13. Non sei solo

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Settembre, 1995


L'acqua scrosciava placida nel lavandino scheggiato e ingiallito dal tempo. Remus bussò un paio di volte sulla porta in legno già socchiusa. Il gesto bastò ad aprirla. Sbirciò nel bagno e con la mano la spalancò definitivamente.

"Ciao," salutò, appoggiandosi allo stipite e osservando Sirius accennare soltanto col capo nella sua direzione, in un gesto che doveva essere una forma fiacca di saluto.

"Secondo te è la lama giusta?" domandò semplicemente lui, mostrandogli un rasoio a mano libera.

Remus rise piano e annuì. Lo osservò bagnare la lama e spargere una quantità generosa di schiuma da barba su di essa. Alzò un sopracciglio. "Lo sai che non si fa così, vero?" Sirius puntò gli occhi su di lui e assottigliò lo sguardo. Remus sospirò. "Devi mettere la schiuma in faccia e poi raschiare."

"La posso sempre spalmare con la lama e poi raschiare," tentò di difendersi, nonostante fosse evidente che non era quello il suo piano iniziale.

Remus incrociò le braccia al petto e gli fece cenno con una mano di proseguire.

Sirius alzò il rasoio e se lo portò a una guancia, ma l'atmosfera ilare di un secondo prima svanì esattamente in quell'istante. La mano gli tremò e Remus aggrottò la fronte e lo osservò più profondamente. Per un attimo gli passò per la testa l'idea di fermarlo, dirgli che poteva farsi male, ma fu quasi più struggente vederlo lasciar cadere la lama nel lavandino.

Questa atterrò con un rumore alto e metallico.

Sirius sbuffò frustrato e alzò una mano a portarsi indietro i capelli. A Remus ricordò James per una frazione di secondo e l'ennesimo spillo gli bucò il petto.

Era una sensazione quotidiana, ormai, quella degli spilli.

Sirius lo costringeva a rivivere giornalmente tutto il dolore che aveva già processato. Non lo odiava per questo, non era colpa sua, d'altronde, ed era piuttosto sicuro che non fosse solo nel suo tour nel dolore passato, ma restava il fatto che adesso Sirius, abituato ad essere solo un ricordo, era diventato una presenza agrodolce con cui fare i conti.

Remus lo stava evitando come un idiota nelle quattro mura della sua casa d'infanzia.

"Vuoi che faccia io?" gli domandò dunque, perché continuare ad associarlo al suo dolore era una maniera stupida di recuperare gli anni passati separati.

Sirius alzò uno sguardo grigio su di lui. C'era qualcosa di spento per sempre dove era abituato a veder brillare una luce accecante e un altro spillo gli perforò il petto. Poi, però, un pizzico di orgoglio gli accese le pupille e Remus riuscì praticamente a vedere la risposta arrogante e negativa che stava per sfuggirgli dalle labbra.

"Non te l'ho chiesto perché sei debole," gli rispose prima ancora che Sirius potesse verbalizzare qualunque pensiero, "te l'ho chiesto perché è evidente che non ce la fai," continuò freddo, perché non sarebbe bastata una vita a far dimenticare a Remus come doveva prenderlo e quanto doveva sfidarlo per ottenere quello che voleva da lui.

Tredici anni, in fondo, erano una sciocchezza in confronto a una vita.

"Ce la faccio, ma se stai lì a giudicarmi non ci riesco."

Remus alzò un sopracciglio e abbassò lo sguardo sul rasoio nel lavandino, con una certa eloquenza. "Non sai nemmeno come si fa, perché non usi la magia?" e, a quel punto, Remus fece il grande errore di tirare fuori la bacchetta.

Sirius alzò una mano e scosse la testa energicamente. "Voglio farlo alla babbana."

Si guardarono per qualche secondo, occhi negli occhi, poi Remus annuì e rinfoderò la bacchetta. Entrò nel bagno senza aspettare un invito, picchiettò sulla sua spalla, costringendolo a indietreggiare. "Siediti sul gabinetto."

The kids from yesterday | WolfstarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora