VI.

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"Fai il bravo con papà, si?" cantava assonata da quei singhiozzi, la voce di sua madre, dei quali poteva udire il dirompersi fino ad urtare le costole, penetrare con violenza allora le proprie, e mischiarsi in quell'amaro sapore al respiro trattenuto che nascondeva egli stesso a quel torace, quasi fosse una tomba, che una tomba forse lo era, e non vi era aria alla sua gola, ma il marciume di quel terriccio che s'ostinava a buttar giù.

"Promesso" ma non s'allontanò, che di quell'odore voleva fare bagaglio, in quel ventre, a cui stringeva forte le braccia troppo grandi, desiderava raggomitolarsi, rifarsi embrione, allora, sicuro è protetto, risentire il suo sangue occupargli le vene, la mano di suo padre rispondere ad ogni calcio, quella di suo fratello stringere la propria.

Essere voluto, aspettato, atteso.

Non dover rinunciare, ma avere, ancora ed ancora, egoista e prepotente a strappare la vita al mondo e ingurgitarla nella violenza di quel primo pianto.

"Mi mancherai tanto, amore mio, mi mancherai così tanto" ed era lei stessa, forse, a desiderare con altrettanta insanità quella gestazione, che odorava il suo cucciolo come la più diffidente delle cagne, e lo trascinava in quei suoi passi stolti, che sapeva non sarebbero dovuti che strapparsi nella fretta di quell'addio meccanico, che risuonava malato dai microfoni e rimbalzava cacofonico da una parete all'altra, privo d'umanità come priva ne era la voce.

"Roma Fiumicino-Glasgow, ultima chiamata per British Airways"

"Ciao Ma'" uomo diviene, allora, anche ricolmo del suo rossetto, stropicciato di quell'abbraccio e rotto di quelle lacrime, che è lui ad allontanarsi, e pare un bambino, o forse un bambino lo è, che alza piano la mano sinistra e la scuote in aria con vigore.

"Ciao amore mio, la mamma torna presto, mh?"

Annuì, Simone, e trovò anche la forza di sorridere.

Le porte si chiusero, translucide nel mostrare un rimasuglio di capelli biondi sparire col vento, carica com'era di quelle valige che, nel rimorso di non poterla accompagnare, si chiese come avrebbe mai potuto tirarsi dietro da sola.

Poi non la vide più.

Fece un passo indietro, senza allentare lo sguardo dall'ingresso, ed uno ancora, ed uno ancora, fino a che Simone non tornò bambino.

Erano forti le braccia avviluppate al suo corpo, più forti delle sue, che Simone non aveva più bisogno di essere ciò che mai era stato.

Crollò con la consapevolezza d'essere sorretto, e sparì, allora, in quel profumo che embrionale non era, e non sapeva di latte, ne di sangue, eppure lo assopiva di protezione, che aveva lo stesso sapore della domenica, e delle corse sul prato, e del mare ad attenderlo a settembre.

"Starai bene con noi, Simo, te lo prometto"

"Mi manca già"
Ed era una confessione scomoda, lo sapevano entrambi, eppure Dante l'accolse in silenzio, pronunciata a ferro scaldato contro la sua gola, e ne ingoiò con riluttanza ogni implicazione.

Floriana e Dante ne erano genitori, entrambi uguali ed allo stesso modo, eppure mai lui era stato capace di restarne tale, non come lei aveva avuto il coraggio di fare.

E quella mancanza sapeva della quotidianità che non aveva mai vissuto, più prepotente, forse più gentile, delle domeniche disaddomesticate, delle settimane in campeggio, o delle corse in bicicletta nei pomeriggi in primavera.

Quella mancanza di tingeva di diffidenza, allora, che la sua quotidianità Dante l'aveva fatta altrui, e ad altrui sarebbe ritornata, aliena come dodici anni prima dei passi riluttanti di Simone.

"Staremo bene, vedrai. Te lo prometto amore mio"

***

"Perché ti sei fermato?" si sentiva inerme, Simone, alla sua stessa cattiveria, ad udire il suo tono sprezzante ribellarsi all'interrompersi improvviso di quel finestrino che si componeva di fotogrammi, verdi e poi grigi, poi di nuovo verdi, rapida consolazione che al mondo il suo soffio non avrebbe scosso neppure una foglia, tantomeno afflitto palazzi a rivederli cenere.

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