Le terre di cristallo

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Un uomo si parò davanti a Mariel e Conar. I due ragazzi si guardarono per una frangente di secondi e si scoprirono ancora abbracciati. Arrossirono lievemente e si staccarono di colpo.
Di fronte a loro un uomo alto dall'aspetto trasandato e con una cicatrice che gli decorava il viso gli puntava un bastone contro. Mariel lo fissò, una sensazione strana le si arrampicò allo stomaco e si affacciò quasi al suo cervello. Immagini di corpi deformi con occhi di fuoco si insinuarono nella sua mente ma lei non riuscì a dargli un senso. Indietreggiò.
«Siamo di passaggio» enunciò la giovane.
«E allora passate in fretta! Non voglio ficcanaso in casa mia.»
Nella mente di Mariel vorticavano pensieri...
"Chi era quell'uomo? E come mai erano stati attaccati da un'intera armata di morti viventi dentro casa sua?"
Ma fu Conar a esordire: «cos'erano quelle... "cose" che ci volevano fare allo spiedo?»
«Ho detto che non voglio ficcanaso. Sei forse sordo ragazzino?»
Attorno a loro c'erano dei cerchi fatti di buche smosse, scavate nel terriccio dagli esseri mostruosi che ne erano emersi solo pochi minuti prima.
Conar fece una smorfia. D'un tratto l'uomo sfregiato inchiodò i suoi occhi su Mariel. Il suo sguardo sembrava quasi incantato. Aprì la bocca per dire qualcosa ma non gli uscì alcun suono. L'aria era immobile, come immobile era il tempo. La ragazza non riusciva a decifrare l'espressione di quell'uomo. "Sarà uno dei soldati di Morfans? Mi avrà riconosciuta?"
Eppure, le sembrava di conoscerlo.
Tenne lo sguardo. Un forte nitrito del cavallo ruppe l'incantesimo e lo sfregiato iniziò ad avanzare. Mariel stava elaborando un piano di difesa. Aveva le mani che le tremavano e la mente che rovistava tra i pensieri.
Con movimenti impercettibili avvicinò la sua mano all'elsa della spada, e al contatto con l'acciaio rilassò i muscoli. Una folata di vento tiepido fece ondeggiare i fili d'erba secca; tutt'attorno, sembrava un mare dorato.
L'uomo passò a una spanna da Mariel senza smettere di fissarla.
«Chi sei?» chiese a bruciapelo la ragazza.
«Non vorresti saperlo» bisbigliò questi, con un tono così basso che Mariel fece fatica a intendere.
Si fermò un istante, con lo sguardo sempre rivolto al viso della giovane, come se ne stesse registrando i lineamenti. Poi si voltò di colpo, e si ficcò dentro casa.
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo indagatore. Conar alzò le spalle e si diresse verso il loro cavallo.
«Conviene ripartire!» asserì.
Mariel annuì.
Il viaggio continuò senza tanti imprevisti. Oltrepassata la capitale si fermarono in una piccola città solo per rifornirsi di acqua e cibo e nessuno sembrò notarli.
Solo una notte, mentre Conar faceva il suo turno di guardia, un gruppo di soldati diretti a nord passò a pochi passi da loro. Ma era buio, e i due ragazzi avevano trovato rifugio in una vecchia grotta scavata nella roccia. Nessuno li avrebbe scovati.
Due giorni dopo varcarono i confini delle terre di cristallo, così chiamate per i loro peculiari minerali che sembravano, in lontananza, imitare la luce del giorno riflettendola in mille sfumature. Quando il sole al tramonto baciava le montagne, le stesse si tingevano di colori vibranti: oro, rosa, viola e blu. Era uno spettacolo mozzafiato che, pur nella sua fredda bellezza, emanava un senso di pace.
I due ragazzi osservavano silenziosamente, incantati dallo splendore di quei luoghi, il brillare del cristallo che ricopriva le montagne e le vallate. I raggi del sole sembravano danzare sulle superfici iridescenti, dando vita a un balletto di luce e colore.
Oltrepassarono un piccolo corso d'acqua che serpeggiava attraverso la valle e proseguirono il loro cammino. Erano stanchi, ma determinati.
Il giorno seguente, dopo una notte trascorsa sotto un cielo stellato e cristallino, il paesaggio iniziò a cambiare. La terra diventò più accidentata e le formazioni rocciose più imponenti. Alcune di queste erano così alte da sembrare veri e propri grattacieli di cristallo. Nell'aria aleggiava un freddo pungente ma asciutto che faceva bruciare i polmoni e rendeva difficile il respiro.
Era tutto così affascinante che era impossibile non rimanerne incantati. E mentre avanzavano, tra la luce che danzava sui cristalli e le ombre che si allungavano sotto i raggi del tramonto, i due giovani sentivano di essere parte di qualcosa di più grande.
La città principale, Ellesmera, si trovava al centro del regno, circondata da alti picchi di cristallo.
Gli edifici elfici erano fatti di pietra e legno, incastonati con cristalli che riflettevano la luce in mille sfumature. Alberi maestosi si innalzavano tra le case, le loro foglie sussurravano canzoni antiche nel vento. E tutto attorno, le montagne di cristallo si ergevano come sentinelle silenziose, vegliando sul regno.
Non appena attraversarono i confini della città, furono accolti da una pattuglia di elfi. Nonostante l'aspetto fiero e minaccioso, i loro occhi erano pieni di rispetto quando si posarono su Mariel. Conar, al suo fianco, osservava con cautela.
«Benvenuti» disse uno degli elfi con un profondo inchino. La sua voce era melodiosa, ma ferma. Mariel annuì con un cenno del capo, cercando di non mostrare la sua emozione. In un certo senso, era a casa.
Scortati nel palazzo reale, Conar e Mariel si sentirono come piccoli fringuelli nel nido di un'aquila: intimiditi, ma nello stesso tempo protetti. L'architettura elfica era una poesia scritta in pietra: archi sottili, pareti scolpite con scene di pace e armonia, e pinnacoli alti e aggraziati che sembravano raggiungere le stelle.
Re Falaster li attendeva nella Sala del Trono. Alto e maestoso, sembrava un monumento più che un essere vivente. Il suo sguardo era profondo e penetrante, come se fosse in grado di scorgere i pensieri più segreti. Mariel avvertì una marea di emozioni: era felice di incontrare finalmente un legame con la sua madre naturale, ma allo stesso tempo sentiva una strana tensione, un retrogusto di rimprovero. Falaster non le aveva ancora rivolto la parola, ma lo sguardo del re sugli occhi di lei era un dialogo in sé, un gioco di specchi tra il presente e il passato.
Nonostante il clima di tensione palpabile, la voce di Re Falaster risuonò calda e pacata: "Benvenuti, Mariel, figlia di Doriel, e...
Si fermò fissando il ragazzo accanto a sua nipote.
«Conar, Signore!» disse il giovane.
Il re annuì.
«... e Conar, figlio dell'Uomo". C'era un'ombra di tristezza nel suo tono, un barlume di rammarico per le scelte del passato, per le unioni spezzate e i legami irrimediabilmente perduti.
Il silenzio che seguì sembrò un abisso di incomprensioni mai risolte, di parole non dette, di promesse non mantenute. Ma il tempo scorreva, ed era ora di fare i conti con la realtà.
Poi il Re si avvicinò a Mariel. Il suo sguardo si addolcì e abbracciò la ragazza.
«Sono felice che tu sia qui» disse sottovoce.
«Grazie... Signore.»
Il Re sorrise all'imbarazzo della nipote. Si staccò da lei e le poggiò una mano sulla spalla.
«Hai gli occhi di tua madre, e il suo stesso sguardo fiero.»
Mariel ricambiò il sorriso ed esordì: «temo di essere nei guai. Gli uomini di Morfans mi danno la caccia e non so nemmeno per quale maledetta ragione.»
«Qui sarete al sicuro.» la tranquillizzò Re Falaster. «Prenderete alloggio nelle sale degli ospiti. Sarete esausti per il viaggio. Datevi una rinfrescata e una ripulita. Ci vedremo più tardi per la cena.» Con queste parole, e con una carezza sul viso della nipote, il Re li congedò.
Mentre si allontanavano dalla sala del trono, Mariel sentì il peso della sua eredità cadere sulle sue spalle. Non era più solo una ragazza alla ricerca di vendetta. Era la nipote del Re degli Elfi, una discendente di una stirpe potente e antica, e avrebbe dovuto trovare il modo di fare pace con la sua storia, per poter guardare con coraggio al futuro.

Mariel: Il covo delle ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora