a letto del cuore.

"Vedi? È qui che ti sbagli" ed era tanto dolce la voce di Simone che Manuel quasi iniziava a crederci, abbandonando il volto contro l'ancora che ne era la mano "Noi possiamo, perché lui non è nostro padre, è mio padre- e tu, tu di me puoi fare quello che vuoi, perché non gli devi nulla, nulla- non è tuo padre, Manu, non è tuo padre"

Ebbe ancora dieci anni, Manuel, che in quel suo piccolo corpo, relegato a destra di uno scoglio, la seggiolina a proteggerne i pantaloncini stracciati, e guardò ancora Simone, come fece allora, piccolo e fragile, eppure tanto più forte di lui, al sicuro, invece, sulle gambe di un padre che non gli apparteneva, e che ne carezzava la schiena, alla quale, per Manuel, non erano riservate che impacciate pacche.

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