III.

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tw: poterebbe essere disturbante?

Rimessa di anime, accatastate senza cura a rientrar dei pescatori, ancorate con trascuratezza, come nessuno avesse intenzione di recuperarle all'alba successiva, solo coperte parzialmente da teloni che erano lenzuola, neppure protette dalla muffa che di loro sarebbe divenuto allo sgorgare violento di quella pioggia a disegnare sputi deformi alla finestra polverosa.

Dante e Anita se ne stavano di spalle, in silenzio, a porte chiuse.
S'erano rintanati per discutere, per quanto non ne avessero neppure parlato, era bastato lo sguardo glaciale di Anita e Dante, che annaspava alla vita da quando aveva sentito le mani cadergli al corpo all'orrore del pensiero di sfiorare suo figlio, ormai più morto che vivo, s'era trascinato nella stanza senza proteste.

Non la guardava, preferiva osservare la pioggia, cantilenare nella sua testa che non era che il suo bambino che piangeva, e la maledizione che s'ostinava a tirargli dietro.

Si chiese che aspetto avesse, adesso, sotto i cumuli di terriccio, che brutto lo divenne quasi subito, tanto che fu l'unica scusante, dopo poche ore, a convincerlo a cacciarlo via dalle sue braccia.

Si strinse le mani forte al petto, strette strette in pugni serrati, come facevano i gemellini nelle loro cullette. Avrebbe pianto per la sua mamma anche lui avesse potuto, avrebbe urlato per le braccia di suo padre, implorandolo di svegliarlo e ricordargli che la vita era appena iniziata, che Simone e Jacopo non erano che una fantasia, bambini in potenza a cui poteva ancora dare seme, senza sopperirlo in ascia.

"Erano tuoi, mh?" si distorse la voce di Anita, arrivò strisciante come una cantilena, distrutta in più punti per graffiare con le unghie le pareti, e discendere poi polvere a farsi respirare fino a strozzarlo, e vago come era il suo attaccamento alla vita, riuscì solo a strizzare gli occhi fino ad incrociarne le venature violacee, poi verdi, e puntellate.

"Tua moglie e tuo figlio, no?"
E poteva squamarsi la sua pelle, l'avesse stretta abbastanza fra le dita? Poteva strappare l'epidermide, raggiungere le ossa e frantumarle, utilizzarne i frammenti per cavarsi via gli occhi dal cranio, solo per parere onesto nell'urlo a dirompersi nel suo stomaco, che si tramutava, al mondo, in un respiro silente?

"Me devi risponde, t'ho messo 'n casa mia, dormi nel mio letto, mangi a tavola con mio figlio- mio figlio! 'O sai quanto è stato male quando er padre c'ha lasciato? 'O sai che pensa il tuo? Manco l'hai guardato 'n faccia, che razza de uomo sei?"

"Voglio stare solo" abbozzò allora, i denti a battere senza incontrarsi, un tremolìi folle ad assalire ogni pezzo rotto a decomporlo, e poi, rapida come solo la morte sapeva essere, improvvisa la consapevolezza che la sua vita, vita aveva cessato di esserlo da tempo, e che non vi era più ancoraggio a quella sponda.

"Vuoi stare solo? Beh, cor cazzo. O te ne vai da sta casa, te prendi tutta la tua roba e vai a marcì in un altra topaia, o lo chiami, e fai l'uomo, ma seriamente"

"No, no" si voltò allora, colpevole a dare le spalle a quella pioggia, il lamento di Jacopo e la condanna del suo guardarlo.

Gli occhi tanto gonfi da farlo sembrare l'ultimo degli stolti, ed il feroce aggrapparsi al corpo di Anita, quel conforto negato e strappato che si faceva spinte del suo rifiuto, come cattiva le era diventata la dolcezza del volto.

"Vuoi che chiamo io? Guarda che me lo ricordo quel numero che te chiama in continuazione, non vedo l'ora de raccontà tutto, così magari se mettono l'anima 'n pace, no? Che sei una merda, questo sei"

"Non chiamare, no- no, no"
Fu ridicolo, allo sguardo d'Anita.

La crudeltà d'un uomo adulto, carnefice e mai vittima, parassita alla sua casa, alla sua vita, al suo bambino, allora raggomitolato ai suoi piedi in un ammasso informe di carne masticata e solo parzialmente digerita, le labbra tremanti e gli occhi rossi e gonfi e le lacrime ovunque, tanto che non riusciva a capire quale di quell'acqua a bagnarla fosse sudore, quale la mucosa densità di quegli scarti a soffocarlo.

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