Capitolo 12

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Un mazzo di frangipani. Ecco cosa avevo trovato, quella mattina, quando ero andata ad aprire alla porta senza trovare nessuno. Un mazzo di cento
frangipani poggiati sullo zerbino. Nessuno mi aveva mai mandato i frangipani...
Tra essi c'era un bigliettino, lo presi curiosa di sapere chi li aveva mandati mentre mi chiudevo la porta alle spalle.

Ari mi ha detto che i frangipani sono i tuoi fiori preferiti, quindi ho pensato di mandarteli.
-J

Non potei fare a meno di sorridere, nonostante pensassi fosse un gesto troppo inconveniente dopo che avevamo appurato di essere solo amici. Dopotutto, era davvero un bel gesto.
Riposi i fiori in un vaso che poggiai sull'isola della cucina. Presi il cellulare, con l'intento di chiamare Justin per ringraziarlo; mentre cercavo il numero in rubrica, esso squillò. Il nome di Justin lampeggiava sul display.
«Sei telepatico? Stavo giusto per chiamarti io.»
Justin rise. «Scommetto che hai ricevuto i fiori... ti piacciono?»
«Certo, sono bellissimi - mi sedetti a tavola, afferrando la tazza di caffè - Nessuno mi aveva mai regalato dei frangipani.»
«Mi è sembrato piuttosto comico che il tuo fiore preferito ha lo stesso nome di tua nonna.»
Arrossii, mentre ricordavo la nostra conversazione di sabato sera. «Sono nata alle Hawaii, praticamente circondata dai frangipani. Era normale che fossero i miei fiori preferiti.»
«Non sapevo fossi nata alle Hawaii.»
«Nata e cresciuta ad Honolulu - ridacchiai, fissando lo sguardo sui fiori - Non pensavo fosse una cosa essenziale da sapere.»
«Beh, mi avrebbe fatto piacere saperlo prima... Comunque, che fai ora?»
«Colazione. Sto morendo di fame.»
Guardai la ciotola con l'impasto dei pancake e il mio stomaco brontolò.
«Non preparare niente e vestiti. Ti porto a fare colazione.»
Non mi diede il tempo di ribattere, che già aveva staccato. Dopo due secondi, sentii bussare alla porta. Andai ad aprire, trovandomi il sorriso di Justin davanti.
«Uhm... che c'è?»
«Vestiti, ti porto a fare colazione.»
«Pensavo scherzassi.»
Justin scosse la testa. «Non scherzavo affatto.»
«Beh... io ho già l'impasto per i pancake fatto, perché non vieni dentro e facciamo colazione insieme qui?» gli proposi, indicando dietro di me.
Justin sembrò pensarci su per un attimo. «Va bene, dai. Però un giorno ti porterò a fare colazione fuori.»
Scossi la testa, mentre Justin entrava e chiudeva la porta alle sue spalle. «Continua a sperare.»
Mi recai in cucina, prendendo la ciotola e versando un po' del suo contenuto in una pentola.
«Spero tu abbia lo sciroppo d'acero.» disse Justin, dietro di me. Sentii il rumore delle ante della credenza che si aprivano.
«Dev'esserci, controlla.»
Le ante della credenza si chiusero, sentii i passi di Justin dietro di me mentre continuavo a preparare le pancake. All'improvviso, le mani di Justin mi afferrarono dai fianchi, il suo corpo aderì al mio e la sua testa si poggiò sulla mia spalla.
«E riguardo alle mie speranze, beh, io speravo di andare a letto con te un giorno ed è successo anche più di una volta, quindi...» disse con voce suadente, prima di baciarmi una guancia.
Sbuffai, mentre le mie guance si coloravano di rosso. Tuttavia non ribattei, non sapendo cosa dire. Mi limitai a stare in silenzio, ascoltando il respiro di Justin mentre finivo di cuocere le ultime pancake. Ci sedemmo a tavola, guardai Justin cospargere le pancake di sciroppo d'acero.
«È troppo cliché che un canadese mangi le pancake con lo sciroppo d'acero, non credi?» ridacchiai, spalmando la nutella sulle mie.
Justin mi fece un'occhiataccia. «È troppo cliché che un'hawaiana abbia come fiore preferito il fiore più presente alle Hawaii, non credi?» replicò, sorridendo beffardo.
Il suo sorriso mi contagiò. «Touchè.»
Spruzzai la panna sulle pancake, ammirando compiaciuta la mia opera. Queste sì che sono opere d'arte!
«Sei un maiale. Dove lo metti tutto il cibo che mangi?» chiese Justin perplesso, fissando il mio piatto.
«Dici sempre che sono un maiale, sei cattivo.» dissi fintamente offesa, facendo il broncio.
«Ma lo sei.» disse lui, facendo spallucce.
Lo guardai accigliata. «Non lo sono. Solo mi piace mangiare.»
«Ti piace ingozzarti. Quello che hai messo in quel piatto io riuscirei a mangiarlo in una giornata!»
«Allora sei tu che mangi troppo poco, che posso dirti?» dissi io, alzando le spalle.
Justin avvicinò il suo viso al mio, mi guardò in atteggiamento di sfida. «Tu dici?»
«Io dico.» risi.
«Posso mangiare più di quanto tu creda.»
«Non ti credo - Justin prese il mio piatto, rovesciò tutto il contenuto nel suo - Justin! La mia colazione!»
«Devo dimostrarti che io posso mangiare più di te.» disse a bocca piena, mentre masticava.
Lo guardai spazzolarsi la sua - e la mia - colazione ridendo per quanto lo trovassi buffo. Avevo dimenticato che Justin, quando gli si diceva che non sapeva fare qualcosa, cercava di dimostrare con ogni mezzo che lui sapeva farla eccome.
«Vedi? Riesco a mangiare più di te.» disse, facendomi una linguaccia.
«Sì, fantastico. Ora però sono rimasta senza colazione.»
«Ops, credo proprio che ti porterò a fare colazione fuori, allora.» disse, sorridendo beffardo.
Mi ci volle un secondo a capire. «L'hai fatto apposta!» lo accusai, puntandogli un dito contro.
Justin mi fece un occhiolino. «Forse. Ora va a vestirti, ti aspetto qui.»

«Non riesco ancora a capire come ho fatto a farmi convincere da te. Potevo benissimo starmene a casa e preparare altri pancake.» mi lamentai, prima di dare un morso alla mia brioche.
Justin alzò gli occhi al cielo, prendendo la sua tazza e mandando giù un lungo sorso di caffè. «Ti offro la colazione e ti lamenti anche?»
«Hai ragione, scusa... penso che sia un gesto carino, comunque.»
Justin sorrise. «Questo ed altro, per te.»
Quella frase mi gelò il sangue nelle vene.
Questo ed altro, per te. La tipica frase che un ragazzo direbbe alla propria fidanzata.
«In che senso?» sputai, pentendomi subito di aver parlato.
«In che senso cosa?» mi chiese lui, confuso.
«Quello che hai detto prima. In che senso lo intendi?»
«Oh... ti voglio bene, per te farei questo ed altro. Semplicemente come tuo amico.»
«Certo.» bofonchiai, nascondendo la bocca dietro alla mia tazza di cappuccino.
«Non mi credi?» mi chiese, accigliato.
«Non molto.»
Justin scosse la testa, stava per dire altro ma il suo cellulare squillò. Guardò il numero sul display, prima di rispondere.
«Ehi, Scott. No, non sono a casa. Sono... sì, sono con lei. Che posso farci? Non riesce a staccarsi da me...»
Quasi sputai il mio cappuccino. Deglutii a fatica, guardando Justin con gli occhi spalancati. «Che cosa?!» strillai, tirandogli il resto della mia brioche addosso.
Justin di tutta risposta rise. «Aspetta, ti chiamo dopo, la mia bella vuole parlarmi.» disse, calcando la voce su mia. Posò il telefono sul tavolino, guardandomi divertito.
«Non voglio parlare con te, voglio solo sgozzarti con le mie mani! Io non sono tua! E poi cos'è 'sta storia che non riesco a staccarmi da te, semmai saresti TU a non riuscire a staccarti da me!»
Justin scoppiò a ridere, si tenne la pancia con le mani. Lo guardai sconvolta, mentre sembrava non placarsi.
«E non ridere ora.» dissi, accigliata.
Justin si asciugò le lacrime, cercando di respirare normalmente. «È così divertente farti arrabbiare.» disse tutto d'un fiato, scoppiando nuovamente a ridere.
Mi accasciai sulla sedia, sconfitta. «Ti odio, Justin Drew Bieber.»

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