4. Leone

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Gennaio, 1989


La morte non esisteva.

Aveva lo sguardo rivolto al cielo e una di quelle stelle brillava più intensamente di ogni altra, sembrava voler esplodere e disperdersi e ridursi in brandelli fino a colare liquida come se il cielo fosse stato fatto a scalini.

Una goccia argentea piangeva nel buio e portava il suo nome.

Poco più su, una falce di luna era tanto sottile da venire mangiata dalle tenebre. La guardò dritta in due dei suoi crateri e sperò che gli dicesse qualcosa.

Lei non si mosse. Sembrava volerlo sfidare.

Gli parve che la stella si fosse avvicinata. Brillava orgogliosa, forse addirittura un po' arrogante, ammesso che si possa dire di una stella. E probabilmente rincorse la luna, come a costringerla a darsi una mossa.

Non seppe cosa fosse, quanto fosse distante e soprattutto se stesse dimenticando qualcosa. Sapeva che dietro quei punti di luce qualcosa gridava per essere dissotterrata.

Lo sapeva perché gli mancava il respiro e l'aria gli pareva più rarefatta che mai.

Una sola, ultima, inspiegabile gioia gli esplodeva nel petto, perché gli astri si rincorrevano come se li avesse orchestrati. Come se avesse passato l'intera sua vita a gestirne i ritmi e le turbolenze.

Erano le uniche emozioni che si potessero baciare. Sapeva benissimo che era lì per quello, che un contatto lieve sarebbe bastato a strappargli via dal petto anni e anni di colori sgargianti. Eppure quella visione era irresistibile e, sebbene si fosse ripromesso di non cedere e continuare a provare la solita angoscia, doveva ammettere che quelli ci sapevano fare, in quanto a seduzione lo superavano.

Forse, se si fosse lasciato baciare, avrebbe avuto modo di ricordare anche solo per un attimo che c'era stato un tempo in cui quel cielo lo aveva saputo comprendere.

Chiuse gli occhi e sorrise e quello fu l'unico incoraggiamento di cui avessero bisogno.

Percepì un velo posarsi addosso e solleticargli le braccia. Poi una scarica della più pura e profonda gioia gli attraversò le viscere, fino a concentrarsi sulle sue labbra.

Il dolore ha sapore più amaro e fu l'ultimo ad arrivare.

Aveva qualcosa di assolutamente stimolante, ma un formicolio lungo la schiena inerme gli suggerì che non era ciò che voleva. Quel dolore non aveva alito, né odore, era solo un vento freddo che lo costrinse a inspirare fortissimo, fino a sentire i polmoni quasi esplodere.

Non vide tutta la sua vita, né il futuro che avrebbe potuto avere. Non vide un volto amico, né l'inferno sputare fiamme per impiantarsi nella sua mente.

Però, giusto un attimo prima di sentire quel tanto atteso e ben più spaventoso niente, un paio d'occhi grigi lo guardarono bagnati come in lacrime.

Si vociferava che, quando i Dissennatori baciavano, l'emozione che raggiungeva il resto dell'anima per ultima, quasi come se fosse stata incredibilmente pigra o solo molto testarda, fosse il rimpianto. A quanto pareva lo era davvero, perché prima del tradimento, delle scelte strategiche che non avevano portato ad altro che una tragedia, prima della disperazione per aver capito tutto troppo tardi, c'era stato il più grande rimpianto di non averlo aiutato.

Regulus Black era morto come un diavolo perché lui non era stato in grado di salvarlo.

Sirius sussultò e un singulto gli lasciò le labbra. Si scontrò di nuovo con la pietra gelata e capì, in un attimo di lucido orrore, che non aveva sognato.

The kids from yesterday | WolfstarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora