Riflessi d'oro e sogni di fuoco

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Con la cortesia inerente alla loro stirpe, due elfi condussero i ragazzi ciascuno nella propria stanza. Le porte si aprirono su stanze splendidamente decorate, ricche di dettagli dorati e gemme luminose. Ma al di là dell'opulenza che avrebbe potuto ammaliare chiunque, Mariel vide solo il letto. Morbido e accogliente, pareva un'isola di tranquillità in mezzo a un oceano tempestoso. Un invito al riposo che il suo corpo, martoriato dalla fatica del viaggio, non poteva rifiutare.
Una gentile elfa di nome Eilin si prese cura di lei. Con le mani delicate e un sorriso caldo, mostrò a Mariel dove poteva trovare vestiti puliti dopo aver fatto il bagno. I suoi occhi color ambra sembravano racchiudere la sapienza di secoli, e il suo aiuto fu un tocco di gentilezza che Mariel non si aspettava.
Eilin se ne andò, lasciandola immersa in un bagno di silenzio. Mariel lasciò che i suoi occhi si perdessero nei dettagli della stanza, ma la sua mente era altrove, un turbinio di pensieri e sentimenti. Ogni luccichio del soffitto, ogni tonalità di colore sulle pareti le ricordavano la stranezza di trovarsi in un luogo così lontano dalla sua casa. E nonostante la bellezza del luogo, sentiva un groppo di nostalgia salire alla gola.
Si era immaginata il reame di suo nonno come un luogo di miti e leggende, non come una realtà tangibile. Ora, seduta sulla morbida coperta del letto, si domandava cosa avrebbe pensato suo padre di lei in quel momento. "Sarebbe fiero di me?" si chiese. Le parole echeggiarono silenziose nella sua mente. Scosse la testa.
Un'ondata di stanchezza la investì all'improvviso, facendole chiudere gli occhi. Era troppo stanca per riflettere, troppo stanca per temere le decisioni che avrebbe dovuto prendere. In quel momento, Mariel desiderava solo dormire, dimenticando per qualche ora il peso del suo destino. I suoi pensieri diventarono sempre più confusi fino a perdersi nel buio del sonno.
Sognò di essere di nuovo a Trebes.
Stava volando su una foresta infinita, i suoi capelli ondeggiavano nel vento mentre il sole le accarezzava il viso. Poteva sentire il calore del sole sulla pelle e l'odore di pino e di terra fresca nell'aria.
Poi, senza preavviso, l'atmosfera cambiò. Il cielo si fece oscuro e una brezza fredda la fece rabbrividire. Davanti a lei, la foresta si aprì su un campo di cristallo, vasto e splendente. Al centro, una figura solitaria stava in piedi, la testa alzata verso il cielo cupo.
Si avvicinò, sentendo un senso di urgenza che non riusciva a spiegare. La figura si girò e Mariel sentì il fiato spezzarsi. Era l'uomo sfregiato. Stava lì, a guardarla, con occhi che bruciavano di un'intensità che la spaventava. Non disse nulla, ma alzò un dito puntandolo verso l'orizzonte.
Mariel girò lo sguardo e il suo cuore si fermò. La città che chiamava casa, era avvolta dalle fiamme, le sue mura altamente difensive ridotte in cenere. Il fumo nero saliva verso il cielo, e il lamento della guerra echeggiava nell'aria.
Un grido le uscì dalla gola, ma nessun suono riuscì a raggiungere le sue orecchie. Si voltò di nuovo verso l'uomo, ma era scomparso. Tutto quello che restava era il campo di cristallo e la sua città in fiamme.
Con un balzo si svegliò, il cuore che le batteva a mille. Il sogno era così reale che le ci volle qualche istante per ricordarsi dove si trovava. La realtà del suo nuovo presente la travolse, e con lei l'eco del suo sogno, portando con sé una sensazione di presagio e paura.
Poi si lasciò ricadere sui cuscini con un gemito. Stava per riaddormentarsi quando qualcuno batté alla porta.
«Andate via!» borbottò da sotto le lenzuola. Ma i colpi si fecero più insistenti. Si alzò a sedere. Il corpo che imprecava. Altri colpi.
«Arrivo!»
Aprì la porta. Eilin le si parò di fronte, un po' contrariata dal fatto che fosse ancora vestita dei suoi vecchi abiti, il suo viso segnato dalla polvere del viaggio. Un sorriso indulgente le si dipinse sul viso, la stanchezza della giovane era evidente.
Non si scompose ed entrò in camera.
«Signorina Mariel», chiamò Eilin dolcemente, toccandole leggermente la spalla. Mariel sussultò e si ritrovò a fissare la figura dell'elfo. Eilin le sorrise, «è ora di prepararsi per la cena».
La ragazza si sedette sul letto, strofinandosi gli occhi con le mani.
«Non riesco nemmeno a ricordare quando è stata l'ultima volta che ho avuto un pasto decente», ammise, suscitando un risolino da parte di Eilin.
«Be', penso che ciò che ti attende vada oltre il decente», rispose l'elfo, offrendo una mano a Mariel per aiutarla ad alzarsi.
La giovane Mariel non poté fare a meno di ammirare la grazia e l'eleganza dell'elfo. C'era una calma in Eilin che la tranquillizzava, una comprensione silenziosa che la faceva sentire meno sola.
Una volta pulita e vestita con abiti di seta, Mariel si guardò allo specchio. Sembrava quasi una principessa, e una parte di lei non poteva fare a meno di ridere all'idea.
«Bah! Non sembro nemmeno io», chiosò, facendo un inchino goffo davanti a Eilin. L'elfo rispose con un sorriso, «aspetta» disse, «lascia che ti sistemi i capelli».
Mariel si sedette su una sedia davanti allo specchio ed Eilin tirò fuori da un cassetto un lungo pettine d'osso e un barattolo di vetro.
«Cos'è?» chiese la ragazza, mentre l'elfo prendeva uno strano pulviscolo luminoso dal barattolo e glielo spruzzava sui capelli.
«È polvere d'oro.»
«Per mille incantesimi! Ma oro vero?» chiese stupefatta.
Eilin annuì. Mentre passava il pettine, l'oro sembrava dissolversi, lasciando striature luccicanti tra le ciocche violacee.
«Ecco fatto» esordì l'elfo, appena ebbe finito.
Mariel fissò il suo riflesso esterrefatta. Poi spostò lo sguardo sui suoi vecchi abiti, adagiati in un angolo vicino al letto. La sua mente fuggì per qualche secondo, tornando alle terre rocciose. Lanciò un pensiero nel vento: "Sebile, ricorda la tua promessa!"
Poi tornò a fissare lo specchio.
«Grazie!» sussurrò.
Eilin le sorrise.
Quella sera, una certa complicità si formò tra le due. Non fu qualcosa di pronunciato o dichiarato, ma un legame silenzioso e invisibile che li avrebbe unite negli eventi a seguire.

Appena Mariel fu pronta, si diressero verso la sala da pranzo, la giovane elfo parlò con la ragazza dei vari piatti che sarebbero stati serviti. Tuttavia, le parole di Eilin sembravano lontane e irrilevanti. Mariel sentiva solo il vuoto nello stomaco e il desiderio di mangiare.
I corridoi del palazzo erano un via vai di elfi che si dirigevano in tutte le direzioni.
Di tanto in tanto, qualcuno incrociava lo sguardo di Mariel, ma abbassava gli occhi all'istante.
«Siete tutti così... timidi gli elfi?» disse la ragazza, non trovando termine più appropriato.
Eilin sorrise e guardò la sua nuova amica: «la vita a corte ti piacerà.»
Una volta entrata nella sala da pranzo, il calore e il profumo del cibo la avvolsero come un abbraccio. Conar era già lì, in piedi accanto al tavolo, il suo volto illuminato dalla vista dei vassoi pieni di cibo.
Intanto il canto melodioso di un coro elfico riempì l'aria. Mariel si fermò, rapita dal suono, e diede a Eilin uno sguardo interrogativo:
«È la Benedizione degli Ospiti,» spiegò questi. «Una cerimonia tradizionale degli elfi quando accogliamo un ospite importante. I nostri cantori invocano le benedizioni degli antichi spiriti della foresta per i nostri ospiti, desiderando la loro sicurezza, felicità e prosperità durante il loro soggiorno.»
Mariel si trovò ad ammirare quel groviglio di abiti luminosi, di voci che si elevavano e si intrecciavano come la danza delle foglie in un vento leggero.
Gli elfi finirono il canto con un'armonia perfetta, facendo risuonare l'ultima nota nel silenzio che seguì. Un attimo di quiete pervase la stanza, poi il re Falaster si alzò in piedi.
A un gesto del sovrano tutti gli astanti presero posto e finalmente iniziò il banchetto.
Mariel e Conar erano affamati, e si scagliarono contro le pietanze senza troppe cerimonie, come un lupo che si scatena dopo giorni di digiuno. Morsi veloci, sorrisi riluttanti tra un boccone e l'altro, il tutto sotto gli sguardi stupiti degli elfi e dello stesso re Falaster.
Il banchetto, che per gli elfi era un'occasione di celebrazione e di condivisione, si trasformò in uno spettacolo di fame incontenibile, quasi animalesca. E in quella scena così umana, così terrena, c'era una bellezza selvaggia e genuina che li faceva sembrare ancor più stranieri in un mondo di grazia e raffinatezza.

Mariel: Il covo delle ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora