Vecchie amicizie

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Tutto tace dopo una battaglia.
Il cielo si colora di rosso e le anime si affollano, lassù, dinanzi al ponte di fuoco, in attesa del loro trapasso.
Si odono mugolii di corpi dilaniati, condannati ad attendere, chissà per quanto tempo ancora, la loro quiete.
La vita muta in morte, e la morte in orrore. E all'orrore non c'è mai fine.

Davanti ai loro occhi solo resti di case bruciate e distrutte. Una strada lastricata di pietre smosse. Ovunque girassero lo sguardo era la desolazione.
Entrarono in una casa. Mobili gettati a terra e distrutti, fogli di carta sparsi, sangue rappreso su lenzuola e coperte. E poi cadaveri. Di uomini, di donne e bambini.
Uscirono e continuarono verso nord, percorrendo le vie di Boudrin. Lo scenario era lo stesso: case incendiate, sangue e cadaveri ovunque.
Conar si piegò a raccogliere qualcosa da terra.
«Dove ci porterà tutto questo?» disse Mariel in un sussurro.
«Dai nani!» rispose Conar.
Mariel lo guardò di traverso.
«Stavo parlando di tutto questo delirio!» disse infastidita la ragazza.
«E io stavo parlando di questa. Guarda qua!» Conar spiegò una cartina che mostrava una mappa della città. «C'è un passaggio, guarda. Chiunque sia il responsabile di questa strage è passato da qui.» indicò un punto sulla mappa. Un passaggio dalle terre rocciose.
Mariel guardò attentamente.
«Ma è da stupidi! Perché passare per la terra dei nani?»
Conar alzò le spalle.
«Fatto sta,» si intromise Sebile, «che secondo questa mappa, questo passaggio è la via più breve per raggiungere la nostra meta.»
Un brutto presentimento si inficiò nella mente di Mariel, ma lo tenne per sé. Poi, con lo sguardo fisso a terra, sussurrò: «È per causa mia...»
Sebile la guardò.
«Tutto questo,» riprese, allargando le braccia e mostrando l'orrore in cui erano avvolti, «è colpa mia. È me che cercano e hanno raso al suolo due città.»
Sebile le si avvicinò e le accarezzò il viso.
«Non c'è causa che possa giustificare tutto questo» le disse. «Il male è dentro ognuno di noi, Mariel, sta a noi decidere quale via scegliere. Questa gente ha scelto di massacrare degli innocenti. L'hanno scelto loro, e l'avrebbero fatto anche se ti avessero trovata.»
Mariel annuì poco convinta e ripartirono.
Lasciarono la città.
Il tragitto, come ipotizzato, fu più breve e nel giro di poche ore attraversarono il confine delle terre rocciose.
«Nascondi i capelli» disse Sebile a Mariel, «tra i nani gli elfi non sono ben visti.»
La ragazza fece come richiesto e si alzò il cappuccio del mantello sulla testa.
Proseguirono il viaggio mesti e silenziosi.
Camminarono tutto il giorno e al tramonto si avviarono verso una locanda. Lasciarono il cavallo a uno stalliere ed entrarono. Il nano che li accolse fece loro mille domande ma li trattò con cortesia.
Il mattino seguente Sebile chiese alcune informazioni e ripartirono, finalmente riposati e in forze.
«È qui vicino» disse la donna, «siamo arrivati.»
Le case erano per la maggior parte di legno e con il tetto di paglia; ma erano estremamente basse. Si fermarono davanti a una casetta malmessa e disadorna. Mariel scorse un attimo di esitazione sul volto della zia, poi Sebile bussò.
Non rispose nessuno. Ma appena la donna si prontò per bussare una seconda volta la porta si mosse con un cigolio.
Una veste grigio scuro spuntò dalla soglia.
Avvolta in quello strano indumento, con gli occhi vispi di un nero acceso, i capelli simili a stoppie e l'aria trasandata, stava di fronte a loro una nana. Mariel notò che non arrivava al seno di Sebile.
Il suo sguardo passò in rassegna i tre viandanti. Zampillava da Conar a Mariel. Indugiava su Sebile per poi tornare a fare il suo giro di ricognizione. Alla fine si bloccò sulla donna e aprì la porta.
«Sebile!» disse con una voce rauca ma stranamente serena.
«Agar» rispose la donna, «ho bisogno di un favore» disse senza mezzi termini.
La nana li fece accomodare.
L'interno era buio, e un miscuglio di odori tra erbe, fumo, muffa e cera bruciata investì i pensieri di Mariel. Poi, pian piano, gli occhi si abituarono all'oscurità. Sembrava che l'intera casetta fosse costituita da un unico ambiente, con le pareti ricoperte di scaffali zeppi di libri ammuffiti.
«Mi servono due cavalli, possibilmente corazzati, e una buona scorta di cibo» dichiarò Sebile, appena si sedettero su delle sedie che agli occhi di Mariel sembravano fatte a posta per dei bambini.
«Sei nei guai?» chiese Agar.
«No! Siamo diretti alle terre magiche per motivi che non posso rivelare.»
La nana annuì. Si alzò e sparì dietro una piccola porta incastonata a forza nella parete alle sue spalle.
Mariel fissò la zia, le lanciò un'occhiata che sfociava in mille domande, e Sebile annuì mesta.
«Tranquilla» le sussurrò, «so quello che faccio.»
Conar invece teneva i suoi occhi fissi in un punto indecifrabile della stanza.
Agar tornò. Uno sguardo enigmatico fissava Sebile.
«Venite verso il tramonto e troverete quanto richiesto.»
Quando i tre lasciarono la casa il cielo si stava rannicchiando. Una lieve pioggia iniziava a bagnare le strade e gli abitanti si affrettavano nelle loro incombenze.
«Sicura che possiamo fidarci?» chiese Mariel.
Sebile annuì. «Ho salvato la vita al fratello di Agar in battaglia, Bofur si chiama. Un elfo stava per staccargli la testa con un fendente e l'ho trafitto con una freccia. Il colpo di spada virò e colpì la mano del nano tranciandone tre dita; ma almeno è ancora vivo.»
«E allora perché le hai detto che andiamo dai maghi e non dagli elfi?» chiese Conar, che fino a quel momento non aveva aperto bocca.
«Perché meno persone conoscono i nostri spostamenti, più sono le probabilità che abbiamo di restare vivi.» La donna sorrise e il ragazzo si grattò i ricci capelli.
Al limitare della locanda scorsero un drappello di soldati in movimento. La pioggerella li faceva sembrare fantasmi. Non nani, ma vaghe forme errabondi sotto un cielo plumbeo.

Attesero il tramonto alla locanda, a confabulare sulla strada migliore da percorrere per il loro viaggio. Quando il cielo si colorò di sfumature rossastre tornarono da Agar, e stavolta, portarono anche il cavallo, perché sarebbero partiti quella sera stessa.
«Tu resta qui a badare a lui» disse Sebile a Conar, ammiccando verso il quadrupede.
Il ragazzo assentì, un po' controvoglia, e Mariel assieme alla zia varcarono la soglia della casetta decrepita.
Appena dentro trovarono Agar ad accoglierli ma aveva un'espressione diversa, era rigida e pallida.

«È da un po' che non ci si vede!» esclamò una voce dietro di loro.
Sebile la riconobbe e fece per voltarsi, ma una lama puntata alla schiena la immobilizzò.
«Sei venuta a restituirmi le dita?»
Mariel strinse la mano sull'elsa ma fu bloccata da un'ascia puntata alla gola.
«Sta' buona» gracchiò il nano che la brandiva.
Erano in quattro. Tutti armati di ascia d'oro nero.
La pietra di luna iniziò a scaldare il petto di Mariel e tutto il suo corpo fremeva.
Sebile mantenne la calma e parlò a quello che un tempo pensava fosse un amico.
«Bofur, che ti prende?»
«Bah! Diciamo che il destino per una volta è dalla mia parte, e posso finalmente pareggiare i conti.»
«Ti ho salvato la vita!»
«E per cosa, eh? Per essere bannato dall'esercito perché incapace di impugnare un'arma? Per farmi diventare lo zimbello di tutti? Grazie, Sebile, ma potevi risparmiartelo.»
«Non ci credo» disse Sebile, «non sei tu che parli, il Bofur che conosco non piangerebbe come un bambino la perdita di quelle stramaledette dita. Cosa ti è successo? Dimmelo!»
Il nano aumentò la pressione sull'arma e Sebile sentì la lama graffiarle la schiena.
«Bada a come parli, donna.» gracidò ai suoi piedi. «Nella vita si fanno delle scelte... io ho fatto le mie.»
«Stai con lui, non è così? Stai con Morfans, ti sei unito all'esercito delle terre aride... che stupida che sono! Avrei dovuto aspettarmelo da uno come te.»
«Poco male,» replicò Bofur, «errori che si pagano.» Un'alzata di spalle. «Ma a tutto c'è rimedio, Sebile, basta mettersi d'accordo.» Il suo tono era freddo, non mostrava la minima emozione.
«Sei un verme» Sibilò Sebile a denti stretti.
«Sì, sì, può darsi. Ti faccio la mia proposta: mi lasci la ragazza e tu sparisci. Farò finta di non averti mai incontrata. In nome della nostra vecchia amicizia.»
Sebile si voltò, incurante del dolore che provava sulla schiena per l'ascia puntata, lo guardò e gli sputò in faccia.
Il nano si pulì con il dorso della mano.
«Peccato!» esclamò, «in fondo eri una brava guerriera.»
Bofur caricò un colpo per scagliarlo contro la donna ma un tonfo sordo lo bloccò.
Si voltò a guardare in direzione dell'ingresso e un altro colpo lo fece tremare.
Poi si udì una voce ovattata.
«Ma è possibile...» un altro colpo, «che debba fare...» un altro ancora, «tutto io, qui?» Un ennesimo colpo e la porta stramazzò a terra con uno schianto.
Sulla soglia spuntò Conar con un sorriso beffardo sulle labbra e la sua ascia stretta in un pugno.
Il giovane diede una fugace occhiata alla situazione, poi il suo sguardo fu rapito dall'oro nero dell'arma impugnata da un nano, che brillava, come diamante. I suoi occhi s'illuminarono. E lo spettacolo ebbe inizio.

Mariel: Il covo delle ombreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora