L'alba di un nuovo viaggio

4 2 0
                                    

«Dove posso trovare un corvo, o qualsiasi altro pennuto che riesca ad arrivare dai nani senza farsi ammazzare prima?»
«Qui questo tipo di magia è proibita, Mariel, non dovresti...»
«E tu non dirlo a nessuno!»
La luce dell'alba filtrava attraverso le persiane, illuminando delicatamente la stanza.
Erano passati quattro giorni dall'arrivo di Mariel e Conar a Ellesmera, e ancora di Sebile nessuna notizia.
«Devo sapere come sta mia zia, Eilin, come usate inviare messaggi qui da voi?» chiese.
«Abbiamo i messaggeri. Usare la magia per incantare gli animali è contro ogni legge naturale, e noi elfi preserviamo la natura.»
Mariel storse il naso.
«Un messaggero impiegherebbe troppo tempo, e io non ho altro tempo da perdere.»
«Decisa a partire?»
Mariel annuì.
La porta si spalancò di colpo e dall''uscio apparve Conar. Indossava un'armatura di mithril di manifattura elfica, che lo faceva sembrare più minuto del normale. Nella mano destra stringeva la sua ascia.
«Ma come ti sei conciato?» rise Mariel.
«Che c'è? Mi sta bene, no?» si lamentò il ragazzo. «Quest'affare è sorprendente!» continuò rivolto alla sua nuova armatura, «sembra di non avere nulla a dosso e invece sono duro come l'acciaio. Guarda qua...» Si colpì la coscia con il manico dell'ascia per dar prova alle sue parole; ma fece una smorfia. «Vabbè, se il nemico è forte come me un po' mi farà male...» Alzò le spalle, e le due ragazze scoppiarono a ridere.
«Allora si riparte!» disse dopo un po' Mariel. Ma non era una domanda, era più un'affermazione per convincersi che il suo viaggio non era ancora terminato. Conar annuì.
«Guarda che ti aspetto» sussurrò Eilin, in un abbraccio affettuoso.
«Tranquilla,» rispose Mariel, «cosa vuoi che mi succeda? E poi, con l'uomo d'acciaio al mio fianco nessuno oserà farmi del male.» Un'ultima risata accompagnò quel tenero addio, e Mariel uscì dalla stanza.
Mentre camminavano per i corridoi, il castello sembrava svegliarsi. Le guardie facevano la loro ronda mattutina, i cuochi iniziavano a preparare il pasto del mattino e i servi si affrettavano a fare le loro faccende. Nonostante l'ora mattutina, l'atmosfera era vivace e piena di energia.
«Mi sembra tutto troppo semplice.» disse a un tratto Conar. Lo sguardo fisso davanti a sé.
«Semplice? Ma sei tutto scemo?» Mariel si batté un dito sulla tempia. «Se tutto va secondo i piani varcherò un confine che nessuno si è mai sognato di varcare, nessuno sano di mente ovviamente. Non conosciamo nemmeno per sentito dire cosa si cela da quelle parti. Chi ha osato sfidare quelle terre è morto...» fece un gesto incomprensibile con le mani, «e a te sembra troppo semplice?»
«Lo faremo assieme questo viaggio.»
«Non sei tu "la discendente del vecchio orrore", Conar.» Snocciolò quelle parole come fossero una maledizione, poi continuò: «non ha senso rischiare entrambi.»
Conar non rispose. Continuò a camminare sempre fissando davanti a sé come fosse ipnotizzato.
«Vedremo!» disse infine.

Re Falaster stava seduto sul trono, i suoi occhi blu brillavano con una luce intensa. La luce del sole rifletteva nei suoi capelli argentati, e gli regalava un aspetto austero. Accanto a lui, due guardie che sembravano statue di cera.
«Quindi? Pronti a partire?» chiese il Re, un sorriso affabile sul volto.
Mariel annuì, il cuore le batteva forte.
«Sì, signore!»
«Bene,» rispose lui, «loro sono Thalion e Ríon, vi scorteranno fino alla Valle dell'Eco. Sono esperti conoscitori del territorio e abili guerrieri. Sono i migliori guerrieri del regno!»
Le due guardie si inchinarono, l'armatura di mithril brillava alla luce del sole.
«Ma sia chiara una cosa» proseguì il Re, «appena avrete scoperto cosa si cela nelle terre oscure tornerete qui, studieremo un piano e organizzeremo per bene la spedizione. Chiaro?»
Stavolta le parole di Re Falaster suonarono come un ordine alle orecchie dei due ragazzi, e questi annuirono all'unisono.
Prima di andarsene, Re Falaster si avvicinò a Mariel, posando una mano sulla sua spalla. «Mariel,» disse, la sua voce era calma e solenne, «tua madre era una donna coraggiosa e forte. Ha fatto le sue scelte e ne ha pagato le conseguenze, ma ha lasciato un segno duraturo in questo mondo e sono certo che tu farai lo stesso.»
Gli occhi di Mariel si riempirono di lacrime, ma le inghiottì, e salutò il Re.
I due ragazzi lasciarono la sala del trono e si avviarono verso l'uscita del castello. Nel cortile, quattro cavalli erano già sellati e pronti per il viaggio. Erano quattro enormi bestie dall'aspetto spaventoso. Avevano uno scudo di cuoio posto al petto come protezione. Dei ferri piatti legati agli zoccoli e una sorta di elmetto, anch'esso di cuoio.
Mariel estrasse la sua spada e se la portò all'altezza degli occhi. L'aveva tenuta con sé da quando era partita da casa, una costante presenza al suo fianco durante gli allenamenti e le battaglie. La baciò, sussurrando il nome di Tudwal. Una lacrima le solcò il viso, ma nessuno se ne accorse. Poi, prese la spada e la rimise nel fodero, pronta per il viaggio.
Partirono.
Sulla soglia del castello, si voltarono per guardare indietro un'ultima volta. Il castello brillava alla luce del mattino, i suoi torrioni alti e fieri si stagliavano contro il cielo azzurro. Si avviarono sul sentiero e le loro figure scomparvero lentamente nella foresta circostante.
Le parole della profezia rimbombavano nella mente di Mariel come una maledizione. Da quel momento la ragazza capì, che non sarebbe importato dove fosse andata, o quanto lontano avesse viaggiato, quelle parole l'avrebbero perseguitata fino alla fine dei suoi giorni.

Mariel: Il covo delle ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora